Avvenire di Calabria

Concluso il primo tratto del cammino sinodale, vi proponiamo il documento elaborato dall'equipe diocesana sinodale

Sinodo a Reggio Calabria, ecco il documento di sintesi

Il documento contiene i punti e i nodi tematici affrontati durante il primo anno di percorso e frutto dei contributi forniti da parrocchie, aggregazioni e movimenti diocesani

di Redazione Web

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Si è concluso il primo tratto del Sinodo della diocesi di Reggio Calabria - Bova. Vi proponiamo il documento completo di sintesi del percorso compiuto, elaborato dall’equipe diocesana sinodale al termine del primo anno pastorale di lavori sinodali. La sintesi è il risultato di tutti i contributi forniti da quaranta parrocchie, aggregazioni e movimenti diocesani, inviata alla Conferenza episcopale italiana. Ecco il testo integrale del documento:

Interrogativo fondamentale del Sinodo: Una Chiesa sinodale, annunciando il Vangelo, “cammina insieme”: come questo “camminare insieme” si realizza oggi nella vostra Chiesa particolare?  Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere nel nostro “camminare insieme”?


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Questo primo tratto del cammino sinodale è stato nella nostra Arcidiocesi, pur con i limiti delle restrizioni pandemiche e delle prime difficoltà organizzative, un evento di popolo (qui l'articolo sull'apertura del Sinodo della diocesi di Reggio Calabria - Bova). Tutti i membri della comunità sono stati coinvolti nella fase di ascolto. In particolare: il presbiterio, gli uffici pastorali, le zone pastorali, le parrocchie, le associazioni e i movimenti laicali, i centri di ascolto e i consultori. Particolarmente significativo è risultato l’apporto degli studenti, attraverso una consultazione nelle scuole animata dagli insegnanti di religione e di alcuni ambiti specifici, quali quello dei fidanzati e delle famiglie, dei sindaci e degli amministratori locali e di una rappresentanza del mondo LGBT+.

La nostra diocesi ha un territorio vasto, caratterizzato da grande diversità geografica, sociale e culturale e tuttavia i contributi che sono pervenuti si muovono su alcune direttrici comuni. Emerge dai contributi la generosità, la dedizione e la passione di tanti sacerdoti, di religiosi e religiose e di tanti fedeli laici.

Emergono inoltre, nell’atteggiamento di chi ha partecipato, tre approcci:

“Pessimistico”, in chi sospetta che l’attività di questo sinodo rimanga fine a sé stessa, incapace di attuare cambiamenti concreti nelle nostre prassi e che i risultati dei questionari verranno conservati a dimostrazione di una attività svolta ma senza essere concretamente valutati e tenuti in considerazione;

“Entusiastico”, in chi pensa che la Chiesa stia scoprendo qualcosa di nuovo “quasi una sorta di gestione democratica” percepito come un processo di modernizzazione di svecchiamento dovuto ad una sempre maggiore “perdita di terreno” rispetto al mondo ed in particolare rispetto alle realtà giovanili;

“Equilibrato”, in coloro che, avendo colto profondamente il senso di questo esercizio sinodale, sono pronti a rimboccarsi le maniche per avviare nuovi processi identitari-relazionali con un’apertura missionaria verso tutti vicini e lontani, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani.

È stata apprezzata la scelta di scandire ogni tappa del cammino con la Parola, meditata attraverso la Lectio, nel racconto delle prime comunità cristiane presentato dagli Atti degli Apostoli (5 appuntamenti con cadenza mensile, da novembre 2021 ad aprile 2022), opportunità per rimettersi in cammino tornando alla Scrittura e alle origini della Chiesa. La Lectio, in Cattedrale, con il collegamento in streaming per favorire la partecipazione di singoli e gruppi parrocchiali, specie nei periodi di maggiore restrizione, ha costituito un momento in cui la centralità dell’ascolto della Parola è stato sottolineato come passo essenziale, tanto da sospendere la celebrazione eucaristica vespertina in tutte le parrocchie.

L’arcivescovo ha dato un importante impulso alla sinodalità come stile, costituendo un’équipe sinodale composta da fedeli laici e da presbiteri. Ha chiesto di impostare in maniera sinodale i ritiri del Clero, favorendo la dimensione dell’ascolto tra presbiteri e tra presbiteri e vescovo e del reciproco confronto nella parresìa. Nello stile sinodale si sono svolti gli incontri degli organismi di partecipazione ecclesiale e della consulta per le aggregazioni laicali.

Parrocchie e gruppi hanno fatto approfondimenti e gruppi di ascolto centrati sui brani degli Atti e sui nuclei tematici del documento preparatorio.

Sono stati utilizzati questionari, moduli google, app per i giovani, per coinvolgere quante più persone possibile. Tuttavia è stato più semplice coinvolgere chi abitualmente frequenta le parrocchie, mentre si è rivelato più difficile, almeno in questa fase,  raggiungere chi è più lontano dalla vita ecclesiale.

Si è cercato di riflettere sul compito e sull’accoglienza della donna, attraverso la riflessione della teologa Lucia Vantini (leggi qui l'articolo), offerta ai presbiteri e a tutta la diocesi, per poter prendere coscienza dell’importanza di un cambiamento di mentalità. Si è voluto coinvolgere  tutte le fasce di età e dei gruppi, se pure con diverse modalità.

Il cammino sinodale è stato visto come occasione di dialogo e confronto, dopo la pandemia, e anche come occasione di un rinnovato rapporto tra parrocchie vicine. Nelle comunità più piccole che sono riuscite ad incontrarsi, il cammino sinodale è stato occasione di ripartenza per riacquistare consapevolezza di essere Popolo di Dio. L’ascolto del racconto delle esperienze ha messo in luce la gratitudine di chi ha ricevuto attenzione.

Sinodo a Reggio Calabria: Gli elementi cardine e gli snodi tematici

Le numerose sintesi sono qui raggruppate provando ad individuare questioni chiave e snodi, di cui si riportano opinioni anche diverse e minoritarie nello spirito del cammino sinodale; per quanto possibile, vengono assimilati ai nuclei tematici del Documento preparatorio. Particolarmente rilevante e ampia quanto a destinatari raggiunti è la consultazione di studenti e docenti, il cui contributo viene allegato alla sintesi.

Chi sono i nostri compagni di viaggio? Chi ascoltiamo?

La comunità cristiana viene identificata per lo più con coloro che partecipano alla Messa domenicale. La ridotta partecipazione alla vita della Chiesa, specie dopo i lockdown, in alcuni contesti viene vista con scoraggiamento. Dai contributi emerge talvolta un’idea di Chiesa vista come fredda istituzione, preoccupata di difendere i suoi canoni religiosi, abbandonando, anche inconsapevolmente, quella porzione di popolo che ha più bisogno della sua vicinanza: divorziati e separati, conviventi, omosessuali. Spesso non riesce a coinvolgere le famiglie, che si avvicinano alla parrocchia in funzione dei sacramenti, come se la Chiesa fosse un’agenzia di servizi a cui si ha diritto.

Abbiamo riflettuto sul concetto di Chiesa come popolo che impara a vivere la bellezza dello stare insieme, nonostante le difficoltà. Nello “stare insieme” si è rilevata l’esigenza di non lasciare nessuno in periferia, ma di imparare a “perdere tempo” con le persone per  crescere insieme, accettandosi senza pregiudizi. Chi si avvicina alla comunità spesso ha paura di esporsi, di mostrare la sua fragilità e il suo non avere le “carte in regola” per stare nella Chiesa. È dalla Parola di Dio che che si impara uno stile personale e comunitario di accoglienza e rispetto delle diversità, di spirito di servizio e di crescita del senso civico. Compagni di viaggio diventano così, almeno come desiderio, tutti gli uomini e le donne, e in particolare gli “invisibili”.

Durante il percorso sinodale l’arcivescovo ha voluto iniziare un processo di dialogo con i sindaci e gli amministratori locali, ascoltando le loro esperienze e le loro difficoltà e accogliendo la loro richiesta di sostegno nella formazione della coscienza civica dei cittadini e nella ricerca condivisa del bene comune. Si è rinnovata la stima nei confronti dei sacerdoti e delle comunità cristiane, soprattutto nei comuni più piccoli, per il prezioso impegno durante il dramma degli incendi e il periodo della pandemia. Si è altresì richiesta una interlocuzione sistematica con la Chiesa per trovare vie comuni per la crescita e il bene del nostro popolo.

Si riscontra una Chiesa che spesso manca di coraggio nell’accoglienza. Perché?

  • Per mancanza di autentica formazione cristiana, che è conoscenza ed esperienza di Gesù che cammina accanto a noi e abilita alla testimonianza e al dialogo.
  • Per il vizio di giudicare le persone, di frenarne gli slanci.
  • Per incapacità ad abbattere i muri dell’indifferenza e del pregiudizio.

Spesso nella Chiesa abbiamo paura della diversità di persone e di opinioni e del conflitto che può nascere dalla diversità delle idee. Di fronte alle divergenze si tende ad aggirare l’ostacolo, per non ferire l’altro, per non mettersi in cattiva luce, per non fare i guastafeste. La franchezza, accanto alla correzione fraterna, è l’unico strumento utile per far crescere una comunità.

I giovani hanno manifestato la sensazione di non essere veramente ascoltati o supportati e di essere solo criticati quando esprimono idee non in sintonia con la dottrina. Sentono la difficoltà di essere ad un tempo cittadini del mondo e membri della Chiesa e leggono questa difficoltà  come una frattura più che come una integrazione. Vedono troppa contrapposizione tra un’idea di Chiesa dialogante e “moderna” e una Chiesa tradizionale e chiusa.

Essere fedeli al Vangelo ci impedisce di stare al passo con i tempi?

I giovani praticanti, forse anche per quanto scritto sopra, sono troppo pochi, e la Chiesa non si interroga realmente sulle cause di questo distacco.  Pochissimi sono quelli che si confrontano con continuità con un presbitero. (Si rimanda ai contenuti del paragrafo relativo agli studenti). Ascoltare i problemi dei giovani con misericordia viene percepita come urgenza.

Emerge da alcuni contributi dei fidanzati che la Chiesa viene vista come la casa del Signore in cui cercare la pace. La si vorrebbe più povera e comunicativa, di frontiera e più impegnata sul sociale, pronta ad accogliere le persone nella loro imperfezione, più coinvolgente nei confronti delle nuove generazioni.

Le coppie chiedono che la Chiesa sostenga la loro vita spirituale e relazionale, aiutandole a discernere nelle situazioni e negli snodi vitali. Riconoscono di dover approfondire la conoscenza della Scrittura.

Sono emerse le difficoltà della parrocchia a raggiungere le persone che non frequentano le sue attività. Sembra anzi affermarsi una tendenza delle comunità a vivere più come “riserve indiane”, luoghi autoconsistenti, che come comunità apostoliche e accoglienti.

Nelle domande fatte nei corsi di preparazione al matrimonio è emerso che i giovani considerano le comunità parrocchiali come luoghi privi di valore o poco significativi per la loro vita; la pensano diversamente coloro che  ne hanno fatto concreta esperienza come “casa e famiglia”, che li ha aiutati anche nella maggiore corresponsabilità ecclesiale. Ma tanti altri hanno dichiarato che non sanno concretamente quale sia il cammino della loro comunità ecclesiale, magari limitandolo alla partecipazione alla Messa domenicale.

Chiedono maggiore autenticità e accoglienza delle diversità, più gioia; cercano una Chiesa che sia luogo di condivisione di gioie e dolori, in cui poter ricevere consiglio; una Chiesa semplice e umile nella direzione indicata da Papa Francesco. Alcune situazioni di allontanamento delle persone sono legate all’eccessiva attenzione della Chiesa agli aspetti legati alla sessualità. Da alcuni operatori dei consultori emerge la necessità di riflettere sulla possibilità di proporre una “sessualità più umana”, che non mortifichi la persona, ma ne ricomponga l’armonia come apertura alla felicità e al “mondo” dell’altro. Emerge l’esigenza che i corsi di preparazione al matrimonio siano occasione di riscoperta della bellezza della vita comunitaria, e delle potenzialità di dono e di missione della coppia.

Qualcuno ha sostenuto che chi frequenta la Chiesa è magari un religioso irreprensibile ma non un cristiano, “fa tante cose”, perfino opere di carità, ma come opere buone, piuttosto che come manifestazione naturale della propria fede.

Spesso gli operatori pastorali non danno l’impressione di ascoltare e accogliere realmente l’altro, che sia un bambino, un giovane, una coppia, di non volerne conoscere le difficoltà del percorso di fede e accompagnarle, ma di “utilizzarli” per il servizio che svolgono, salvo bloccarli se esprimono idee diverse o posizioni lontane  o dialetticamente contrapposte. Le nostre comunità pullulano di persone brave e preparate, capaci di fare bene ciò che fanno, ma incapaci di far crescere qualcuno accanto a loro che nel momento opportuno possa prendere il loro  posto; così è il ruolo che fa esistere il singolo, e non la persona che dà un’anima al ruolo.

Per imparare ad ascoltare bisogna fare spazio dentro, ascoltare Dio che parla al nostro cuore. Occorre più attenzione a questa dimensione del silenzio interiore, di spazi da ritagliarsi per aiutare il discernimento personale e comunitario. L’ascolto è anche ascolto della Parola e della voce dello Spirito. Va dedicato più tempo a questo nella vita della comunità. Ascoltare è innamorarsi: solo questo slancio può tradurre l’ascolto in azione, può portare ad un aiuto fattivo e concreto, può rendere capaci di rispondere ai bisogni reali. Bisogna avere il coraggio di ascoltare tutto, anche quello che non ci piace o che ci risulta poco conveniente, il coraggio di denunciare laddove necessario, il coraggio di “uscire”, cioè andare incontro agli altri; essere disposti ad un “di più” di amore.

 Da una parrocchia è stato proposto un acrostico della parola ASCOLTO:

  • A come attenzione, amore, accoglienza;
  • S come silenzio (esteriore ed interiore per ascoltare se stessi, Dio e i fratelli ), stupore;
  • C come custodire ma anche come conflitto che non è una parola negativa perché dal riconoscimento e dal superamento del conflitto può nascere qualcosa di buono e di nuovo;
  • O come occhio per sapere andare oltre le apparenze;
  • L come libertà, la libertà dei figli di Dio capaci di mettere da parte i nostri schemi mentali e i nostri pregiudizi; come letizia, la gioia vera e profonda che viene dall’incontro con il Risorto;
  • T come testimoni del Vangelo; come tutti, nessuno escluso, mai.
  • O… come sopra.

Succede invece che gli impegni, l’organizzazione, la fretta prendano il sopravvento e non c’è tempo e spazio per ascoltare e per ascoltarsi reciprocamente;

Prendere la parola

I membri della comunità partecipano e prendono la parola soprattutto quando comprendono che questo è utile per aiutare l’azione pastorale e il rapporto tra parrocchia e territorio. Uno dei motivi della lontananza di alcune fasce d’età, pensiamo ai giovani, consiste proprio nella prassi di non ritenere le loro idee applicabili, o di non ascoltare le loro incertezze o idee diverse. Alcuni ostacoli sono, oltre a limiti e timidezze personali, la paura di essere contraddetti, assumersi le conseguenze degli impegni o delle responsabilità di cui si parla; talvolta non si crede nella reale possibilità del cambiamento di prassi e metodi, o si pensa che solo i più “capaci” debbano parlare.

Emerge con forza la paura o la diffidenza di molte persone di parlare con sincerità, di esprimere le proprie idee, per paura di essere giudicati. Non bisogna avere paura di intercettare le domande di senso e i dubbi, non solo di fede, che sempre di più attanagliano giovani e non solo; bisogna raccoglierne anche le provocazioni, incontrare, per capire e abitare anche le sofferenze.

I cristiani hanno spesso paura di confrontarsi perché ritengono di dover affrontare persone con profonde convinzioni anticlericali e refrattarie ad ogni cambiamento e  talvolta  si preferisce il quieto vivere.  A volte dentro le nostre parrocchie non ci si sente liberi di prendere la parola con libertà, si preferisce stare in silenzio, non si  dice  ciò che veramente si pensa , si parla per sottintesi, si cerca di compiacere falsamente chi ci sta davanti ; questo atteggiamento è tipico della subcultura mafiosa così radicata in tanti contesti del nostro territorio.  Si tace  a volte perché nelle parrocchie si notano preferenze di gruppi o di persone, ci si sente esclusi e può accadere che causa di esclusione e di allontanamento delle persone sia  proprio il parroco, il pastore.

Spesso il parlare nelle nostre realtà è freddo e impersonale, “da manuale”; si fa fatica a coniugare verità, libertà e carità. Tuttavia, spesso anche nel consiglio pastorale, luogo in cui devono confluire proposte e idee per il bene della comunità e dove si confrontano le diversità e i carismi, il conflitto viene evitato o nascosto, per lo più per incapacità a saperlo gestire. Un contributo definisce il consiglio pastorale “come il momento della cena in famiglia al termine della giornata: ciascuno si siede al tavolo, desideroso di raccontare agli altri come sia andata la giornata, fatta di momenti belli e di ostacoli per ricevere dagli altri ascolto, condivisione e sostegno.” Gli organismi di partecipazione ecclesiale (consigli pastorali, consigli per gli affari economici, assemblee parrocchiali) vengono visti, qualche volta, come organismi burocratici, che fanno perdere tempo mentre invece  sono indispensabili per vivere concretamente la sinodalità e la dimensione ecclesiale a cui siamo chiamati. Solo promuovendo e valorizzando questo stile sinodale non sentiremo più dire: “Se la mia idea va avanti, bene, altrimenti lascio la comunità”.

Una delle difficoltà di un dialogo franco e libero, anche intraecclesiale, è la diffidenza dei laici nei confronti dei presbiteri: spesso oscillano tra pregiudizio e compiacenza. Più facile il confronto nelle realtà associative, che però talvolta non aiutano i propri componenti a vivere con pienezza la loro appartenenza alla Chiesa, confondendola con quella del gruppo o movimento.

Le donne hanno espresso il desiderio di essere maggiormente ascoltate.

Come Chiesa dobbiamo poi esprimerci con maggiore coraggio non solo su temi etici, ma anche su questioni critiche del nostro territorio, come quelle legate all’ambiente e alla cura del creato, al contrasto alle mafie, alla responsabilità di chi serve le Istituzioni (non sono quelle politiche), alla lotta alla corruzione. Anche all’interno della comunità non si deve avere paura di proporre idee anche se attualmente non applicate, come la comunione ai divorziati o il sacerdozio delle donne.

Il linguaggio della Chiesa sia sempre un linguaggio di speranza. La Chiesa deve e può prendere la parola su tutte le questioni che riguardano l’uomo, su tutto ciò che appartiene al diritto naturale, condivisibile da tutti. L’anelito al trascendente, al bene, al vero è terreno comune per ogni uomo e per ogni donna, un terreno da esplorare e da percorrere insieme, indipendentemente dalla fede.

Celebrare

Emerge in tanti contributi che occorre crescere di più nella preghiera e nel cammino spirituale personale e comunitario.  Abbiamo bisogno di chiedere di più il dono dello Spirito che ci abiliti ad utilizzare linguaggi finora lontani da noi o fuori dalla nostra portata.

Occorre curare maggiormente e in modo nuovo la preparazione soprattutto spirituale e dottrinale dei laici impegnati, perché siano testimoni coraggiosi e si impegnino in comunione di intenti tra di loro e con tutti gli altri membri della Chiesa. Occorre valutare la possibilità di mettere come “conditio sine qua non” la partecipazione degli operatori pastoriali e in particolare dei catechisti alla vita della comunità ed alle sue attività.

Sembra inadeguata una proposta sacramentale concentrata, per tempi e risorse, solo sull'infanzia (catechismo per fascia di età) e sulla preparazione ai sacramenti dell'iniziazione cristiana. A tal proposito sarebbe forse opportuno, riprendendo la spiritualità orientale, celebrare Battesimo e Cresima dopo opportuna preparazione dei genitori. Per la Comunione, farla in età scolare ma catechizzando i genitori (non una volta al mese, ma settimanalmente); e provare, ad experimentum, la sospensione dei padrini.

Facendo tesoro del  periodo di lockdown, occorre valorizzare la Celebrazione Eucaristica domenicale, sottraendola all’abitudinarietà. Si può inoltre pensare a celebrazioni più a misura di famiglie.  A volte le omelie sono eccessivamente lunghe e pesanti e spesso, più che annuncio del Vangelo sembrano una sintesi del telegiornale, commenti alle canzoni del momento, elenco di condanne ai comportamenti non consoni alla morale cristiana.

Anche il momento del lutto in famiglia va accompagnato maggiormente dalla comunità con la cura delle relazioni con chi soffre.

Corresponsabili nella missione

In premessa, la piena comunione tra tutti i membri della Chiesa è una meta cui tendere, ma soprattutto il frutto di un paziente impegno e di un lavoro costante da portare avanti nello spirito delle prime comunità cristiane.

Partecipazione e corresponsabilità vengono spesso visti come “una lista di buoni propositi”: non un’attitudine personale e comunitaria, ma come un “fare cose buone” per gli altri. Mentre c’è abbastanza chiarezza nelle persone ascoltate circa la missione della Chiesa, emergono molti ostacoli rispetto alla consapevolezza dei battezzati nella propria partecipazione alla missione. In particolare, nei battezzati c’è spesso la convinzione di non essere abbastanza formati e preparati per una corresponsabilità fino in fondo o si sentono poco accettati e poco adeguati per  partecipare alle iniziative che vengono svolte . Una fede tiepida e non incarnata in una vita evangelica conduce ad una non reale consapevolezza dell’identità cristiana. La parola  corresponsabilità è più volte risuonata nei contributi che ci sono stati offerti ed è intesa come un salto di qualità che le nostre comunità sono chiamate a fare. Alcuni ritengono che la corresponsabilità sia solo dei laici associati o dei consacrati.

La corresponsabilità viene quindi individuata più nei servizi ecclesiali, per lo più volontariato, catechesi, e in parte anche nella testimonianza quotidiana, piuttosto che come elemento connaturato all’essere battezzati. Così ad es., l’insuccesso di iniziative pastorali lascia anche nei laici di comunità e gruppi, scoraggiamento e delusione: non si ha fiducia nel fatto che Gesù è sempre accanto a noi e ci “bene-dice” indipendentemente dalle nostre capacità e prestazioni. Si aggiungono poi limiti personali o comunitari, come l’incapacità di accogliere e il pregiudizio, la pigrizia o le ambizioni personali, la mancanza di coraggio o la superficialità.

Il “virtuale”, che è stato utile e importante in tempo di pandemia, diventa oggi spesso un rifugio per non uscire, da parte di famiglie e giovani. Occorre ricordare sempre che i social sono indubbiamente un mezzo per comunicare ma non  potranno  mai sostituire il vero rapporto umano fatto di sguardi, abbracci, strette di mano etc… insomma i social non sono e non devono diventare  un surrogato dei rapporti umani. Inoltre sono molti i falsi maestri che non avendo una formazione religiosa adeguata, attraverso i social generano confusione e disaffezione verso la comunità ecclesiale. I media cattolici svolgono un ruolo importante ma ci vuole molta attenzione a non essere “annacquati”  adeguandosi alle mode del momento.

La missione è impossibile dove c’è rivalità tra i singoli e tra i vari gruppi ecclesiali. La molteplicità di gruppi, movimenti, associazioni, esperienze, costituisce una grande ricchezza, viene considerata “una benedizione dello Spirito” ma non sempre si è in grado di camminare insieme come compagni di viaggio; si collabora in particolari occasioni e circostanze, ma poi ognuno va per la sua strada.

Molti sostengono che a tutti i livelli c’è ancora un lungo percorso da fare sulla corresponsabilità del laicato, chiamato ad evangelizzare le relazioni quotidiane, lavorative, familiari, ecclesiali.

I religiosi e le religiose, laddove sono presenti, si integrano bene nella comunità, vengono percepiti come una ricchezza per la comunità, e la loro testimonianza di fede e di carità operosa è uno stimolo ad agire con amore e accoglienza verso tutti.

Dialogare nella Chiesa e nella società

La parrocchia viene vista come il più importante polo di aggregazione. La specifica vocazione di ogni parrocchia nel suo territorio va custodita nel tempo, nella successione dei parroci ci deve essere rispetto per la storia che ha caratterizzato quella parrocchia e quel territorio. L’appartenenza ad una parrocchia oggi non è più una appartenenza geografica, ma ognuno considera come propria la parrocchia dove si sente accolto e ben inserito, indipendentemente dalla vicinanza o lontananza dalla propria casa.

Si avverte la necessità di un maggiore dialogo ed una più profonda collaborazione soprattutto tra comunità vicine. Si evidenziano, invece, difficoltà a promuovere progetti di pastorale d’insieme, che ad oggi non esiste. Per i fedeli laici è scandaloso sentire sacerdoti che parlano male dei loro confratelli, e soprattutto  è una cattiva testimonianza che non li educa al rispetto verso gli altri, verso tutti i compagni di viaggio che il Signore mette accanto a loro.

Molto importante appare ad alcuni una riflessione sui  Seminari, che appaiono come luoghi chiusi, una sorta di “ bolla” che rende  i futuri sacerdoti impreparati ad affrontare le difficoltà che il mondo oggi  presenta.

Ci sono tentativi di uscire dalle sacrestie e dal proprio privato per incontrarsi  nei luoghi e nelle piazze del dialogo per trovare alcune risposte.

C’è in tutti il desiderio di una Chiesa meno preoccupata di conservare ciò che si è conquistata nel tempo, più aperta alla gioia, alla gratuità e all'annuncio in uscita. Per una comunità che esca dalla tentazione della chiusura e sia in uscita, si chiede di valorizzare l’animazione di strada come modalità concreta di una Chiesa che si rimette in cammino.

Una Chiesa in uscita non può non essere una Chiesa nella quale siano protagonisti i giovani e le famiglie, con una vita comunitaria più attenta alle loro esigenze, ai loro tempi, ai loro sogni. La Chiesa supporta poco chi si impegna nel campo sociale, culturale e politico, anche se si registrano dei casi, specialmente di gruppi giovani, di iniziative di confronto con amministratori locali su problemi del territorio. Più in generale, non si riesce ancora oggi a suscitare vocazioni alla politica partendo da una sensibilizzazione all’impegno per il bene comune. Questo anche perché si vede la difficoltà di testimoniare da parte di chi è impegnato in politica.

I rapporti della Chiesa con le agenzie educative, scuola in particolare, sono buoni e proficui, specie nelle periferie della Diocesi.

Con le altre confessioni religiose c’è un rapporto di generale accoglienza e ascolto, anche se concretamente si mettono in campo poche iniziative di confronto e condivisione, con rare eccezioni. Spesso non comprendiamo come esperienze di altre fedi e altre culture possono essere motivo di curiosità e di ricchezza, nel senso di arricchimento umano ma anche spirituale, oltre ad aiutarci a dare maggior senso alle verità e pratiche su cui si innesta la nostra fede. Sia per i  non credenti che per i  credenti di altre religioni, vale il principio per cui Dio non è venuto per pochi eletti, ma per tutti gli uomini.

Le tradizioni fanno parte della nostra cultura. Se pensiamo alle feste popolari, queste vanno rivitalizzate nella prospettiva cristocentrica, nelle opportunità di crescita nella fede e nel dialogo tra generazioni, e depurate da tutto ciò che è solo folklore e abitudine, come dagli aspetti economici e profani che distolgano dall’espressione popolare della fede. La pandemia ha insegnato che riti e feste patronali non sono indispensabili, ma desiderate soprattutto per rafforzare il raccoglimento spirituale e la carità. Altri sostengono che va mantenuta la dimensione comunitaria dei riti e delle feste tradizionali, come occasioni di fraternità dopo la fase pandemica, pur riconoscendo che spesso diventano fonte di interessi che nulla hanno a che fare con la dimensione spirituale e di fede. Inoltre, le tradizioni di per sé non alzano muri o creano contrapposizioni.

Da questo punto di vista, l’eliminazione delle processioni durante la pandemia non ha tolto nulla a chi vive quotidianamente una vita di fede. Un elemento particolare, poi, è quello delle feste patronali nei centri minori della Diocesi, che si sono spopolati; proprio con le feste, per lo più nel periodo estivo, a Natale o a Pasqua, le persone (e sono molte) che hanno dovuto  lasciare  la propria terra per poter lavorare, ritrovano un legame con la comunità e con le proprie radici.  Dopo il momento drammatico vissuto a causa della pandemia COVID-19 sarebbe opportuno un ripensamento delle espressioni della religiosità popolare e delle tradizioni particolari delle comunità.

Le feste patronali dovrebbero essere feste di famiglie nel senso più bello e comunitario del termine; dovrebbero privilegiare maggiormente la sfera spirituale, lasciando che i festeggiamenti con balli e canti che spesso comportano un notevole dispendio economico, non distruggano il valore di quanto celebrato. Le tradizioni e le consuetudini, legate ad esempio al culto dei Santi, ci portano a concentrarci di più su quello che è esteriore con la ripetizione di riti e preghiere che rischiano di diventare artificiosi e vuoti.

Può accadere che si mescolino a riti magici e superstiziosi, riti, preghiere e culti che appartengono alla religione cattolica: questo miscuglio è fuorviante e pericoloso e i fedeli devono essere formati e accompagnati in un cammino di fede vero e puro. Bisogna anche vigilare perché anche tra i nostri  fedeli si possono insinuare forme di superstizione che vanno dal “non è vero ma ci credo” al ricorso a maghi, fatture, raggiri, per non parlare di occultismo. E’ necessario  istruire i fedeli sui pericoli derivanti da queste pratiche fuorvianti e pericolose.

A cosa non possiamo rinunciare?

Per quasi tutti, alla Messa, all’Adorazione Eucaristica e ai Sacramenti, nei quali deve emergere sempre di più la centralità di Gesù e della conoscenza del Suo Vangelo per la vita personale rispetto a individualismi e scelte pastorali talvolta cervellotiche (dire ad es. che le prime comunioni fanno fatte a ottobre perché “se no i bambini scappano” deprime la potenza e la bellezza del cammino sacramentale per la vita, denota chiusura e paura, e si commenta da sé). Non dobbiamo rinunciare all’evangelizzazione e all’apostolato, che è un dono e un dovere per tutti i battezzati.

Non dobbiamo rinunciare ad una formazione di cristiani ed operatori sempre più solida e centrata su Cristo, sulla sua Parola e sulla sua sequela. Si dà per scontata la Parola e invece  il Sinodo è stato un grande sprone per riscoprire la Sua  centralità  nella e per la vita di una Comunità Cristiana, e per imparare da Essa a ricentrare gli obiettivi delle diverse realtà presenti nella Parrocchia e nel Territorio.

Possiamo invece rinunciare a proporre modelli stereotipati di “bravi cristiani”, quelli che per lo più rispondono a rigide norme di morale, quasi tutte delle sfera sessuale. Dobbiamo rinunciare a tutto ciò che nella vita ecclesiale, paradossalmente, allontana le persone da Gesù Cristo e dalla Sua misericordia. Una parte minoritaria sostiene che tra le cose cui rinunciare c’è il celibato dei presbiteri.

Le prescrizioni non attecchiscono più nei giovani e  vengono percepite più come precetti moralistici, piuttosto che liberazione da ciò che è superfluo per essere più uniti a Dio. Alcuni, specie i più anziani, fanno fatica a pensare a prescrizioni come digiuni e fioretti come qualcosa di cui liberarsi, altri pensano che non servano più, o almeno non sono che dei corollari ad una fede matura e improntata alla sequela di Cristo.

Il cammino sinodale nelle scuole

Su invito dell’Ufficio Scuola e della Commissione IRC, e con un itinerario che ha compreso alcuni incontri formativi mensili dell’arcivescovo con i docenti di religione cattolica, si è pensato di proporre al mondo della scuola il cammino sinodale, interpellando docenti, personale ata e studenti attraverso la costruizione da parte dei ragazzi di “cassette delle lettere” dove sono stati raccolti contributi sulle domande sinodali. Questi i punti emersi:

  • Qualche bambino della  scuola primaria ha riconosciuto difficoltà ad inserirsi nei gruppi del catechismo o associativi. Non frequentano la messa domenicale  e pur andando al catechismo, trovano la Messa lunga e noiosa, e spesso non si sentono capiti da catechisti e parroci. Queste difficoltà sono attenuate nei bambini che frequentano gruppi associativi o di catechismo in cui si sentono coinvolti e in cui c’è un atteggiamento di gioia e simpatia.
  • Già a partire dalle medie, con i ragazzi che hanno fatto la prima comunione, si riscontra la  distanza dalla comunità di cui vedono solo gli aspetti negativi. Chi partecipa alla comunità apprezza il coro, le attività ricreative, il servizio ai poveri e l’accoglienza sperimentata.
  • Sono stati poi coinvolti 1500 studenti degli Istituti di Scuola Secondaria  Superiore di tutta la Diocesi. Alcuni risultati:
    • Nella consapevolezza della loro identità la Chiesa non occupa un posto rilevante, perché le sue risposte sono ritenute troppo lontane dai loro desideri e bisogni. Non vedono in essa modelli o punti di riferimento.
    • La religione assume per loro importante in situazioni estreme, ad esempio quando si confrontano con il dolore o con la morte; manifestano un’apertura verso il mistero e una ricerca di aiuto per comprenderlo
    • La percezione della Chiesa non è quella di una comunità di credenti, ma di istituzione gerarchica e organizzata. Molti ne disconoscono l’impegno solidale, ne criticano un certo attaccamento ai beni materiali, oscillano tra esperienze personali arricchenti e giudizi stereotipati. Spesso le esperienze associative ecclesiali sono state per loro di breve durata e non significative per la loro vita, perché non stimolanti o non coinvolgenti. Si percepisce comunque una potenziale disponibilità a sperimentare l’”offerta ecclesiale”, soprattutto in termini di contenuti, metodi, esperienze.
    • Cosa chiedono i giovani studenti delle superiori alla Chiesa?
      • Superare ogni forma di anacronismo, rigidità, intransigenza, per assolvere in modo coerente il mandato evangelico dell’amore che accoglie e non discrimina, che educa e non giudica, che perdona e non punisce.
      • Aiutarli ad affrontare le sfide della vita, che sentono sempre più impegnative e superiori alle loro forze, tra cui anche quelle affettive e familiari, perché possano guardare al loro futuro personale e sociale con chiarezza, speranza, positività.
      • L’impressione che comunicano gli insegnanti coinvolti è che il distacco della Chiesa dai giovani non sia solo una perdita di “utenza”, ma anche e soprattutto l’incapacità di leggere la deriva antropologica che sembra caratterizzare questo tempo, verso la quale ci si limita spesso ad un giudizio moralistico e ad un frettoloso disimpegno.
      • Sulla contemporaneità della Chiesa i giovani criticano le persistenti rigidità su temi quali l’accoglienza degli omosessuali, dei separati e divorziati, sui temi della bioetica, come anche una incoerenza tra annuncio evangelico e trasparenza negli scandali economici e sessuali… ma suggeriscono anche che la Chiesa ritorni a riproporre la Scrittura con autenticità e semplicità, aggiornando le forme comunicative.
      • I giovani si professano per lo più credenti e non praticanti, specie nelle forme liturgiche. Scarsa partecipazione alla Messa, che giudicano retorica, poco incisiva, noiosa, disincarnata, troppo dipendente dal carisma del celebrante. Solo in misura ridotta è emersa la partecipazione alla Messa come momento comunitario, di inclusione e preghiera comunitaria.
      • I sacramenti sono vissuti per lo più con scarsa consapevolezza e convinzione dell’incidenza nella propria vita, in cui il profano si sovrappone e prevale sul sacro.
      • I giovani si dividono a metà sul riconoscimento del ruolo attivo del laicato nella Chiesa e quanti pensano che dovrebbe essere maggiormente valorizzato. Riconoscono la fondamentale importanza dei presbiteri , ma hanno opinioni molto diversificate sulla loro vocazione e missione, condizionata dalle esperienze personali. Molti ne fanno emergere l’incoerenza nella testimonianza e la poca disponibilità di tempo e di ascolto. Si dicono disponibili a una figura sacerdotale che li accompagni nella scoperta e sviluppo della vita interiore e spirituale.
  • I docenti sono stati anch’essi coinvolti: una parte, anche se minoritaria, ha ammesso di essere in ricerca, con una religiosità generica e incuriosita da altre esperienze spirituali, spesso appartenenti alla Chiesa per tradizione. Rispetto alla Chiesa, anche se consapevoli che si identifica con il popolo di Dio, la vedono in pratica identificata con i laici o i gruppi che frequentano messe e locali parrocchiali . Ritengono che in generale la Chiesa venga vista nella società più come istituzione che come comunità. Una parte, anche se minoritaria, vede nella Chiesa atteggiamenti di chiusura verso chi è ai margini o vive situazioni legate all’omosessualità e alle fragilità familiari. Ritiene che i laici debbano farsi sempre più carico di responsabilità e servizio all’interno della Chiesa, di condivisione della sua missione. Percepiscono la reale collaborazione tra credenti e non credenti come fondamentale per il futuro della società. Per la maggioranza, la Chiesa deve crescere in autorevolezza e capacità di avere voce sulle questioni attinenti l’uomo e la società, interagendo con tutte le componenti sociali.

Sinodo a Reggio Calabria, le altre proposte emerse dai contributi

  • Creazione di “centri di ascolto”, come luoghi di relazioni e del “camminare insieme” dove, ascoltando l’altro, con attenzione e senza pregiudizi, attraverso le informazioni ricevute, è possibile dare un orientamento, essere punti di riferimento e offrire soluzioni adeguate ai problemi;
  • Istituzione di  uno sportello di ascolto per i ragazzi, un tentativo di contatto, di intercettazione, una sorta di “vieni e vedi” per poter abbattere o meglio fare breccia nel chiuso mondo dei giovani;
  • Possibilità di avviare un cammino sinodale zonale;
  • Costituzione di un consultorio per gli immigrati di oggi, sia per il rispetto e l’accompagnamento al dialogo interculturale e interreligioso autentico, sia per la tutela e il diritto alla salute e dei diritti in genere  di questi nostri fratelli;
  • Un cammino di scambio costruttivo con comitati di quartiere, realtà che, seppur “slegata” dai gruppi squisitamente ecclesiali, persegue una mission educativa che collima con la pastorale parrocchiale orientata al bene comune. In alcune realtà, in questo cammino di scambio, sono già state avviate azioni concrete di riqualificazione e abbellimento del quartiere;
  • Una serie di “apericene” (focus tematici) che trattino gli argomenti più salienti emersi nella fase di studio fra i giovani e che dalla loro analisi risultano essere pregiudizievoli per la partecipazione dei coetanei alla vita della Chiesa. L’apericena consta di un incontro tematico: etica, responsabilità laicale e impegno politico, affidato a testimoni di grande spessore e da un momento aggregativo e conviviale;
  • Attenzione particolare alla terza età attraverso incontri di ascolto e approfondimento di temi ecclesiali e sociali;
  • Centri di ascolto nelle famiglie, per creare occasioni di incontro e per realizzare quella Chiesa in uscita di cui parla papa Francesco;
  • Strutturazione di un percorso di dialogo e condivisione con gli amministratori locali;
  • Attenzione a iniziative di coinvolgimento dei giovani alla vita politica.

Concludiamo questa sintesi del Sinodo della arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova riportando esattamente delle frasi estrapolate da due contributi; ci aprono il cuore alla fiducia ed alla speranza:

«La Chiesa è una casa dove c’è sempre posto per tutti, è il profumo di Cristo, un profumo acre misto al sangue ed al sudore ma impregnato di dolcezza e di compassione, è sostegno per chi si sente piccolo, è ancora di salvezza per chi vuole rimanere a galla, nonostante tutto: posso dire che per me questo è la Chiesa e in questa identità è insita la sua missione, che è la missione di ogni battezzato» (una catechista).


PER APPROFONDIRE: Sinodo a Reggio Calabria, padre Sala: «Gesù non è simbolo di potere»


«Oggi siamo tutti Teofilo, cioè siamo coloro che amano Dio e insieme a Maria, Madre di Gesù e con la presenza dello Spirito Santo camminano insieme  con speranza e gioia» (un fedele laico).

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