Avvenire di Calabria

La riflessione del docente universitario sulla situazione dell'area dello Stretto

Castrizio: «Il dio-guadagno sta uccidendo i beni culturali»

Redazione Web

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di Daniele Castrizio - Lo Stretto è stato uno dei principali luoghi della Storia fin dai tempi più remoti. Gli interessi dei Paleontologi si sono appuntati sui fossili delle forme di vita che popolarono questo scenario straordinario fin da quando esso era ancora un mondo sommerso, per poi fiorire di specie animali varie e peculiari, quando l’Uomo era ancora un sogno da sognare. La sponda calabrese è stata il limite meridionale dell’Homo Neanderthalensis nelle sue peregrinazioni europee. Lo Stretto è stato abitato da sempre, conteso e difeso dai propri abitanti nel corso di svariati millenni: ogni generazione ha lasciato le proprie tracce, e tutte insieme hanno contribuito a plasmarlo e renderlo quello che è oggi. Già questa prima considerazione dovrebbe indurci a una riflessione ineludibile nella sua semplicità: noi abitanti del XXI secolo non siamo la fine di un processo durato migliaia di anni; non siamo noi il punto di arrivo, i destinatari e fruitori ultimi. Siamo solo i custodi temporanei, chiamati a conservare e migliorare ciò che ci è stato consegnato dai nostri antenati, intervenendo nel solco della tradizione, senza scempiare e distruggere l’eredità dei nostri figli.
Inutile dire che la situazione dei beni culturali sulle sponde dello Stretto è assolutamente precaria e lasciata a interventi estemporanei, privi di un vero progetto unitario. Ciò premesso, non crediate che io utilizzerò lo spazio a mia disposizione per inutili geremiadi o per puntare l’indice accusatore nei confronti di qualcuno. La vera colpevole è l’ignoranza. L’ignoranza che mille anni di dominazioni straniere ci hanno inculcato come nostro Dna. E, nonostante ciò, dobbiamo trovare la forza per reagire: non si può proteggere ciò che non si ama; d’altra parte, non si può amare ciò che non si conosce.
Ecco, quindi, il nostro primo obiettivo: diffondere la conoscenza delle ricchezze artistiche e paesaggistiche della nostra terra. Superare l’ignoranza si può, avendo l’accortezza di studiare, divulgare e valorizzare i nostri patrimoni. Abbiamo eccellenze, quali i Bronzi di Riace, i Bronzi di Porticello, le aree archeologiche, il patrimonio delle Chiese e dei Musei, che possono essere la base della rinascita culturale e, permettetemi, morale, del nostro popolo, di questi Siculi di qua e di là dal Faro, che si sono uniti ai Greci nell’VIII secolo a.C., dando vita a un popolo famoso per secoli per la sua cultura, saggezza e ricchezza.
Non vi sorprenda, amici, che il primo nemico da abbattere per valorizzare il nostro patrimonio, sia Mammona, il dio–denaro che ha attanagliato il cuore dell’Occidente: è il dio–dollaro che guida e dirige la politica contemporanea; è il dio–guadagno che ha posto sotto i suoi piedi qualsiasi considerazione morale e umana. Per vincere questa battaglia di civiltà, occorre assumere un punto di vista antico, e perciò innovativo. Occorre tornare alla mentalità del De Senectute di Catone il Censore, in cui si vedono i vecchi piantare alberi che non vedranno mai fiorire e dare ombra, mettendo in minoranza l’egoismo della gerontocrazia che ci ha succhiato la linfa fino al midollo. Occorre ritornare sul campo, e promuovere ricerche. Da archeologo mio malgrado, so che siamo assolutamente in ritardo rispetto a una mappatura seria e scientifica del nostro territorio. Bastano pochi esempi: l’Aspromonte è praticamente inesplorato dal punto di vista archeologico; le ricerche sulla costa ionica e su quella tirrenica hanno dato risultati straordinari e aperto tanti filoni di ricerca, ma oggi tutto è fermo. Siamo sopraffatti dal mito della “crisi economica”, che ci ha portato alla paralisi. Ma, dal punto di vista economico, non v’è chi non sappia che la crisi si supera con investimenti, soprattutto nel settore della ricerca e dell’innovazione. Le varie spending review che hanno flagellato l’Italia non porteranno a nulla. Se un contadino, nel corso dei secoli, fosse stato ridotto alla fame, avrebbe piantato tutti i semi che gli fossero rimasti: non si sarebbe tagliato un braccio o una mano. La situazione attuale conviene solo a chi crede che la Finanza sia il modo più semplice per guadagnare cifre astronomiche senza sudare. Il modello di capitalismo finanziario è sbagliato. Quando i governi, o supposti tali, ci dicono che non ci sono soldi per la ricerca, dobbiamo fare loro capire che senza ricerca non ci saranno soldi. È semplicemente il contrario di quanto affermano gli adepti di Mammona. Ripartire dalla ricerca, puntare sui giovani: questa è la ricetta per i beni culturali dello Stretto. Per fare questo occorrerà dotarsi di strumenti che permettano ai nostri figli di avvicinarsi al “loro” territorio: non possiamo più accettare un modello di Scuola e di Università che serva a formare eccellenze che dovranno poi arricchire le terre barbariche del Nord. Non ne posso più di un modello perdente di educazione: studia per emigrare. Voglio urlare, invece: studia, per rendere civile e ricca la tua terra.

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