Avvenire di Calabria

I fondi messi a disposizione dalla Chiesa garantiscono una chance ai giovani e alle madri vittime del giro delle cosche

Ancora una volta liberi di scegliere grazie all’8xmille

Le dichiarazioni dei protagonisti del protocollo sostenuto dalla Cei e rinnovato per altri tre anni

Davide Imeneo

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Le buone prassi continuano. Era l’auspicio di Roberto Di Bella ed è divenuto realtà. Il protocollo Liberi di scegliere è stato rinnovato per i prossimi tre anni con la firma al Miur. Il progetto finanziato coi fondi dell'8xmille alla Chiesa cattolica, dunque, continuerà a garantire una concreta alternativa di vita ai minori provenienti da famiglie inserite in contesti di criminalità organizzata. L’intesa ha lo scopo di fornire una rete di supporto (educativa, psicologica, logistica, scolastica, economica e lavorativa), nei contesti di criminalità organizzata della provincia di Reggio, ai minori e a tutti quei nuclei famigliari a rischio di devianza. Alla sottoscrizione erano presenti il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, il ministro delle Pari opportunità, Elena Bonetti, il procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, il segretario generale della Cei monsignor Stefano Russo, il presidente del Tribunale per i minori di Reggio Di Bella, Giuseppina Latella, procuratore presso il Tribunale per i minori reggino, il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e il presidente di Libera, Luigi Ciotti. Le donne al centro di questo sogno di riscatto, poiché sempre più spesso cercano aiuto per “liberare” i propri figli dal contesto ‘ndranghetistico. Sono proprio le mamme che «da sole, in modo silenzioso, si avvicinano ai magistrati per trovare per loro e per i figli un’alternativa», ha spiegato Cafiero de Raho, sottolineando che «25 donne si sono già fatte avanti e sono state portate fuori dal contesto ‘ndranghetista e altre 25 sono in attesa.

Questo progetto sembra il grimaldello che riuscirà a scardinare il sistema mafioso. La ‘ndrangheta si sgretolerà quando si capirà che al di fuori ci sono prospettive di miglioramento. I criminali ci saranno sempre, ma non ci sarà più il sistema criminale di oggi». L’intesa è quindi ancora una volta, un punto di riferimento per chi desidera affrancarsi dalle logiche criminali della ‘ndrangheta, senza assumere lo status di testimone o di collaboratore di giustizia.

«Ci confrontiamo – ha detto il ministro Fioramonti – con un tema complesso. La criminalità organizzata diventa sempre più forte quando le istituzioni non sono in grado di opporsi. Il compito che abbiamo è quello di ricreare quel contesto sociale e amicale che permetta a tutti i ragazzi di fiorire». Bonafede punta sull’importanza di far sentire la presenza dello Stato: «Dobbiamo far capire che si possono rompere i legami con la ‘ndrangheta ed è possibile scegliere la propria vita». Anche don Luigi Ciotti è raggiante, lui ci ha creduto insieme a Di Bella nella svolta storica rappresentata da questa iniziativa: «In questo momento c’è uno straordinario fermento sotterraneo che dobbiamo saper cogliere». E se il ministro Bonetti ha parlato di «Speranza di una vita piena», risuonano ancora le parole del presidente del Tribunale per i minori di Reggio Roberto Di Bella, pronto a lasciare il suincarico, ma con la convinzione che il progetto camminerà spedito sulle gambe e sulle spalle di altre donne e uomini altrettanto capaci. Bi Bella aveva sempre rimarcato l’importanza di costruire «una rete di sostegno sociale che fornisce un aiuto logistico, lavorativo e relazionale a minori, donne o interi nuclei familiari che intendono dissociarsi dalle logiche criminali e dalle loro famiglie». In fondo, ci ritroviamo in Italia senza una vera e propria legge sulla dissociazione e quindi «queste persone che versano in condizioni di grande difficoltà possono appoggiarsi solo a questa rete, non ci sono riferimenti normativi che governino questo fenomeno» aveva più volte spiegato il presidente del Tribunale per i minorenni reggino.

La necessità della non strumentalizzazione rimane come un testimone o un’eredità per chi verrà e per il futuro dello stesso protocollo: «Sempre intervenire caso per caso e vagliare effettivamente la reale volontà di cambiamento – ha sempre rimarcato Di Bella –. Qui si tratta di un percorso interiore che nessuna legge può farti fare se tu prima non lo hai maturato dentro di te». Guai, insomma, a questioni ideologiche, perché un Tribunale è sempre un Tribunale ed è chiamato per sua vocazione a valutare il singolo caso e non procedere rigidamente. Tanto più che in questi casi ci sono di mezzo ragazzi in difficoltà, quei “tristemente famosi” minori che potrebbero da un momento all’altro divenire manovalanza della criminalità. È anche grazie a interventi come questo ante litteram che un ragazzino di appena 16 anni con già 10 mesi di carcere sulle spalle ha avuto l’opportunità di uscire dal giro della ‘ndrangheta e cambiare vita. Il suo nome è Giosuè, oggi è un uomo di 48 anni e la sua storia sta diventando sempre più conosciuta in tutta Italia. Perché sta raccontando quello che gli è accaduto in tante scuole. Quando lui era un ragazzino il programma “Liberi di scegliere” non c’era, eppure incontrò un sacerdote straordinario – don Italo Calabrò – che gli aveva prospettato un’altra storia: «Se si può uccidere una persona o programmare di ucciderla, allora si può anche decidere di cambiare vita. La ‘ndrangheta è solo una grande illusione. Ma il problema era proprio quello, sapere di avere la possibilità di scegliere». Giosuè non è l’unico ragazzino ad essersi salvato. I numeri del protocollo

Liberi di scegliere parlano chiaro. Il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, nei casi di grave pregiudizio, «quando cioè il metodo educativo mafioso diventa ostacolo al normale sviluppo del minore», emana dei provvedimenti temporanei di allontanamento dalle famiglie, per tutelare i ragazzi. «Abbiamo adottato ormai poco più di 60 provvedimenti per 70/80 minori, ragazzi e ragazze – spiega Di Bella –. Quasi tutte le mamme ci stanno aiutando, abbiamo intercettato quasi un bisogno sociale, la richiesta di aiuto di

molte donne, mamme provate dai lutti, dalla sofferenza, dalle carcerazioni». La vera novità è che le mamme un tempo diffidenti adesso «si rendono conto che la nostra logica non è punitiva ma di tutela e quindi non si oppongono» analizza Di Bella, un dato impressionante quello del 90–95% delle mamme che non si sta più opponendo, fatto impensabile soltanto un paio di anni fa. Per una ventina di mamme c’è stata l’occasione di andare via dalla Calabria insieme ai loro figli. «Bisogna dire grazie a Libera, alla Direzione nazionale antimafia, alla Procura di Reggio Calabria, al Dipartimento per le Pari opportunità e alla Cei, che lo finanzia al 50% con i fondi dell’8 per mille – commenta Di Bella –. Grazie a questa sinergia tra diversi attori, riusciamo ad aiutare i ragazzi che decidono di andare via e anche le loro madri, dandogli una sistemazione logistica». Nel bilancio del presidente del Tribunale per i minori di Reggio che già sta guardando al futuro, con numeri e speranze immutate, ci sono anche i racconti e i frammenti di storie. Qualcuno si pente della propria condotta dicendo «Se vi avessi ascoltato...».

«Addirittura qualche padre detenuto mi scrive dal 41bis – racconta Di Bella –. E ci ringrazia per quello che stiamo facendo per i suoi figli. Questo significa che abbiamo rotto un muro culturale. Soprattutto grazie alle donne».

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