Avvenire di Calabria

Approvata la risoluzione in materia di tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata

Il Csm segue l’esempio del Tribunale reggino per i Minorenni

Redazione Web

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Su iniziativa della VI commissione (relatori i cons. Ardituro e Aprile), è stata approvata durante il plenum del 31 ottobre 2017 una risoluzione in materia di tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata.

Si tratta di un ulteriore tassello dell’attività della Commissione in materia di criminalità organizzata, che in questa delibera rivolge la propria attenzione all’analisi delle esperienze e prassi operative dei tribunali che si occupano di minori inseriti in contesti di criminalità organizzata.

In tale specifico settore è difatti emersa la consapevolezza della necessità di adottare provvedimenti che – nell’interesse del minore – siano idonei a svolgere una funzione di prevenzione e recupero dei minori stessi, intervenendo sul contesto familiare e/o sociale di provenienza, poiché tale contesto spesso ne determina una evoluzione in senso criminale del percorso di crescita.

La fenomenologia criminale – in special modo nelle regioni meridionali – mostra, di recente, un frequente coinvolgimento di minori in attività illecite legate ad associazioni criminali, spesso di tipo mafioso (attività che consistono, a mero titolo esemplificativo, in spaccio di stupefacenti, estorsioni, omicidi). Tale coinvolgimento appare il frutto per un verso di una ingente forza di attrazione esercitata dalla “cultura” mafiosa su giovani alla ricerca di facile conquista di (presunti) potere, ricchezza e realizzazione di sé, laddove invece le istituzioni vengono spesso viste solo sotto una luce negativa. Per altro verso, una sorta di coartazione a delinquere deriva dalle influenze provenienti dal contesto familiare, che trasmette ai minori valori di marcata connotazione criminale.

In questa prospettiva, nella prassi si è andata affermando la tendenza ad adottare con sempre maggiore frequenza provvedimenti di decadenza o limitazione della potestà genitoriale (fino ad arrivare alla dichiarazione di adottabilità) e di collocamento del minore in strutture esterne al territorio di provenienza, onde recidere il legame con i condizionamenti socio-ambientali.

Alla base di tali provvedimenti è stata posta la qualificazione della famiglia di origine come “famiglia maltrattante” che, per le modalità con cui “educa” i figli, ne compromette lo sviluppo psicofisico.

Sulla base di queste premesse, si ritiene necessario un intervento che possa garantire il potenziamento degli strumenti a disposizione dei giudici minorili.

In primo luogo, si ribadisce che i provvedimenti sopra indicati – sia pur gravi perché incidono sull’unità del nucleo familiare –, pur costituendo l’extrema ratio, possono divenire indispensabili per salvaguardare il superiore interesse del minore ad uno sviluppo psico-fisico rispettoso dei valori della convivenza civile. Difatti, si ritiene che tale interesse si ponga – prevalendo – in ideale bilanciamento con la tutela delle relazioni familiari, atteso che – in simili fattispecie – i genitori vengono meno alle proprie responsabilità educative.

In secondo luogo, la proposta evidenzia la necessità di incentivare l’adozione di provvedimenti che, incidendo sulla potestà genitoriale, nel contempo siano accompagnati da prescrizioni e progetti di “recupero” che – almeno in prima battuta – coinvolgano l’intero nucleo familiare, per garantire ai minori sia una educazione adeguata, sia una idonea vita di relazione familiare. Stesse considerazioni valgono, inoltre, per i provvedimenti di affidamento dei figli nei giudizi di separazione o divorzio, di dichiarazione di adottabilità, di affidamento del minore ai servizi sociali. In quest’ottica, è essenziale anche un’efficace azione da parte dei servizi minorili e dei servizi sociali, che possano trarre risultati concreti dai citati percorsi di recupero.

In terzo luogo, si mostra necessario un riassetto normativo che supporti l’applicazione delle misure così descritte, rendendone più efficace ed effettiva l’applicazione (a mero titolo esemplificativo, presentano lacune la disciplina del tutore e quella delle misure amministrative) e che investa anche il diritto penale sostanziale (con riferimento alla adozione di provvedimenti civili a tutela del minore in caso di condanna per reati associativi di tipo mafioso) e processuale (laddove si prevede ora l’affidamento alla famiglia anche di minori che abbiano commesso gravi reati, così alimentando il circuito vizioso familiare).

È poi fondamentale una collaborazione fra uffici giudiziari ordinari e uffici minorili, nei casi in cui emergano pregiudizi all’integrità psicofisica di minori a causa del contesto in cui maturano determinati delitti.

Infine, si palesa opportuno garantire tutela anche ai figli minori di testimoni e collaboratori di giustizia, tutela che potrebbe essere garantita attraverso protocolli di collaborazione fra i diversi uffici giudiziari coinvolti.

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