Avvenire di Calabria

Un suicidio e una fuga

Due giovani e il peso della mafia

Davide Imeneo

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Negli ultimi giorni l’opinione pubblica nazionale e locale si sta interrogando sulla condizione giovanile. Dai fatti di Alatri si è rapidamente passato al tragico suicidio di Maria Rita Logiudice. La ragazza, nata nel 1992, apparteneva a una delle famiglie di rilievo della ‘ndrangheta reggina. Prima di lei, sempre nel clan Logiudice, già due donne, zie di Maria Rita, sono state vittime del sistema criminale: Angela Costantino, barbaramente uccisa nel 1994, e Barbara Corvi, scomparsa nel nulla nel 2009.

Il ruolo delle donne di ‘ndrangheta sta aprendo una breccia nel contrasto culturale alla criminalità organizzata calabrese. Lo spiega il dottor Roberto Di Bella, presidente del tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, che – in un’intervista esclusiva pubblicata a pagina 5 – ci parla del fenomeno crescente delle “vedove bianche” (ossia le mogli dei condannati all’ergastolo o pena associative) che chiedono di essere aiutate a “scappare”.

Lo fanno per salvare i propri figli che portano cognomi altisonanti sotto il profilo criminale. Sono già 40 i casi che possono contare su una rete di inclusione crescente.

Un esempio virtuoso se non fosse per la politica che, proponendo un’altra riforma della Giustizia, sta cercando di ridimensionare il comparto minorile: a Reggio Calabria si profila la soppressione degli uffici del tribunale dei minori nonché della comunità ministeriale in cui dal 1992 ad oggi sono passati oltre 800 ragazzi, la cui crescita è stata fortemente condizionata dalla ‘ndrangheta e che grazie a quel percorso riabilitativo oggi vivono nella legalità.

In paesi fortemente permeati dalla criminalità, il controllo asfittico del territorio delle cosche non consente una “contaminazione pulita”. Quindi le misure di allontanamento dei minori, sperimentate dal pool coordinato da Di Bella, rappresentano l’unico modo per andare a scardinare la “pedagogia mafiosa”. Mentre Maria Rita compiva il gesto estremo di togliersi la vita, probabilmente perché non riusciva più a sostenere il peso di essere una Logiudice, un altro ragazzo di 25 anni, Antonino Pesce, diventava latitante. Esponente del potentissimo clan della Piana di Gioia Tauro, si è sottratto all’arresto della Polizia durante l’operazione Recherche di martedì scorso. Nelle intercettazioni si evince come fosse inserito nelle dinamiche criminali sin dalla adolescenza. Del resto la ‘ndrangheta, come rivela l’operazione Euro-Scuola di venerdì scorso, si “preoccupa” talmente del futuro dei giovani da far costruire a Locri due scuole superiori... abusive, non adeguate e con materiale scadente. Il tutto con la compiacenza dello Stato. Chi spiegherà agli 800 studenti rimasti senz’aula che lo loro scuola era, invece, della ‘ndrangheta?

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