Carta d’impegno tra Associazione Consulta Giovani e MetroCity
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Santo Federico, giovane di Azione cattolica della parrocchia San Biagio in Gallico di Reggio Calabria, rientrato pochi giorni fa, è stato a Betlemme dal 5 al 15 febbraio presso l’Hogar Niño Dios, una casa di accoglienza per bambini disabili fisici e mentali, abbandonati o in grave necessità, gestita dalle religiose e dai religiosi della Famiglia del Verbo incarnato. Abbiamo raggiunto Santo per farci racccontare questa straordinaria esperienza: «”Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. È con questo versetto che mi piace raccontare i miei dieci giorni vissuti a Betlemme, grazie al progetto Al vedere la stella, promosso dall’Ac. Ho vissuto un servizio dedicato al prossimo, mettendo da parte i miei egoismi che ogni tanto affiorano prendendo il sopravvento e offuscano la mia vista». In ogni gesto all’interno della casa, Santo racconta di aver potuto «cogliere e riconoscere l’amore e la presenza di Dio, presenza che si incarna nel servizio delle suore, nel loro esserci e donarsi al prossimo, in questo caso a dei bambini e ragazzi diversamente abili, trattandoli come dei figli, ponendoli al centro della loro giornata e della loro vita; bambini colmi di gioia capaci di trasmettere un affetto veramente singolare». Vederli sorridere e gioire «è stata un’emozione immensa – continua Santo – perché ho colto nel loro sguardo, nei gesti teneri e nel loro bisogno delle mie cure quanto è grande il Signore che dona a ognuno di loro non solo un tetto per vivere ma anche mani da stringere e affetti da condividere». Ognuno dei volontari entrando in quella casa ne é diventato, giorno dopo giorno, a pieno titolo «fratello, sorella e madre, ricercando in quei volti il volto di Gesù il quale ci ricorda: chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me».
Santo riassume la sua straordinaria esperienza con la frase conclusiva del film Benvenuti al Sud: «Quando un forestiero viene a Casa Hogar piange due volte: quando arriva e quando parte». «Il pianto iniziale, ci confida, è maturato più per la paura di non essere all’altezza, di sbagliare, di essere di troppo, di non essere in grado di trasmettere tutto il tuo affetto a ogni singolo ospite della casa; quello finale c’è stato perché è arrivato il tempo dei saluti e l’esperienza è giunta al termine». Così, durante il viaggio di ritorno, Santo ha avvertito di aver lasciato a Betlemme, proprio in quella casa, che lo ha visto cinto del grembiule, un pezzo del suo cuore. «Sentivo, inoltre, che quei bambini, quelle suore, quei nuovi amici, in sintesi, quella nuova famiglia era ormai parte di me; e nonostante, appena aperti gli occhi, ti ritrovi già in Italia, a casa tua, tra la tua gente, impari a vedere il tuo mondo di sempre con una luce nuova riscoprendo la vita come un dono. Per questo sento di affidare a quanti hanno avuto il coraggio di leggere fino in fondo questo mio racconto, quanto scrisse Madre Teresa di Calcutta: “La vita è vita: Vivila!”».
Ma da dove nasce questa esperienza? Era maggio del 2017, quando il Presidente nazionale di Azione cattolica, Matteo Truffelli, presentava durante l’assemblea nazionale il progetto di servizio Al vedere la Stella: «La presidenza nazionale ha scelto come segno del centocinquantesimo anniversario dalla nascita dell’Ac, di dare vita a un progetto che nasce dalla nostra storia ma che non celebra la nostra storia, anzi, si immerge nel presente per seminare futuro. Un progetto che nasce dal legame che da molto tempo custodiamo con la Terra Santa, là dove il futuro è nato, dove il tempo e la storia hanno assunto pienezza di significato, e che vuole essere un modo per prenderci cura del presente». Si tratta di una proposta, continua il presidente Truffelli, «che ogni mese porterà a Betlemme un piccolo gruppo di persone per toccare e servire la carne di coloro che ci mostrano, oggi, il volto di chi continua a nascere nella mangiatoia perché non trova posto altrove: i più deboli tra i deboli, i piccoli che vengono ospitati in un centro che accoglie bambini e ragazzi con disabilità gravi, molto spesso rifiutati o abbandonati per necessità dalle loro famiglie, le quali a loro volta vivono in condizioni difficilissime, dimenticate dal mondo, chiuse al di là di un muro».
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