Droga, salvarsi è possibile: «Così abbiamo detto no alla dipendenza»
Una giovane ex tossicodipendente e la madre di un ragazzo spiegano come si può uscire dal drammatico tunnel delle dipendenze. Il pm Musolino parla di «droghe come fregatura».
660mila, i ragazzi che hanno fatto uso di sostanze psicoattive illegali nel corso del 2018; 334, le morti per overdose nel corso del 2018: una vittima ogni 26 ore, per intendersi, con un raddoppio dei decessi fra le donne; 460mila, le persone che hanno bisogno di trattamenti terapeutici per una dipendenza conclamata. Da droga, da alcol ma anche da gioco d’azzardo. Ma di dipendenze non ne parla più nessuno o quasi.
Fragili, immunodepressi, a rischio. Eppure completamente dimenticati, proprio come prima che scoppiasse la pandemia. Se c’è un capitolo assente dalle agende del governo, per cui nessun protocollo scientifico di sicurezza è stato stilato e tanto meno immaginato, è quello delle migliaia di giovani con dipendenze. Figli d’Italia – studenti, disoccupati, al primo impiego – che hanno attraversato il deserto del lockdown assieme al loro incubo: chi nelle comunità, dove ad accompagnarli sono rimasti a titolo esclusivamente volontario (spesso del tutto privi di dispositivi di protezione) la maggior parte degli educatori e degli operatori; chi chiuso in casa, in astinenza, o alla ricerca disperata di droga sull’unico canale che è stato in grado di garantirla lontano dalla strada, cioè il web.
L’allarme consumi e servizi Dimezzati, causa quarantena generale, i servizi diurni e i Serd (che hanno garantito per lo più il metadone), azzerati i nuovi ingressi nelle comunità (messe ulteriormente in ginocchio, per altro, dal blocco economico), polverizzati i progetti in corso (tra cui la revisione della vecchia legge sulle dipendenze), nel campo della presa in carico dei più fragili fra i ragazzi ora si rischia di fare un balzo indietro di anni. Col risultato prevedibile – visto che lo spaccio invece continua, fiorente – che alla fine tornino proprio le sostanze a vincere. La situazione è allarmante. Nelle ultime due settimane casi di overdose si sono registrati un po’ ovunque lungo lo stivale, come atteso: le riaperture hanno portato con sé il ritorno sulla strada di tanti giovani restati in astinenza forzata durante il lockdown. E fuori dalle comunità, prima chiuse ed ora contingentate, la fila delle attese è aumentata all’inverosimile. Ma di allarmi il mondo delle comunità ne ha lanciati a ripetizione negli ultimi anni, inascoltato: i dati dell’ultima Relazione al Parlamento sulle droghe avevano evidenziato una drammatica crescita nei consumi, specie tra i minorenni, e un trend crescente di morti (in media uno ogni 26 ore).
Lo spartiacque Covid «Poi è arrivato il Covid e le strutture che accolgono questi “esseri in fuga”, non solo i tossicodipendenti ma sempre più spesso anche i malati psichiatrici, gli scarti, sono rimaste invisibili. Periferie troppo lontane dai riflettori». A prendere carta e penna qualche giorno fa sono stati Biagio Sciortino, presidente nazionale di Intercear-Rete dei coordinamenti regionali degli enti accreditati per le dipendenze, Luciano Squillaci, presidente nazionale della (Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), e padre Salvatore Lo Bue, presidente della Casa dei Giovani (Bagheria). Uno sfogo in una lettera aperta: «Nelle nostre strutture – evidenziano le comunità – si è capito subito che non bastava limitarsi a fare delle richieste ad autorità superiori, ma bisognava rimboccarsi le maniche e operare autonomamente delle scelte per salvaguardare i ragazzi ». E così è stato: «L’isolamento è stato scelto prim’ancora che baluginasse alla mente degli esperti nazionali» o che scoppiasse il ben più noto caso delle Rsa. «Grazie a questa decisione in parecchie centinaia di comunità terapeutiche italiane non si sono registrati casi di positività al Covid-19 e non perché, come dice qualcuno, i tossicodipendenti sono immuni: al contrario, l’uso di droghe abbassa le difese immunitarie».
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