Baby-gang: tra teppismo e nuovi paradigmi
Dagli atti vandalici alla sopraffazione psicologica e sociale: ecco come affrontare il problema.
La criminalità fa “allievi”. Non è immune Reggio Calabria dal fenomeno della fascinazione mafiosa dei giovani: un dato quasi inevitabile se si considera il predominio – in vaste aree del territorio – della subcultura ndranghetista. Certo, il fenomeno delle baby–gang sembra essere lontano, ma alcune similitudini si vivono anche in riva allo Stretto. Mentre si fanno importanti passi in avanti a livello nazionale, con la firma del protocollo “Liberi di Scegliere”, nato dall’intuizione del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, e sostenuto da Cei e Libera e che permette ai ragazzi e alle loro madri di dissociarsi dalle famiglie– clan, non mancano di rigenerarsi “batterie” (per restare nel gergo delle serie– tv) di «’ndranghetisti in erba», come li definisce il pm Roberto Di Palma, di recente rientrato nei ranghi del pool antimafia reggino e che nell’estate del 2016 ha seguito il caso del pestaggio dei rampolli di Archi ai danni di due poliziotti in borghese. Hanno cognomi di primo piano tra le ‘ndrine: Tegano e De Stefano, sembrano – spesso – incuranti delle loro azioni, mostrando la tracotanza tipica dei boss di ‘ndrangheta.
Ma cosa li rende così sereni? Di Palma preferisce ampliare il raggio d’azione: «Certamente la ‘ndrangheta condiziona la crescita di giovani che vivono alcuni ambienti; ma oltre questo – spiega il magistrato – va sottolineato l’impatto generalizzato che stanno avendo alcune serie televisive sui ragazzi». Ecco il punto di contatto con la baby–gang di Forcella o dei Quartieri Spagnoli. «Finiscono per tifare per questi antieroi – prosegue Di Palma – e per osservare una totale assenza dello Stato». I rampolli di ‘ndrangheta – attraverso dei modelli diseducativi – assumono quella spavalderia tipica del controllo del territorio e lo fanno per un’assenza, totale o parziale, di figure adulte capaci di intercettare il loro disagio. Capita nelle scuole, negli spazi comuni, nello sport. Così è “naturale” condizionare le gare dilettantistiche con la minaccia sistematica ad avversari e direttori di gara. Anche in questo caso, il pm Roberto Di Palma passa dall’episodio alla problematica generale: «La verità è che la formazione dei formatori non è adeguata – sottolinea – perché sin da troppo piccoli lo sport viene inteso come competizione esasperata. Sappiamo benissimo che le squadre dilettantistiche di calcio, in Calabria, fanno gola ai clan». Questione di soldi (riciclo del denaro sporco) e di prestigio sociale sul territorio. Di questo ne parlerà oggi anche Libera con un seminario a cui parteciperà un altro magistrato, Stefano Musolino. Lo sport, gli spazi comuni, la Reggio da bere: gli «’ndranghetisti in erba » imperversano nonostante le indagini a loro carico. Un clima teso, soprattutto tra gli under 30 della Città. Non siamo ai livelli della baby–gang della camorra, ma urge un’inversione di rotta che sia guidata da tutte le agenzie educative del territorio che non possono sottovalutare la pericolosità sociale di questi fenomeni.
Dagli atti vandalici alla sopraffazione psicologica e sociale: ecco come affrontare il problema.
Una giovane ex tossicodipendente e la madre di un ragazzo spiegano come si può uscire dal drammatico tunnel delle dipendenze. Il pm Musolino parla di «droghe come fregatura».
Il Pontefice pronunciò parole forti contro i mafiosi e di speranza per i giovani. Frasi ancora attuali che rappresentano un invito a un rinnovato impegno per il bene comune.
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