Avvenire di Calabria

Censis, non c’è solo il rancore

L'analisi di Paolo Bustaffa sui dati diffusi in merito all'economia italiana

Paolo Bustaffa

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

“Gli italiani cercano il benessere soggettivo nella felicità di ogni giorno”: è una delle considerazioni emerse al termine della lettura del 51° rapporto del Censis presentato nei giorni scorsi.
Non è una rivelazione sorprendente perché da anni l’individualismo e il soggettivismo sono sul tavolo degli analisti, degli esperti, degli opinionisti.
Si parlava, in tempi non lontani, della “solidarietà degli egoismi” per segnalare il rafforzarsi di un’alleanza tra soggettivismi affini a difesa della propria “felicità di ogni giorno”.
Oggi questi gruppi avvertono un declassamento sociale che, nell’epoca della globalizzazione, rende difficile se non impossibile una linea autodifensiva.
E così si è rafforzato un rancore in più direzioni che, secondo il Censis, trova nei social un luogo privilegiato dove alzare toni e tensioni.
La società del rancore – racconta la cronaca quotidiana – alza la voce ma anche chiede soluzioni che diano certezze e sicurezze in un’epoca di rapidi cambiamenti.
Ma con il rancore si può raggiungere questa meta?
Non è forse necessario qualcos’altro?
Il Censis afferma che le famiglie italiane hanno destinato negli ultimi dieci anni ai servizi culturali e ricreativi una spesa, in crescita, del 12,5%.
Un dato superiore a quello di molti altri Paesi europei.
Analizzando le voci di spesa, nasce tuttavia una domanda: la cultura può fermarsi alla fruizione di musei, mostre, cinema, computer, smartphone, oppure ha anche altri orizzonti quali l’educazione e la formazione della coscienza?
Il rancore non dipende forse da un’eclissi del pensiero?
Quella che i media chiamano “onda nera” non è, per esempio, un’espressione rancorosa di un pensiero malato, di un’incapacità di dialogo, di una perdita della memoria?
Non è forse anche questo il risultato di un sistematico cancellare le tracce di umanità per sostituirle con le impronte degli stivali dell’arroganza, della violenza, del rifiuto, della paura?
Dal rancore all’odio il passo è breve e si entra nel buio dove sono maturate e maturano scelte che hanno provocato e ancora provocano immani tragedie.
C’è da rabbrividire ma ancor più c’è da sostenere i molti che, nel nostro Paese, hanno a cuore la dignità dell’uomo. È un lungo elenco. A loro il compito di non tacere, di prendere con forza la parola per dire che il Paese del rancore non è l’unica e l’ultima immagine dell’Italia.
Ai media il compito di non abbandonarli ai bordi della cronaca, di raccontarli perché le loro tracce di umanità sono tracce verso il futuro.

Articoli Correlati