Il peso delle culle vuote non gravi solo sulle donne
«Apocalisse demografica» è l’espressione usata a Cernobbio in un dibattito del Forum Ambrosetti per lanciare
I numeri dell'inverno demografico non risparmiano la Calabria: la denatalità è ormai un fenomeno con cui fare i conti. Abbiamo provato a capirne di più sotto due aspetti: sociale ed economico. Il tema portante è sempre quello della precarietà.
di Domenico Marino * - I l calo delle nascite, già in corso da più di un decennio, si è aggravato con la pandemia, portando l’Italia all’ultimo posto in Europa per numero di nascite. La prospettiva è che la popolazione potrebbe dimezzarsi entro il 2100.
I NOSTRI APPROFONDIMENTI: Stai leggendo un contenuto premium creato grazie al sostegno dei nostri abbonati. Scopri anche tu come sostenerci.
Vi sono anche forti differenze territoriali nelle nascite, con Mezzogiorno che registra numeri più bassi, principalmente a causa dello spopolamento. Anche nelle grandi città la situazione è preoccupante, mentre sono le piccole città ad avere tassi di natalità relativamente più alti, grazie al contributo dei migranti e ai servizi pubblici efficienti.
Il confronto con altri paesi europei mostra che l’Italia ha un tasso di natalità particolarmente basso, con solo 6,8 nati ogni mille abitanti nel 2020, rispetto alla media di 8,9 nell’area euro.
La Germania, al contrario, ha migliorato i suoi tassi di natalità negli ultimi anni grazie a specifiche politiche orientate alla famiglia e all’integrazione dell’immigrazione. Le conseguenze economiche della denatalità rappresentano una sfida complessa e multidimensionale che si ripercuote su vari aspetti della società.
In primo luogo, una diminuzione delle nascite porta a un invecchiamento della popolazione, il che ha implicazioni significative per la forza lavoro e i sistemi di welfare. In una società con un basso tasso di natalità il peso sui sistemi di welfare è crescente.
La denatalità può anche avere un impatto sulla politica fiscale e sull’investimento in settori chiave come l’educazione. Con meno bambini e giovani, potrebbe esserci una riduzione della domanda per servizi educativi.
Per tentare di contrastare il fenomeno un aspetto importante è offrire incentivi economici diretti alle famiglie, come assegni o bonus per i nuovi nati. Questi incentivi dovrebbero essere strutturati in modo da fornire un sostegno continuativo, aumentando per esempio con l’arrivo di ogni nuovo figlio.
Allo stesso tempo, occorre concentrarsi sull’ampliamento dei servizi di supporto, come asili nido e scuole materne a basso costo o gratuiti. Questo non solo aiuta a ridurre il carico finanziario sulle famiglie, ma facilita anche il rientro delle donne nel mondo del lavoro dopo il parto, permettendo una conciliazione fra maternità e uguaglianza di genere nel mondo del lavoro.
La creazione di un ambiente lavorativo più flessibile e favorevole alle famiglie è fondamentale, realizzando politiche che supportino la conciliazione dei tempi di vita, come orari di lavoro flessibili, la possibilità di lavorare da casa e una maggiore sicurezza e stabilità lavorativa per i giovani genitori.
Ma un effetto positivo dal punto di vista demografico può essere dato da politiche per l’integrazione degli immigrati e la gestione intelligente dei flussi migratori. L’immigrazione non deve essere vista come un problema, ma come una risorsa, perché appare importante utilizzare contro la denatalità il miglioramento demografico che i flussi migratori inducono nella dinamica della popolazione.
Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE
Gli immigrati hanno generalmente un’età media più bassa rispetto ai residenti e un tasso di fertilità superiore. L’ingresso di immigrati, quindi, produce un ringiovanimento della popolazione e da questo ringiovanimento derivano tutta una serie di benefici economici. In primo luogo aumenta il gettito fiscale in quanto, generalmente, gli immigrati appartengono alla popolazione attiva e, pertanto, tendono a produrre reddito e a pagare le tasse sui redditi prodotti.
Inoltre contribuiscono ad aiutare il bilancio pensionistico che altrimenti in Italia sarebbe fortemente deficitario. Il sistema pensionistico italiano è basato sul cosiddetto pay as you go, ossia su uno scambio intergenerazionale in cui chi oggi lavora paga la pensione a coloro che sono già in quiescenza.
Oggi a causa della denatalità che causa un allungamento dell’età media e un invecchiamento della popolazione il numero delle prestazioni pensionistiche tende ad avvicinarsi al numero degli occupati, facendo crescere la spesa pensionistica e mandando in crisi il sistema. In assenza di flussi migratori il nostro sistema pensionistico sarebbe molto meno sostenibile di quanto non lo sia adesso.
Contrastare la denatalità può stabilizzare la forza lavoro, garantire la sostenibilità dei sistemi di welfare, promuovere la crescita economica e mantenere un equilibrio demografico. Questo aiuta a ridurre il carico fiscale sui giovani e assicura una società più dinamica e innovativa a lungo termine. Ma i politici sull’argomento preferiscono chiacchierare…
* Docente UniRc
di Federico Minniti - Il dibattito sulla denatalità troppo spesso assume toni teorici abbastanza lontani da quanti - quotidianamente - devono farne i conti. Sgomberato il campo da insistenti teorie child-free che certamente aumentano nei numeri il fenomeno, ma non lo caratterizzano (per il momento!), bisogna calarsi nella realtà delle coppie che decidono di diventare famiglia dove - da un giorno all’altro - giunge la notizia dell’arrivo di un figlio o figlia.
La gioia è incontenibile e, settimana dopo settimana, i sogni si moltiplicano così come diventa sempre più ingombrante la sola punta di un iceberg dentro il salotto di casa: come fronteggeremo tutte le spese adesso? Si dirà (ed è sacrosanto) che da sempre i figli sono stati un costo per le famiglie, qualcuno lo definisce «il più bel investimento della propria vita» ciò che è cambiato diametralmente è la composizione lavorativa-reddituale delle famiglie addensata di precariato storico e partite Iva che, spesso, sono i nemici numeri uno delle famiglie numerose (ormai quasi un’utopia).
PER APPROFONDIRE: I figli indesiderati e il desiderio di maternità
Sarebbe banale, e non è nostra intenzione, ridurre il problema della denatalità al solo problema della gestione economica, ma - di fatti - questo è il primo ineluttabile scoglio. A cui si aggiunge un altro: quello del «si è sempre fatto così» che mette in fuorigioco la sobrietà.
Di fronte a un bambino o una bambina che nasce non c’è limite che regga: in questo, bisogna essere chiari, la fanno da gigante le famiglie d’origine pronte a rivangare i fasti degli anni ‘80-’90. Ma è davvero necessario? Quanta speculazione consumistica c’è dietro tutto questo? Un’escalation che non è destinata a fermarsi praticamente mai. E qui, la nostra osservazione, si biforca.
Da un lato, nel nome del «spendi e spandi» c’è anche tutto ciò che orbita attorno alla gravidanza e alla nascita in tema di salute. Visite specialistiche, esami d’ultima generazione e professionisti “a pagamento” la fanno da padroni. In questo andrebbe sì investito di più sulla sanità del territorio, ma anche fatto un investimento rispetto al paradigma culturale che recita testualmente: «Privato è meglio». Non è così e - ormai - lo sappiamo (quasi) tutti.
Parlavamo di biforcazione poco fa. Ci spieghiamo meglio: se da un lato, alla voce “No Limits”, c’è la spesa sanitaria, dall’altra c’è l’ambizione per ciò che il pargoletto o la pargoletta dovranno diventare “da grandi”. Una sorta di rincorsa all’ultima moda che evidentemente non si pone il grande Italia sempre più in inverno demografico: cause ed effetti quesito ineluttabile: «Sto facendo il bene di mio figlio?».
Come si può comprendere, a nostro modo di vedere, il problema della denatalità è strettamente legato a ciò che sono in grado di rinunciare io e - per alcuni potrebbe sembrare un’eresia - mio figlio o mia figlia nel percorso della nostra vita. Quante volte ci sentiamo dire: «Con un solo figlio posso mantenergli tutto ciò che vuole?».
È una frase razionale, ma che valore ha - ad esempio - donargli la compagnia di un fratello o una sorella per tutto il resto della sua esistenza? Cosa conta di più? Quale privazione viene prima nella nostra scala dei valori? Quella economica o quella relazionale?
Tutto questo ovviamente non assolve in minima parte una politica che fa della famiglia solo una bandiera dietro la quale sventolare valori spesso di facciata. I bonus sono insufficienti e, a volte, sembrano dei contentini piuttosto che dei veri e propri aiuti. Ma questo è. Lo Stato non è un bancomat e, in fondo, non si pensa di mettere al mondo una vita perché ci sarà chi pagherà per te l’asilo nido. Ciò che serve, piuttosto, è ricalibrare le città a misura di famiglia.
Questa sì che è una responsabilità tangibile e che potrebbe essere accolta con un pizzico in più di attenzione da parte dei vari amministratori locali. Non esistono oasi felici, ma esistono spazi pensati per genitori coi propri figli.
In questo senso è fondamentale il collante valoriale della Chiesa, una famiglia fatta da famiglie, capace di accogliere e custodire la bellezza del crescere insieme. In fondo dietro calcoli, ambizioni e prospettive, ciò che è più rafforza è la capacità di essere testimoni credibili.
Ed è questo l’ultimo stralcio di riflessione: ai nonni o futuri nonni chiediamo di essere da esempio alle giovani coppie. Restando “boomers”, ma mostrando la via del sacrificio e della condivisione. Nonostante tutto.
«Apocalisse demografica» è l’espressione usata a Cernobbio in un dibattito del Forum Ambrosetti per lanciare
“La tv negli anni Sessanta è stato il grande educatore sociale, oggi tv e social
Tags: denatalità