Reggio Calabria, il Serra Club incontra don Simone Gatto
Nel salone parrocchiale del Santuario di San Paolo, il direttivo del Club Serra di Reggio
“Mi hanno portato in questo posto lontano dal mio solito mondo in una notte d’inverno. Il treno sferragliava sui binari per una direzione ignota e io giocavo con le biglie insieme a un amico, nascosto in un angolo del vagone merci”. Queste potrebbero essere le parole con cui uno dei tanti piccoli ebrei potrebbe iniziare a raccontare i suoi ricordi e la quotidianità di internato nel campo di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. Proprio la memoria di uno dei periodi più oscuri e tragici della storia contemporanea dell’uomo insieme e al desiderio di pace sono stati i temi che hanno caratterizzato l’iniziativa “Insieme a Ferramonti di Tarsia e a Paola”, organizzata dal direttore dello stesso Istituto Superiore, padre Pasquale Triulcio, in collaborazione con il prof. Enrico Tromba, docente reggino di materie letterarie presso il Liceo Statale “Giuseppe Rechichi” di Polistena, archeologo ed esperto dei temi delle antichità ebraiche, delle presenze giudaiche in Calabria e nel Mediterraneo e della deportazione degli ebrei nella regione. L’iniziativa è ricaduta nell’anno di due anniversari di altrettanti avvenimenti storici che hanno lasciato il segno nella storia europea e collegati al desiderio di pace che l’umanità grida a tutti i potenti del mondo: i cento anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale e gli ottanta anni dalla visita di Hitler in Italia. All’iniziativa sono stati presenti gli studenti dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose, il Gruppo di Preghiera dell’Immacolata di Reggio Calabria e altri cittadini della città e della dirimpettaia Messina che a essa hanno voluto partecipare.
La prima tappa della giornata è stata la visita al campo di internamento. Essa è stata anticipata da un intervento con cui Enrico Tromba ha fatto luce su un luogo della storia poco conosciuto, dimenticato e su alcune storie personali degli internati. Ferramonti fu il più grande campo di internamento tra quelli aperti dal regime fascista. Ubicato in una zona paludosa, ospitò al suo interno internati ebrei, stranieri e profughi politici (tra cui greci, commercianti cinesi, ex jugoslavi non ebrei). La decisione di collocare il campo in una zona insalubre e malarica fu sia di ragione politica (doveva essere un luogo poco ospitale per coloro che vi avrebbero vissuto) sia di interesse economico (il titolare della ditta costruttrice, Eugenio Parrini, era molto vicino ad importanti gerarchi fascisti e la stessa ditta era già presente a Ferramonti dove aveva ultimato dei lavori di bonifica. Inoltre, sempre Parrini, costruttore anche del campo di concentramento di Pisticci, impose nel campo di Ferramonti un proprio spaccio alimentare in regime di monopolio).
Nella sua relazione Enrico Tromba ha evidenziato le condizioni di vita nel campo che rimasero sempre discrete e umane. Nessuno degli internati fu vittima di violenze o fu deportato nei campi di sterminio, tanto che per questa caratteristica, lo storico ebreo Jonathan Steinberg definì il campo di Ferramonti "il più grande kibbutz del continente europeo". Gli unici deceduti di morte violenta all'interno del campo furono quattro, vittime di un mitragliamento da parte di un caccia alleato durante un duello aereo con un velivolo tedesco sopra lo stesso campo, le cui tombe sono state visitate presso il vicino cimitero cattolico di Tarsia. Tromba ha anche menzionato aspetti della quotidianità del campo da cui emergevano: la liberta di organizzazione (gli internati elessero propri rappresentanti per interloquire con le autorità del campo; crearono squadre di calcio; fu concesso loro di avere un'infermeria con annessa farmacia, una scuola, un asilo, una biblioteca, un teatro e propri luoghi di culto); il desiderio di vivere una vita ordinaria (si formarono e si sposarono diverse coppie e da esse nacquero ventuno bambini); l’umanità della popolazione locale (numerosi furono i vicendevoli rapporti di aiuto e di solidarietà intercorsi fra gli internati e la popolazione di Tarsia) e dei funzionari di polizia in esso presenti (il primo direttore, Paolo Salvatore, venne allontanato dal campo per un atteggiamento troppo permissivo nei confronti degli internati).
La visita all’interno del campo è stata guidata da una delle guide del Museo della Memoria, la quale ha mostrato la planimetria originale del campo (novantadue capannoni situati nei pressi del fiume Crati). Oggi ciò che rimane e che costituisce il Museo è l’appezzamento di terreno in cui sorgevano le abitazioni degli addetti alla sorveglianza e l’abitazione, in completo abbandono, del maresciallo del campo, Giuseppe Marrari, ricordato dagli internati con grande affetto per la sua umanità. Dagli anni Sessanta in poi, infatti, il campo è stato smantellato progressivamente sia per consentire il passaggio dell’autostrada A3, sia dai privati che hanno utilizzato l’area destinandola a locali attività agricole. La seconda tappa della giornata è stata la visita alla Basilica Santuario di San Francesco di Paola. Una guida turistica ha illustrato le attrattive storiche, artistiche, monumentali e paesaggistiche dei luoghi cari al Santo, celebre per la vita che è stata una continua ricerca di ciò che riconduce l’uomo alla verità dell’esistenza e alla vera essenza delle cose che danno valore alla vita. In particolare, sono stati visitati: la Basilica intitolata a Santa Maria degli Angeli, con la cappella che contiene le reliquie del Santo e che ospita la lampada votiva alimentata dall’olio offerto dai comuni della Calabria; la zona dei miracoli che conserva le testimonianze dei prodigi compiuti dal Santo; il primitivo oratorio, oggi parte dei sotterranei del convento, ove è presente un semplicissimo altare e una cappella spoglia, realizzata grazie al generoso sostegno dei genitori di S. Francesco e che voleva essere uno spazio di raccoglimento per favorire l’ascesi dei frati, al riparo da ogni altra distrazione; il chiostro, al cui inizio della parete destra, subito dopo l'ingresso, c'è un affresco con la figura a mezzo busto di San Francesco, e le cui lunette sono adornate da pitture che raffigurano scene della vita del Santo; infine, la nuova aula liturgica nella cui area presbiteriale vi è un mosaico incorniciato da una epigrafe che sintetizza tempi, realizzazione del progetto e i nomi di coloro che hanno reso fattibile il progetto, tra cui quello dell’arcivescovo di Reggio Calabria S.E. Fiorini Morosini, originario proprio di Paola.
La giornata è proseguita con la partecipazione alla Santa messa. L’omelia è stata di padre Pasquale che ha riflettuto sulla parabola della vite e i tralci. “Aderire a Cristo per ricevere la linfa vitale che consente ai cristiani di produrre copiosi frutti, fra i quali il servizio, il perdono reciproco, la carità, la pace, il bene comune. Rimanendo nel suo amore, troveremo la sorgente della vita e faremo tanto bene al prossimo e alla società” – sono state le parole del religioso. Seguendo il tema protagonista della giornata, infine, Enrico Tromba ha concluso la giornata richiamando l’etimo della parola ricordare: “Proviene dal latino e significa richiamare in cuore. Non è, dunque, semplice memoria. Il ricordo richiama, nel presente del cuore e del sentimento, qualcosa che non è più qui o non è più adesso che però, per il solo tornare in cuore, rivive come sentimento concreto, esperienza diretta”. Il ricordo è, dunque, la possibilità di consultare il passato, di interrogarlo, non per fuggire malati di nostalgia, ma per capire ed essere capaci di responsabilità nel presente e nel futuro. Per tenere alta la consapevolezza di chi siamo, da dove veniamo e di dove abbiamo la possibilità di spingerci. Per non perdere niente di quello che naturalmente esce dalla nostra vita, per continuare ad amare e per testimoniare in modo coerente la fede cristiana.
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