Inclusione e diritti umani, la Città metropolitana protagonista al seminario promosso dal Governo
Il consigliere delegato al Welfare Domenico Mantegna ha rappresentato l’ente di Palazzo Alvaro all’incontro che si è svolto a Cagliari.
Dopo la querelle con le autorità maltesi per il soccorso in mare dei migranti presenti sulla nave militare Diciotti e l’approdo nel porto di Catania, il Ministro dell’Interno Salvini ha tenuto sospese le vite di 177 persone per cinque giorni (20-25 agosto 2018), per iniziare un braccio di ferro con altri Paesi europei disponibili ad accogliere una parte dei migranti, in base ad una relocation tutta politica, fondata su accordi ad hoc con singoli Paesi europei, privi di un protocollo formale, facilmente aggirabili e in parte già sfumati (come nel caso dell’Albania).
Tale fatto, in estrema sintesi, ha condotto il Tribunale di Catania a chiedere l’autorizzazione al Senato (ai sensi dell’art. 96 Cost.) per procedere contro il Ministro Salvini, accusato di sequestro di persona (illecito punito con la reclusione da 3 a 15 anni). Il Tribunale ha respinto la richiesta di archiviazione della Procura di Catania. I giudici catanesi, infatti, affermano che, nel caso di specie, il rifiuto del POS (place of safety) non configurerebbe un atto politico, ma un atto amministrativo adottato sulla scorta di valutazioni politiche, che ha inciso pesantemente sui diritti dei migranti, in violazione della normativa interna e sovranazionale, e non potrebbe, pertanto, essere sottratto al controllo giurisdizionale.
In realtà, volgendo lo sguardo alle politiche migratorie perseguite dal Ministro Salvini, l’atto compiuto nel caso Diciotti sembra essere eminentemente “politico”, ossia libero nel fine, esercizio di un potere discrezionale, insindacabile da parte dei magistrati. Lo stesso Tribunale di Catania, però, mette in discussione “il dogma dell’intangibilità dell’atto politico”, che non potrebbe in nessun caso andare contro i principi fondamentali del nostro ordinamento.
Che possibilità ha il Ministro Salvini di sottrarsi al controllo giurisdizionale? Il Senato potrebbe negare l’autorizzazione a procedere? A norma dell’art. 9, n. 3, della L. cost. n. 1/1989, potrebbe farlo, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo «ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo».
Ma in uno Stato costituzionale l’unico interesse pubblico a dover sempre prevalere è la dignità umana, palesemente violata nel caso Diciotti, in cui non sussistevano – nonostante le dichiarazioni di Salvini – neppure pericoli relativi alla sicurezza pubblica, dato che non è emersa alcuna notizia sulla possibile presenza, tra i migranti soccorsi, di “persone pericolose” per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale. Tuttavia, è probabile che il Senato neghi l’autorizzazione a procedere.
Se ciò dovesse accadere, sarebbero davvero finiti gli “anticorpi” della democrazia costituzionale? Forse, un’altra strada ci sarebbe: sollevare un conflitto di attribuzione fra poteri (Magistratura e Parlamento) davanti alla Corte costituzionale. Infatti, ove pure si ammettesse che Salvini abbia agito per tutelare un preminente interesse pubblico (la “difesa” dei confini nazionali?), l’atto compiuto non è esente dal controllo giurisdizionale circa la ragionevolezza costituzionale (in particolare: adeguatezza e proporzionalità) delle misure adottate per raggiugere tale fine politico.
La soluzione forse più ragionevole, perché rispettosa dei diritti fondamentali dei migranti, sarebbe stata quella di indicare il POS subito dopo l’attracco e permettere ai migranti di sbarcare nel porto di Catania, essere identificati e solo successivamente (eventualmente) rilocati in altri Paesi europei. La mancanza di accordi politici tra i diversi Paesi non può essere pagata al prezzo della violazione della dignità, sicurezza e libertà dei migranti. Questo un Ministro della Repubblica non dovrebbe mai permetterlo e l’opinione pubblica di uno Stato costituzionale mai giustificarlo.
* Assegnista di ricerca Università Mediterranea di Reggio Calabria
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