Avvenire di Calabria

L'intervista all'ordinario di Tor Vergata, Leonardo Becchetti, sull'economia circolare apre a riflessioni sullo sviluppo sostenibile al Sud

Becchetti sull’economia circolare: «Generare futuro con gli “scartati”»

Vi proponiamo, inoltre, diversi punti di vista sul tema della "decrescita felice", falso mito spacciato come panacea di tutti i mali economici

di Davide Imeneo

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

L'intervista all'ordinario di Tor Vergata, Leonardo Becchetti, sull'economia circolare apre a riflessioni sullo sviluppo sostenibile al Sud. Vi proponiamo, inoltre, diversi punti di vista sul tema della "decrescita felice", falso mito spacciato come panacea di tutti i mali economici e sociali.

Economia circolare, l'opinione di Leonardo Becchetti

S viluppo sostenibile, nuove forme di approvvigionamento energetico e ruolo della Chiesa nella società 4.0. Questi i temi trattati con Leonardo Becchetti, ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata.

Spesso si sente parlare di sviluppo sostenibile, un concetto che sembra essere antitetico all'idea che il mercato debba crescere sempre. Qual è la sua opinione a riguardo?

L’umanità ha avuto come parole chiave quelle della crescita, della produttività e dell’efficienza, ovvero produrre più beni e servizi in meno tempo possibile. Questo ci ha consentito di fare un enorme balzo in avanti. In duemila anni siamo passati da 230 milioni di persone a 8 miliardi e da un’aspettativa media di vita di 23 anni ad una di 73 anni a livello mondiale. Ora siamo arrivati a toccare i limiti ambientali del pianeta.

La nuova parola chiave deve diventare sostenibilità e circolarità, ovvero creazione di valore economico consumando sempre meno risorse naturali, con la minima impronta d’acqua e di carbonio possibile. E entro il 2050 dobbiamo azzerare le emissioni nette di anidride carbonica se vogliamo evitare che il riscaldamento globale tocchi livelli che rischiano di innescare effetti ancora più negativi di quelli che già viviamo oggi (siccità, eventi climatici estremi, ondate di calore).


I NOSTRI APPROFONDIMENTI: Stai leggendo un contenuto premium creato grazie al sostegno dei nostri abbonati. Scopri anche tu come sostenerci.


Un mercato che cresce sempre è un mercato che consuma sempre più materie prima...ne abbiamo a sufficienza per poterci permettere una crescita perenne?

La parola chiave dell’economia circolare è riuso, riciclo, rigenerazione, ovvero uso di una quota maggiore possibile di materia seconda e non di materia prima. La creazione di valore economico si deve spostare sui servizi e il più possibile sul valore immateriale. Dobbiamo toglierci dalla testa l’idea che la creazione di valore economico sia legato all’utilizzo e sfruttamento di materia prima e slegare sempre di più i due fenomeni. La nostra economia produce troppi scarti e scartati (umani e materiali) e dobbiamo invertire la rotta.

Alcuni propongono una "decrescita felice" come rimedio che garantirebbe uno sviluppo sostenibile: è realmente così?

Circolarità, sostenibilità, rigenerazione e generatività sono le parole chiave del paradigma dell’economia civile che mette al centro il bene comune e la creazione di società che facilitino le condizioni della fioritura della vita umana (life flourishing). Che dipende dai beni relazionali e non certo dalla crescita ossessiva e compulsiva dei consumi di beni materiali. Non dobbiamo passare all’obiettivo opposto della decrescita che non può essere un fine. Qui c’è un equivoco. Per crescita si pensa di solito all’aumento di beni di consumo materiali…se la creazione di valore diventa circolare e sostenibile non c’è bisogno di decrescere.

Secondo lei quali sono i criteri da seguire affinché si persegua l'obiettivo di uno sviluppo realmente sostenibile?

Aumento di quota di materia seconda (riuso, riciclo, rigenerazione), aumento del tasso di utilizzo dei beni di consumo strumentali anche attraverso lo sharing (non c’è bisogno che ognuno di noi possieda un trapano o un tagliaerba se lo usiamo solo per poco tempo al mese/anno), l’aumento della vita media dei prodotti e la gestione efficiente del ciclo dei rifiuti. Dobbiamo minimizzare la produzione di rifiuti non riciclabili. Imitando ciò che fa la natura. In natura non ci sono scarti non riciclabili tutto si riusa. Siamo noi che li abbiamo inventati. Negli anni ’50 eravamo orgogliosi di aver inventato la plastica. Oggi la plastica non riciclabile usa e getta (un materiale che si usa una volta sola e non è riciclabile) è l’antitesi di quell’economia circolare verso cui dobbiamo muovere.


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


La questione energetica è cruciale: come vede il futuro?

Circa il 70% delle emissioni che generiamo dipendono dalla fonte di produzione di energia. Le energie rinnovabili (sole, vento) generano circa 100 volte meno emissioni del gas e 200 volte meno di petrolio e carbone. Sono le meno inquinanti, le meno costose ed eliminano la nostra storica dipendenza dai paesi petroliferi o dalla Russia di Putin.

Ci sarà il problema dei materiali e dei minerali per produrre l’infrastruttura che ci concede di accedere alle fonti rinnovabili (sole e vento di cui disponiamo gratuitamente nel nostro paese) ma il riciclo e lo sviluppo di nuove fabbriche di pannelli e batterie in Europa ridurrà progressivamente il rischio di dipendenza dalla Cina.

Un ruolo importante lo giocheranno le comunità energetiche che saranno un modo diffuso, partecipato attraverso il quale anche noi diventeremo produttori di energia riducendo i costi della bolletta e trasformando l’energia in uno strumento di pace e non in una risorsa strategica per la quale si sono combattute tante guerre. Alle settimane sociali di Taranto abbiamo lanciato l’appello di costruire comunità energetiche nelle nostre diocesi e parrocchie. Con l’uscita tanto attesa dei decreti attuativi è arrivato il momento di partire

L'obiettivo europeo di vietare la vendita di motori a combustione a partire dal 2035 è stato al centro di mille polemiche. Qual è la sua idea in merito?

Il mercato sta andando comunque in quella direzione. Moltissime case automobilistiche hanno programmato di interrompere la vendita dei motori a combustione prima del 2035. Con l’aumento della produzione e le economie di scala i prezzi delle auto elettriche diventeranno uguali e minori a quello delle auto a combustione tra pochi anni. Il 2035 quindi non sarà un problema per i consumatori. L’infrastruttura si adeguerà man mano che la quota di auto elettriche crescerà.

Ci sarà un problema di riconversione della forza lavoro (si prevedono circa 60mila posti in meno nel settore della componentistica su cui siamo molto forti) ma al contempo la transizione ecologica produrrà una quantità di posti di lavoro maggiore. La questione politica importante sarà però la riqualificazione dei lavoratori. Il problema della contemporanea presenza di disoccupati e posti di lavoro vacanti che è già pressante oggi deve essere risolto con adeguate politiche di formazione e riqualificazione della manodopera 

Cosa può fare la Chiesa per sensibilizzare al tema della sostenibilità? Può dare alcuni consigli agli operatori pastorali?

Dobbiamo lavorare sui concetti sviluppati nella Laudato Si. L’ecologia integrale che ci fa riflettere sul fatto che siamo tutti connessi ed interdipendenti e che la questione sociale e quella ambientale sono profondamente collegate tra di loro perché saranno i più poveri a pagare le conseguenze più dure degli shock climatici.

Nei prossimi anni ci si aspettano centinaia di milioni di migranti climatici che abbandoneranno le zone più calde e più povere del pianeta e muoveranno verso i nostri paesi. Dobbiamo rifarci al pensiero di Francesco e all’ecnciclica Laudato Si per ricreare una relazione diversa con la natura e l’ecosistema. La natura infatti non è ornamento o abbellimento ma l’ambiente in cui viviamo che produce servizi essenziali per la vita come la qualità dell’aria, dell’acqua, la fertilità dei suoli.

Il modello economico che abbiamo costruito sino ad oggi mette al rischio questi servizi. Dobbiamo approfondire sempre meglio i suoi segreti e costruire un modello circolare che ne imita le caratteristiche. 


PER APPROFONDIRE: Reggio Calabria: nuovo Master in economia circolare, innovazione e sviluppo locale


Decrescita felice o «sviluppo altro»?

Nell’articolo di copertina di gennaio di “Economia Civile” – prezioso inserto mensile di Avvenire – il giornalista Paolo Alfieri ha fatto un’attenta esamina di differenti posizioni a proposito di “decrescita felice”. Da dove sorge questa espressione?

Davanti al problema della sostenibilità dello sviluppo economico emerge la necessità di porre rimedio al consumo smodato di energia e materie prime. Per porre soluzioni c’è chi parla, in linea generale, di “decrescita”, chi, invece, preferisce parlare della necessità di un “altro sviluppo”, ponendo l’accento sull’attuazione di buone pratiche piuttosto che sul rallentamento della spinta economica. 

Sempre più intellettuali indicano che, attraverso politiche indirizzate a un miglioramento dei servizi universali e al progressivo distacco dall’obiettivo della crescita continua, i Paesi più ricchi possono creare prosperità per le loro comunità riuscendo a utilizzare meno risorse e meno energia. Ma il problema è: come? 

Di seguito proponiamo i pareri degli intellettuali raccolti dal giornalista Paolo Alfieri.

Secondo Francesco Musco, architetto e docente di Tecnica e pianificazione urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia, «occorre spostare l’attenzione dalla convinzione di una dimensione di crescita infinita a una dimensione in cui si possono pensare ad altri parametri sulla valutazione dello sviluppo della società, parametri qualitativi e non quantitativi».

«La crescita infinita – sottolinea Musco - non esiste in nessuna legge della fisica ambientale. E quindi il tema della decrescita deve far porre l’attenzione sul modo di vivere nei nostri contesti urbani, laddove abita l’80% della popolazione umana. Il Covid ha fatto riscoprire la prossimità, la distribuzione dei servizi, ma questo implica anche disegnare la città in modo diverso».

Secondo Musco non è vero che la decrescita indica una riduzione dello sviluppo socio-economico, ma è uno sviluppo che, anziché consumare territorio e risorse, lavora sul recupero e sulla chiusura del ciclo ambientale, sulla città “circolare”, sull’attenzione alla costruzione dal basso».

Per Maurizio Pallante, saggista e fondatore del Movimento per la decrescita felice , «la decrescita non è la diminuzione indiscriminata del Pil, che gli economisti definiscono recessione, né uno slogan per decolonizzare l'immaginario collettivo, ma è la riduzione selettiva e governata degli sprechi e delle inefficienze nei processi di trasformazione delle risorse naturali in beni».

Se la politica economica e industriale non venisse finalizzata alla crescita del Pil, ma alla decrescita selettiva e governata delle inefficienze e degli sprechi, si ridurrebbe l'impatto ambientale del sistema produttivo, si rimetterebbe in moto l'economia e aumenterebbe l'occupazione».

L’energia pulita, secondo Pallante, significa sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili, ma anche con riduzione degli sprechi. Perché, osserva Pallante, «non ha senso produrre energia da fonti rinnovabili e utilizzarla in un sistema economico e produttivo che ne spreca più della metà. Bisogna ridurre la domanda e soddisfare con fonti rinnovabili il fabbisogno residuo. La decrescita non è un'opzione politica, ma una deduzione matematica. Il problema politico da risolvere è come renderla desiderabile socialmente».

Flavio Felice, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università del Molise e visiting professor presso la Pontificia Università Gregoriana e la Pontificia Università Antonianum, non vede da parte sua la decrescita come una scelta «economicamente conveniente»: «La crescita economica è necessaria – osserva –, ma non ancora sufficiente per consentirci di parlare di uno sviluppo integrale».

Per Felice, è il mercato, «se ben regolato e sottoposto a costante controllo, lo strumento che meglio di altri favorisce l'inclusione» ed esso «non tollera la pianificazione: se dal basso emerge una simile esigenza, le istituzioni che presiedono e fondano un’economia di mercato assumeranno la forma affinché tale esigenza sia soddisfatta».

Articoli Correlati