Carta d’impegno tra Associazione Consulta Giovani e MetroCity
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“Camminare insieme”, ecco cosa vuol dire la parola Sinodo, nell'originale greco. Una definizione perfetta per quello del 2018, un anno nel quale Papa Francesco ha deciso di ascoltare le voci dei giovani di tutto il mondo. Cattolici e non cattolici insieme, fisicamente e sui social, per partorire un documento presinodale che anticipa i temi su cui l'assemblea dei vescovi sarà chiamata a lavorare. Nella nostra diocesi, uno dei sacerdoti che ha dedicato il proprio ministero al servizio dei ragazzi è il parroco di Santa Maria Cattolica dei Greci, Don Valerio Chiovaro. È direttore della pastorale universitaria, oltre ad aver fondato e presiedere Attendiamoci, un'associazione che fa della formazione dei giovani la propria “mission”.
La rete, la scoperta della sessualità, i punti più “duri” del catechismo. Ecco alcune delle questioni sollevate nel documento presinodale. Nella sua esperienza, sono problemi sentiti dai ragazzi di oggi?
Probabilmente i giovani, quelli che non frequentano alcuna attività catechetica o parrocchiale in genere, non avvertono alcune di queste questioni come problematiche. Vivono schiacciati sul momento, come questa cultura del consumismo educa a fare.
I giovani della pastorale universitaria reggina, comunque, hanno anche problemi più “tangibili” da affrontare: la disoccupazione, la depressione economica, l'emigrazione. Come ci si confronta con queste sfide?
I giovani della pastorale universitaria sono un “target” particolare. Si tratta di quei ragazzi che hanno deciso di continuare a studiare e, in qualche misura, rimandano a dopo il "patema d'animo" dell'introduzione nel mondo del lavoro. Comincia lì, però, il fenomeno dell'emigrazione. La nostra città si spopola così di tanta linfa vitale. Come pastorale universitaria, abbiamo deciso di seguire questi studenti che vanno fuori, aprendo delle sedi nelle città universitarie: qui accompagniamo e formiamo gli universitari provenienti da Reggio per aiutarli ad integrarsi nel contesto sociale e accademico della città dove vivranno gli anni della formazione. Creando dei legami di amicizia e continuando il rapporto educativo con la diocesi di provenienza, siamo convinti che questi giovani continueranno a sentirsi parte di una Chiesa che esce verso di loro e li accompagna nei momenti difficili o particolari della loro vita. Per venire a capo di queste situazioni, da tempo organizziamo diverse attività formative come i campi di orientamento universitario o di inserimento nel mondo del lavoro, oltre che quello di metodologia dell'apprendimento: si tratta di esperienze utili alla formazione a tutto tondo, favorita con testimonianze, interventi, casi di studio, ma soprattutto con la vita in comune.
A livello locale, cosa chiedono i nostri studenti ed i nostri universitari alla Chiesa?
Forse in maniera esplicita, purtroppo, non chiedono nulla. Ma da buoni educatori dovremmo cogliere le domande inespresse, i bisogni autentici. È propria dei giovani la necessità di riferimenti credibili che testimonino i valori alti della vita Cristiana. Forse chiedono una Chiesa più vicina ai problemi di ogni giorno, alla vita normale. Una Chiesa che con povertà e sobrietà sappia stare accanto a tutti. Che non sia espressione di potere e assoggettata ai poteri dominanti. Che non sia rinchiusa negli schemi di un social, nello schema dell'apparire. Che sappia offrire spazi per una più significativa partecipazione alla vita, “pensatoi” dove condividere progetti. Forse vorrebbero una maggiore prossimità, un esserci, uno starci, un potersi fidare...quella pacca sulla spalla che fa vincere i tentennamenti nelle situazioni di passaggio.
Oltre ad essere il direttore della pastorale universitaria, lei ha 17 anni di esperienza alla guida di Attendiamoci. Come ed in cosa sono cambiati in quasi 20 anni i sogni, le esigenze e le richieste dei ragazzi di Reggio?
Attendiamoci da sempre è stato, tra le altre cose, il braccio operativo della pastorale universitaria. In questi vent'anni il panorama del mondo giovanile è completamente cambiato. Si sono attraversate diverse stagioni: entusiasmo, domande, sogni. Oggi mi sembra una stagione un po' grigia: i giovani li vedo più fragili, più demotivati. La stessa proposta accademica, anche a livello nazionale, ha perso di spessore. Le valutazioni sulle Università, fatte anche in ordine al numero dei laureati in corso, non sempre hanno comportato un miglioramento della proposta formativa e quindi una formazione competitiva. Le esigenze e sogni dei ragazzi oggi sembrano essere meno aleatori e più concreti. E se da un lato questo è un bene, dall'altro sembra si sia persa la forza trainante dei sogni, la motivazione forte al miglioramento possibile.
Quanto è importante, a livello pastorale, educare i genitori a riconoscere le istanze dei figli?
I genitori sono l'anello nevralgico della dimensione educativa. È di fondamentale importanza il loro coinvolgimento, specialmente in ottica di prevenzione del disagio.
Quali sono le qualità che la Chiesa dovrà avere per accogliere e ricevere i giovani nel corso dell'anno a loro dedicato?
Le qualità della chiesa mi sembrano ben descritte nella pagina degli Atti degli Apostoli che racconta del mendicante al tempio. Dinanzi alla mano tesa Pietro e Giovanni dicono: «Guarda verso di noi». Quindi Pietro incalza: «Non possiedo ne argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno alzati e cammina! E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio». Questo mi sembra sia l'atteggiamento migliore: incrociare gli sguardi, allungare la mano, sollevare, guarire. Perché anche i giovani passino dalla dimensione del questuante alla bellezza della lode nel tempio dell'esistenza.
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