«I social network non sono il male. Sui social può capitare il male perché dietro ci sono anche persone che fanno il male». Don Alberto Ravagnani, 27 anni, è riuscito a fare dei social network uno strumento di pastorale e di evangelizzazione. Con il suo impegno, ha raccolto decine di migliaia di follower sul web (solo su YouTube ha oltre 134.000 seguaci) trattando, con allegria, temi importanti, molto spesso relativi alla fede e alla spiritualità. Usando il suo linguaggio e facendo spesso riferimento alla vita quotidiana, risponde con semplicità alle domande più profonde dei ragazzi. Ha spopolato, nei mesi scorsi, il suo scambio di messaggi a distanza con Fedez, sfociato in una lunga video-intervista con il rapper visualizzata da oltre un milione e duecentomila persone. Per la quasi totalità giovani e giovanissimi.
«I social sono pensati da esperti per entrare nella testa delle persone – spiega don Alberto – e utilizzano espedienti e linguaggi sofisticati perché gli utenti restino sempre più tempo online. Su TikTok, per esempio, i video si succedono all’infinito, uno dopo l’altro. Un adulto ha gli strumenti per utilizzarlocon consapevolezza, ma i bambini vengono inevitabilmente condizionati». Ecco perché i più piccoli non dovrebberoessere lasciati soli: «Altrimenti capita quello che è successo già in passato, con minori a farsi del male per emulareciò che hanno visto fare. A mio avviso i bambini non possono avere accessolibero a uno smartphone, perché il web è pieno di contenuti non adatti a loro. I genitori, dal canto loro, dovrebberoconoscere i social per comprenderne possibilità e pericoli. Vogliono sapere in che tipo di scuola vanno i figli, chi sono i loro amici, si interessano anche dellaloro squadra di calcio, ma troppo spesso ignorano realmente come funzionano i social che frequentano. Dunque è una questione essenzialmente educativa». Il 'prete youtuber', pur