Avvenire di Calabria

Sono tanti i parallelismi con la fede «ricercati» dai boss: si tratta però di un’azione sacrilega

Affiliazione e rituali delle ’ndrine strumentalizzano la fede

Redazione Web

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Uno dei capitoli del sussidio diocesano per la pastorale battesimale è incentrato sull’uso distorto del termine “battesimo” in ambito mafioso. A curare questo approfondimento è don Antonino Iannò, parroco di Arghillà, che spiega come «la struttura organizzativa della ‘ndrangheta prevede l’ingresso nell’associazione attraverso il rito del battesimo. Il figlio degli esponenti più importanti lo riceve – come una sorta di predestinazione – poco dopo la nascita e, fino ai 14 anni, età minima per entrarvi, è definito “mezzo dentro e mezzo fuori”. Gli altri, invece, vengono battezzati con una vera e propria cerimonia, un rituale solenne all’interno del quale il “novizio” giura fedeltà supportato dal mafioso che lo presenta e che garantisce con la sua stessa vita. La “sacralità” dei gesti viene ulteriormente rafforzata dal giuramento “nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo” alla presenza di un effigie di San Michele Arcangelo e da altri eventuali e studiati richiami religiosi. Esaminando le parole e i gesti del rito – spiega don Iannò – si rileva come la persona che entra nella società per scelta o per condizionamento, deve liberarsi dei legami di sangue: il padre, la madre, i fratelli; deve denudarsi per immergersi totalmente nella nuova famiglia».

Il rito, non a caso, utilizza le parole di Gesù riportate in Luca: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». Ma mentre nel Vangelo di Luca le parole pronunciate da Gesù sono un invito a rinunciare a tutto per seguire Colui che porta alla Salvezza, al Bene, nel rito della ‘ndrangheta, le parole di Gesù sono utilizzate come bestemmia e avallo per praticare il Male. «Il giuramento fatto mentre l’immagine di San Michele Arcangelo brucia è chiaramente un’immagine diabolica – spiega don Iannò – Ci chiediamo: qual è il valore del battesimo mafioso? Come considerarlo in sé e in riferimento alla fede? L’apparato parareligioso della ‘ndrangheta non deve indurre a pensare a una possibile coincidenza tra i due mondi, le due culture, i due riti. La cultura mafiosa, infatti, assume i valori e i riti religiosi, ma li strumentalizza e li stravolge profondamente, usandoli per finalità che contraddicono nei fatti la fede».
 
Il battesimo mafioso, per la modalità con la quale avviene, per l’intenzione di chi lo amministra e di chi lo riceve, e per le conseguenze che esso comporta è la profanazione di un sacramento: è un sacrilegio. «Il battesimo della ‘ndrangheta – conclude Iannò – non cancella il battesimo sacramento, che rimane per il suo carattere indelebile, ma lo tradisce fortemente. È a tutti gli effetti e in tutte le intenzioni un anti–battesimo attraverso il quale la ‘ndrangheta assimila la persona e la priva della libertà».

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