Avvenire di Calabria

Nell'Aula magna del Seminario arcivescovile Pio XI il primo dei quattro incontri dedicati al mondo del giornalismo e della comunicazione

Educare al digitale, da Reggio Calabria parte una nuova sfida comunitaria

A confronto sul tema: Stefania Garassini (Università Cattolica di Milano), Vincenzo Varagona (presidente Ucsi) e Mauro Ungaro (presidente Fisc)

di Davide Imeneo e Francesco Chindemi

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Venerdì 20 ottobre l’Aula magna del Seminario arcivescovile Pio XI di Reggio Calabria ha ospitato la tavola rotonda "Educare al digitale, una sfida comunitaria", il primo di quattro incontri dedicati al mondo del giornalismo e della comunicazione. Si tratta di un percorso organizzato dall’Istituto diocesano di formazione politico sociale “Monsignor Antonio Lanza”, dall'Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali e da Avvenire di Calabria.

Educare il digitale, da Morrone a Garassini: perché è una nuova sfida

L'idea della Tavola Rotonda è nata dall’esigenza manifestata dall’arcivescovo di Reggio Calabria - Bova, monsignor Fortunato Morrone nella sua prima lettera pastorale “Al Passo di Gesù” consegnata alla comunità diocesana all’inizio del nuovo anno pastorale. Nel testo il presule ha manifestato «il desiderio di porre attenzione alle Comunicazioni sociali, “oggi così determinanti e incidenti eticamente nelle relazioni umane pubbliche e private, specialmente con i vari Media e Social, che pervadono la vita delle nuove generazioni”».

L'auspicio del presule è stato sottolineato da don Davide Imeneo, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi reggina e di “Avvenire di Calabria” nel suo intervento introduttivo. In ottica sinodale, ha quindi aggiunto il sacerdote, per corrispondere all'esigenza manifestata dal vescovo, si è abbracciata la strada del confronto, inizialmente con Magda Galati direttrice dell’Istituto “Lanza” e, successivamente, con il presidente dell’ordine dei giornalisti della Calabria, Giuseppe Soluri. Nel pensare a questa tavola rotonda, ci si è dunque chiesti, ha detto ancora Imeneo, «come poter contribuire alla formazione di operatori pastorali, genitori, insegnanti, operatori della comunicazione e giornalisti. Erano accaduti da poco i fatti di Palermo e Caivano, è stato immediatamente spontaneo, quindi, pensare ai minori e al loro uso delle piattaforme digitali, spesso non mediato e altrettanto spesso non accompagnato».


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Ha preso, dunque, la parola per un saluto iniziale lo stesso arcivescovo. Morrone, parafrasando il titolo dell’iniziativa, ha parlato di «educazione al digitale», come una «grande sfida» e, allo stesso tempo «una grande opportunità». Oggi, ha aggiunto il presidente della Cec, «siamo proiettati in un contesto fatto di grandi cambiamenti e forti accelerazioni. Emerge l’esigenza, non solo tra gli educatori, di abitare anche il mondo digitale. Ma la sfida non può essere relegata ai singoli, va affrontata insieme». Morrone ha citato l’insegnamento di San Paolo, primo comunicatore della storia. «Come l’apostolo ha utilizzato gli strumenti della sua epoca, anche noi oggi siamo chiamati ad abitare questo nostro tempo con intelligenza attraverso i nuovi strumenti che abbiamo a disposizione. Ecco perché - ancora il presule - non parlerei solo di educazione al digitale, ma anche con il digitale».

Da sinistra: Morrone, Imeneo, Garassini, Soluri e Varagona

L'arcivescovo si è poi soffermato sul ruolo dell’informazione, all’interno di un mondo fatto di repentini cambiamenti: «svolge un ruolo importante nel momento in cui - ha detto - dà voce a chi non ce l’ha, in particolare agli “ultimi”». Una missione a cui è chiamata, soprattutto, la stampa cattolica. Da qui la funzione «anche pedagogica del giornalismo», di cui ha parlato il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria, Giuseppe Soluri.

«La prerogativa è informare e farlo bene. Internet - ha detto - ha rivoluzionato il mondo dell’informazione, ma lo ha anche inquinato. In questo mare magnum il giornalista si deve distinguere per serietà ed equilibrio. Soprattutto di educazione al digitale, ma anche di informazione, ha parlato la professoressa Stefania Garassini. Giornalista professionista, esperta di educazione ai media, la docente dell’Università Cattolica si è soffermata sulla sfida educativa a cui sono chiamati prima di tutto i genitori, «ad avvertire il peso di non riuscire a superare la forte pressione legata all’impiego anticipato degli strumenti digitali».

La soluzione non è lasciare fuori i ragazzini dal mondo digitale. «Bisogna impegnarsi però - il consiglio della docente della Cattolica - perché il loro accesso avvenga in modo graduale». Garassini lo spiega bene nel suo libro, “Smartphone, 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)”.

Stefania Garassini (UniCatt)

L’auspicio è «evitare di considerare normale ciò che nei fatti non lo è, come ad esempio l’esposizione ad uno schermo in tenera età. Anche l’accesso ai Social media - ancora il consiglio di Garassini - deve essere graduale, fin quando il ragazzo non sarà pronto ad entrarvi con un approccio critico e con la capacità di starci bene e, soprattutto, per il bene».

Oltre a Stefania Garassini, sono intervenuti ai lavori anche Vincenzo Varagona presidente dell'Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana) e in video conferenza Mauro Ungaro presidente della Fisc (Federazione italiana dei settimanali cattolici) di cui vi proponiamo le interviste qui di seguito.

Dopo questo primo incontro, invece, il percorso diocesano sul giornalismo prevede questi appuntamenti: il 12 gennaio verrà a Reggio Claudio Turrini, che interverrà sul tema “Politica e comunicazione, il caso La Pira”. Il 2 febbraio sarà ospite Nello Scavo, inviato di guerra di Avvenire. Offrirà la sua riflessione sul tema “Raccontare la guerra e i crimini contro i diritti umani”. Il primo marzo il direttore di Avvenire, Marco Girardo, interverrà su “Transizione digitale, perché anche i giornali devono affrontarla”.

Varagona (Ucsi): « La nuova sfida è anche pedagogica»

Intervista di Davide Imeneo

Dalle guerre, alle nuove povertà, fino all’intelligenza artificiale. Il giornalismo, oggi più che mai, è chiamato a una nuova sfida anche pedagogica. In particolare il giornalismo cattolico, ma non solo. Ne abbiamo parlato con il presidente Ucsi, Vincenzo Varagona, a margine del convegno “Educare al digitale” che si è svolto venerdì a Reggio Calabria.

Da sinistra, Soluri (Odg Calabria) e Varagona (Ucsi)

Perché c’è ancora bisogno di giornalisti cattolici in questo tempo?

Direi innanzitutto che c’è urgenza di uno stile diverso di fare informazione. Uno stile che risponda all’appello di papa Francesco, che da tempo parla con insistenza del ritorno al consumo della suola delle scarpe, ci invita a usare empatia, ad ascoltare con l’orecchio del cuore, a rinunciare a schemi mentali precostituiti, e anzi a essere disponibili a cambiare idea, qualora il materiale raccolto nel nostro lavoro ci porti si un’altra strada rispetto a quella cui avevamo pensato. Insomma, una rivoluzione copernicana rispetto ai comportamenti abituali nelle redazioni. Siccome, poi, risulta evidente che stiamo vivendo una crisi di fiducia e credibilità molto importante, queste indicazioni possono davvero fare la differenza. Ecco, io. credo che il giornalista animato dalla fede possa, in qualche modo, avere una forte motivazione in più per attivare questa rivoluzione.

Viviamo una stagione surreale, tra guerre e nuove povertà. Come raccontare la speranza?

C’è un biblista, molto conosciuto, padre Alberto Maggi, che rispondendo a una domanda del genere, che gli era stata posta in un incontro alla Fraternità di Romena, davanti a 500 persone, ha risposto dicendo: se si ha la fede, non possiamo parlare di speranza, ma di certezza! La differenza fra speranza e certezza la facciamo noi, con i nostri dubbi, le nostre incertezze, ad esempio, sulla parte con cui stare. L’esempio degli ultimi mesi è solare. C’è un giornale, in particolare, che ha deciso con grande chiarezza da che parte stare, sostenendo la voce del papa, ad esempio, ed è diventato il quarto giornale italiano. Certo che la confusione è tanta e viviamo in un mondo surreale. L’importante è non lasciarsi dominare dal pensiero unico, fornirsi di strumenti che ci consentano di leggere criticamente la realtà e poi, agire di conseguenza.

Il giornalismo gioca anche un ruolo educativo? In che termini?

Questo è un tema antico. I “vecchi” maestri della professione insegnavano che il giornalismo deve raccontare fatti, non opinioni, e comunque, eventualmente, separare le due cose e che comunque non possa avere una funzione educativa. Un illustre collega inseriva tra le dieci regole del giornalismo quella secondo cui occorre diffidare da chi dice che l’oggettività non esiste. Sull’argomento sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Io rispondo con un teorema facile facile: il test di una sana democrazia è una sana informazione. Il test di una sana informazione è una sana opinione pubblica. La sana politica avrebbe tutto l’interesse a non mettere bavagli ai giornalisti. I bravi giornalisti hanno tutto l’interesse ad avere addosso gli occhi della gente. Per questo dico che una parte della professione andrebbe esercitata nelle scuole, dove nasce l’opinione pubblica dell’oggi e del domani.

Tra intelligenza artificiale e Fake News…cosa resterà della professione giornalistica?

Il giornalista che ha paura dell’intelligenza artificiale è meglio cambi mestiere, perché non si può avere paura dei cambiamenti, a volte delle rivoluzioni. Occorre invece saperle governare. Si è sempre avuta la paura dei cambiamenti, fin dall’avvento della stampa, poi del telefono e in tempi più recenti del computer e del web2.0. Poi si è capito che gestendole con intelligenza, le novità aiutano, non danneggiano. Oggi la vera paura è che l’intelligenza artificiale faccia meglio del cattivo giornalismo. Se serve come stimolo a fare meglio, ben venga l’intelligenza artificiale, che può e deve far emergere il valore aggiunto della mente umana. La verità, e torniamo alle questioni di fondo, è che non possiamo andare avanti così.

Per questo occorre una grande alleanza sociale anche sull’informazione, che connetta il nostro mondo con le agenzie educative e occorre un’alleanza fra soggetti che fanno informazione che metta insieme non solo le istituzioni di categoria, come Ordine e Sindacato, ma anche quei movimenti di base che stanno offrendo grandi stimoli al cambiamento, come il Constructive Network, Slow News, Mezzopieno: fenomeni oggi guardati con scetticismo perché propongono uno stile nuovo, poco compatibile con le esigenze editoriali. Invece, laddove è stato sperimentato, come negli Stati Uniti, sono gli editori a cercarlo, perché si è scoperto che torna a far crescere le vendite. Perché? Perché consente di recuperare fiducia e credibilità. Un assioma semplicissimo. Una missione, qui da noi, tutta in salita. L’Ucsi ci crede e lavora in questa direzione.


PER APPROFONDIRE: Istituto “Lanza”, al via il nuovo anno formativo: l’informazione incontra la politica


Settimanali diocesani, Ungaro (Fisc): «Voce delle periferie»

Intervista di Davide Imeneo

Il convegno “Educare al digitale, una sfida comunitaria” che si è svolto venerdì al Seminario arcivescovile Pio XI di Reggio Calabria ha posto l’accento su un’importante missione dell’informazione: il racconto dei territori. Del ruolo dei settimanali diocesani ne abbiamo parlato con il giornalista Mauro Ungaro, presidente nazionale della Fisc, tra i relatori dell’incontro.

Mauro Ungaro (Presidente Fisc) in video conferenza

I settimanali diocesani sono voci del territorio, ma il territorio ha ancora bisogno di voci locali?

Oserei dire che il territorio ha oggi più che mai bisogno di voci locali che raccontino le “storie”, la quotidianità di quanto avviene accanto a ciascuno di noi. Soprattutto in una realtà come quella italiana, in cui le città, i borghi, i paesi rimangono un riferimento unico e fondamentale, i cittadini mantengono un legame personale ed emotivo fortissimo con i luoghi dove abitano. Da qui le necessità di un giornalismo che non si limiti a categorizzare ma sappia dare un nome, un volto e, appunto, una storia agli uomini e alle donne soggetto (e mai oggetto) delle sue notizie.

Quali sono, secondo lei, gli ingredienti di successo di un settimanale diocesano?

Mi rifaccio a quanto evidenziavo prima. Il “successo” dei giornali diocesani credo stia proprio nella capacità di intendere il territorio non tanto come un insieme di bellezze culturali, artistiche… ma come un luogo teologico dove la Chiesa vive la sollecitazione sviluppata dai Padri del Concilio ecumenico Vaticano II in Gaudium et Spes 1.1. Queste parole ci invitano ogni giorno, per usare delle espressioni care a papa Francesco, ad uscire dalla comodità delle nostre redazioni per consumare nuovamente le suole delle nostre scarpe nel raccontare le periferie delle nostre società e coloro che vi abitano.

Ci siamo lasciati alle spalle il tempo del Covid, un tempo difficile per l’editoria: è stata solo una crisi o anche un’opportunità di rinnovamento?

Quando potremmo rileggere con più distacco il tempo del Covid-19, ci accorgeremo probabilmente che esso ci ha offerto anche delle opportunità di rinnovamento che prima non ci saremo mai immaginati. In quei mesi di chiusura, abbiamo visto nascere nelle nostre Chiese tante espressioni di quella che mi piace definire “diakonia informativa”: chi ha curato la diretta video delle celebrazioni liturgiche, chi si è dato da fare perché non andasse perduta la memoria di chi dopo una vita a servizio della comunità è morto a causa del virus. Certamente è cambiato l’approccio al digitale visto non più come “un di più” ma come un luogo da abitare con professionalità, che non esclude ma accompagna la presenza cartacea.

Viviamo il tempo straordinario della Sinodalità: come raccontarla?

Mi pare significativa la constatazione che molti direttori delle testate Fisc fanno parte delle Commissioni sinodale delle diocesi e, per di più, che a numerosi di essi i vescovi hanno affidato l’incarico di coordinatori di questi organismi. È testimonianza di come i nostri giornali siano parte insostituibile del cammino pastorale delle Chiese locali. L’ascolto dei territori, poi, che ha contraddistinto questo periodo sinodale non è altro che l’elemento fondamentale che ha sempre contraddistinto le testate aderenti alla Fisc.

A novembre ci sarà l’assemblea elettiva della Fisc. Prima i rappresentanti dei giornali incontreranno papa Francesco…anche per la Federazione si apre un tempo di una rinnovata Sinodalità?

La Federazione si avvia a celebrare i 60 anni dalla sua fondazione (1966 – 2026): giungeremo a questo anniversario vivendo il tempo sinodale ma anche quello del Giubileo del 2025. Credo siano davvero due occasioni fondamentali di rinnovamento per ripensare al ruolo profetico a cui le nostre testate sono chiamate nel servizio alla Chiesa ed alla società del nostro Paese.

Aula Magna Seminario Pio XI di Reggio Calabria, Convegno "Educare al digitale"

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