Avvenire di Calabria

Il "fine pena mai" cioè il carcere ostativo è entrato nell'agenda mediatica: ecco i suoi "risvolti" in Calabria in tema di 'ndrangheta

Anticorpi e ‘ndrangheta, perché l’ergastolo ostativo “libera” la Calabria

Opinioni a confronto e diametralmente opposte: da un lato il Procuratore di Catanzaro, Gratteri, dall'altro l'avvocato reggino Araniti

di Federico Minniti

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Il "fine pena mai" cioè l'ergastolo ostativo è entrato nell'agenda mediatica: ecco i suoi "risvolti" in Calabria in tema di 'ndrangheta.

Dibattito sull'ergastolo ostativo, la misura applicata per la 'ndrangheta in Calabria

L'ergastolo ostativo ai boss della criminalità organizzata è al centro del dibattito pubblico italiano: il caso-Cospito che non "cela" alcune pericolose connessioni coi vertici della 'ndrangheta ha alzato il velo su una vicenda il cui confine tra giustizia e morale è davvero labilissimo. A pesare è una pronuncia comunitaria che inviterebbe il Belpaese a vedere una misura ritenuta fondamentale nel contrasto alle mafie.

Iniziamo, però, col fare un po' di chiarezza. Parlare di ergastolo ostativo, infatti, non è la stessa cosa di parlare di 41-bis, regime carcerario a cui sono condannati gran parte dei boss di cosa nostra, 'ndrangheta e camorra.

La differenza tra ergastolo ostativo e 416bis

L’ergastolo ostativo viene disciplinato dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, ma è stato introdotto nel 1991. Questo articolo impedisce alle persone condannate all’ergastolo per alcuni tipi di reato di accedere alla libertà condizionale e ai benefici penitenziari, come i permessi premio, il lavoro all’esterno e la semilibertà. L’articolo 4-bis viene applicato anche ai condannati per mafia, a meno che questi non decidano di «pentirsi» e collaborare con la giustizia.

Il 41-bis, indicato in gergo come «carcere duro», ha un’altra impostazione, molto più severa. Il fulcro è l’isolamento delle persone detenute in questo regime. Quando viene applicato il 41-bis, il detenuto si trova in istituti appositi, oppure in sezioni speciali separate dal resto del carcere, in una cella singola, e gli spettano solo due ore d’aria al giorno. Inoltre, viene sorvegliato a vista costantemente e viene controllata la posta sia in entrata che in uscita. In un primo momento, il 41-bis era previsto solo «in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza»


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Il caso-Cospito e le implicazioni della 'ndrangheta

Da quanto trapela, l'anarchico Alfredo Cospito avrebbe colloquio di alto rango mafioso all'interno del carcere in cui è detenuto. La relazione su queste cointeressenze è stata redatta dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap).

Come riporta l'agenzia di stampa Ansa, Cospito quando era ristretto a Sassari, prima del trasferimento ad Opera, era assai vicino a un boss della ‘ndrangheta cosentina, Francesco Presta, che lo esortava riferendosi al 41 bis: «Devi mantenere l’andamento, vai avanti». E Cospito rispondeva: «Fuori non si stanno muovendo solo gli anarchici, ma anche altre associazioni. Adesso vediamo che succede a Roma». E ancora il boss replicava: «Sarebbe importante che la questione arrivasse a livello europeo e magari ci levassero l’ergastolo ostativo». 

Sul presunto rapporto tra Cospito ed esponenti della 'ndrangheta è intervenuto anche un collaboratore di giustizia. Si tratta di Luigi Bonaventura, rampollo che ha reciso i ponti con il potente casato dei Vrenna-Bonaventura di Crotone, emanazione diretta del più potente clan di mafia di Reggio Calabria dei De Stefano. «Non è la prima volta che la 'ndrangheta usa altri detenuti per i suoi scopi: dare battaglia per abolire l'ergastolo ostativo e cancellare il 41 bis. Secondo la mia esperienza sono gli 'ndranghetisti i protagonisti che agiscono nell'ombra» ha dichiarato il pentito.

I boss di 'ndrangheta attualmente ristretti al 41-bis

Gli ergastolani ostativi sono un esercito di oltre mille persone. Sono 1.250 secondo l'associazione Nessuno tocchi Caino, cioè i due terzi dei 1.790 condannati a vita. Tra i nomi di maggior peso risaltano certamente Leoluca Bagarella (considerando il vero nuovo reggente della Cupola siciliana), Giovanni Riina e Michele Zagaria, capo clan dei Casalesi. Ci sono anche i brigatisti, come Nadia Desdemona Lioce, che partecipò agli omicidi di D'Antona e Biagi.

Ma chi sono i boss che potrebbe "godere" di un'improvvisa e quantomai inatteso cambio di condizione detentiva? Ci sono, tra gli altri: Sebastiano Nirta e Giovanni Strangio, protagonisti della Strage di Duisburg; Pino Piromalli, alias "Facciazza"; Giuseppe Pelle, alias "Gambazza", Pasquale Condello, detto "Il Supremo e Marcello Pesce, soprannominato "il ballerino".


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La posizione di Nicola Gratteri

La sentenza dei giudici di Strasburgo che invita l’Italia a modificare l’ergastolo ostativo introduce «un principio devastante» che «cancellerebbe 150 anni di legislazione antimafia» e nessun mafioso avrebbe più la convenienza a collaborare con la giustizia. È questo il grande allarme che ha lanciato il Capo della Procura antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, che ha espresso il suo parere, riguardo il rigetto della Cedu (Corte Europea dei diritti dell’uomo) sull’ergastolo ostativo. «I mafiosi tireranno un bel sospiro di sollievo – ha proseguito il magistrato – è passata l’idea che puoi commettere qualunque crimine, anche il più abietto, poi alla fine esci di galera».

Secondo il procuratore di Catanzaro tutto ciò avrebbe conseguenze non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa dove «le nostre mafie vendono coca e comprano tutto ciò che è in vendita, di solito senza sparare, così nessuno avverte pericolo. E le istituzioni europee, molto attente al piano bancario e monetario, politicamente e giudiziariamente non esistono. E noi – si è chiesto Gratteri – quali codici antimafia dovremmo applicare? Quelli della Lettonia o della Scandinavia?».

Per il pm «se ora, dopo questa sentenza, venisse modificata la norma italiana del carcere ostativo e anche i mafiosi irriducibili potessero ottenere permessi e altri benefici, l’aspettativa o la speranza di tornare a casa, anche per qualche giorno, e soprattutto di morire nel proprio letto, senza dire una parola, perché mai dovrebbero collaborare?».

In conclusione, il magistrato ha spiegato che «chi oggi è all’ergastolo ostativo e al 41 bis, messo inevitabilmente da parte perché condannato a restare in cella a vita, aumenterà a dismisura la propria influenza e tornerà al centro dell’attenzione della sua cosca, visto che in futuro uscirà».


PER APPROFONDIRE: Ergastolo ostativo, il cappellano che in Calabria incontrava i superboss di 'ndrangheta


L'opinione della penalista reggina Araniti

Penalista di grande esperienza, l’avvocato Giovanna Araniti è figlia di Santo Araniti, considerato uno degli storici boss della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Lei con la sorella hanno scelto la carriera forense e la via della legalità.

Il nuovo governo guidato da Giorgia Meloni, però, ha deciso di varare un decreto legge che ricalca la legge approvata da Montecitorio. E contro il quale si è esposta Giovanna Beatrice Araniti, avvocata che rappresenta il condannato all’ergastolo la cui richiesta di benefici è stata oggetto della ordinanza di remissione degli atti alla Consulta da parte della Corte di Cassazione.

La legale ha chiesto di considerare illegittimo il decreto: «La funzione rieducativa della pena deve valere per tutti i detenuti. Questo decreto legge sancisce la morte del diritto alla speranza, spero invece che la Corte emetta una sentenza di illegittimità costituzionale che rappresenti il germoglio di un nuovo umanesimo. Il principio della finzione riabilitazione della pena deve valere per tutto», ha detto davanti alla Consulta. 

Il responso dovrebbe arrivare entro l'8 marzo. Secondo Araniti, la riforma dell’ergastolo ostativo è «frutto del facile moralismo propagandato dal dilagante populismo, una sorta di manifesto d’intenti, senza rendersi conto che il cambiamento si opera attraverso la cultura della legalità, combattendo la mafia e la criminalità col puro diritto, col rispetto sacro dei valori costituzionali che valgono per tutti indistintamente, con la fiducia nell’uomo e nella sua capacità di recupero, qualunque uomo, quale che sia il reato commesso». 

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