Avvenire di Calabria

Il direttore della Caritas diocesana di Reggio Calabria - Bova analizza il momento. Con un parallelismo interessante

Festa Madonna. Don Pangallo: «Quest’anno siamo tutti più poveri»

Antonino Pangallo

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Confesso un po’ di disagio nello scrivere queste righe sulla maternità di Maria e la po- vertà. Ho il timore di cadere nello sdolcinato linguaggio di rito o nell’ecclesialese. Un post trovato su Facebook mi offre la via. La foto di un corvo poggiato su un’aquila mi colpisce. Il commento mi travolge: «L’unico uccello che osa beccare un’aquila è il corvo. Si siede sulla schiena e ne morde il collo. Tuttavia, l’aquila non risponde, né lotta con il corvo; non spreca tempo né energia con il corvo. Semplicemente apre le sue ali e inizia ad alzarsi più in alto nei cieli. Più alto è il volo, più è difficile respirare per il corvo che cade per mancanza di ossigeno».

Questo è un tempo difficile, certo non meno di altri, e pur tuttavia ci ritroviamo a vivere una festa mariana in mesi di grandi cambiamenti. Alla pandemia con le sue conseguenze economiche e relazionali, si aggiunge la transizione civile per le imminenti elezioni e la transizione ecclesiale che vedrà nei prossimi mesi il cambio alla guida della cattedra di Santo Stefano da Nicea. Sono tutti questi tasselli della storia umana, trama intessuta sull’ordito della grazia di Dio. In tale contesto, una folla di poveri continua a bussare alle nostre porte e probabilmente i prossimi mesi vedranno crescere il loro numero. E non possiamo non interrogarci sulla capacità di ascolto e di accompagnamento oggi della povera gente. Tuttavia, una delle povertà più rilevanti è la povertà di relazioni. Nel tempo dei cambiamenti c’è il rischio di divenire uccelli rapaci, corvi appunto; c’è il rischio di lasciarsi trascinare dai corvi. Qualche anno fa, nel pieno della bufera oltre il Tevere, si parlò di corvi in azione.
 
Come vivere la festa della Madonna della Consolazione quest’anno? Vedo l’icona di Maria con in braccio il Bambino. Ai lati San Francesco e Sant’Antonio. Come vissero i discepoli di madonna povertà il loro tempo non meno agitato del nostro? Volando come aquile! Si. Quando il rischio è rimanere rasoterra e lasciarsi travolgere dai veleni o divenire lingue biforcute pronte ad avvelenare nell’ombra, è il tempo di invocare la grazia a Maria di essere aquile. Tuttavia, occorre fare attenzione. L’emblema della forza imperiale di Roma per noi cristiani è divenuto simbolo dell’evangelista Giovanni che durante l’ultima cena poggiò il capo sul petto di Gesù; rimase l’unico ai piedi della croce con Maria; corse al sepolcro al mattino di Pasqua; riconobbe il maestro sulle rive del lago e scrisse le pagine più alte di speranza nel turbinio della storia, l’Apocalisse. Nel tempo del cambiamento c’è il rischio che l’aquila da simbolo mistico diventi emblema di potere
 
In questo tempo ci è chiesto di guardare a Maria e volare alto verso le vette. Papa Francesco nella lettera ai presbiteri per i 160 anni dalla morte del santo curato d’Ars ha scritto: «Guardare Maria è tornare “a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti”. Se qualche volta lo sguardo inizia a indurirsi, o sentiamo che la forza seducente dell’apatia o della desolazione vuole mettere radici e impadronirsi del cuore ... non abbiamo paura di contemplare Maria e intonare il suo canto di lode. Se qualche volta ci sentiamo tentati di isolarci e rinchiuderci in noi stessi e nei nostri progetti proteggendoci dalle vie sempre polverose della storia, o se lamenti, proteste, critiche o ironia si impadroniscono del nostro agire senza voglia di combattere, di aspettare e di amare, guardiamo a Maria». Salire in alto con ali di aquila guardando a Maria è la via per essere liberi e capaci di maternità ecclesiale, di accoglienza per tutti, particolarmente dei piccoli, di quelli che non contano e sono emarginati. Salire in alto guardando alla Vergine Madre è accettare il rischio di perdere la vita generata. Silesius nel Pellegrino Cherubico scriveva: «Ah stai in guardia, vergine! Chè quando tu sei madre, Subito il nemico cerca il tuo bimbo per ucciderlo».
 
Una Chiesa madre custodisce, genera, accompagna ed ama i poveri. Una Chiesa madre sceglie sempre le vie impervie delle vette per non soccombere ai corvi della vita e sa raccogliere i cocci di umanità ferita. Da tutto questo mi sembra illuminante la conclusione del post su citato, monito per ciascuno e per tutti in questo tempo, in primo luogo per chi scrive questo pezzo per il nostro settimanale in questi giorni di festa: «Smettila di perdere tempo con i corvi. Portali alle tue altezze e svaniranno. Quando vuoi sbarazzarti di “zavorra”, alza il “livello”. È l’unico modo per liberarti da ingombri inutili e di poco conto!». E se altri sentimenti negativi covano nell’animo voliamo alto e guardiamo alla Madre che a Guadalupe disse a San Diego: «Non ci sono qui io, io, che sono tua Madre?».

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