Avvenire di Calabria

Il sindaco parla di intenzioni ma dovrebbe fare sintesi

Il commento di Giuseppe Bombino, già presidente dell'Ente Parco nazionale dell'Aspromonte

Giuseppe Bombino

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Il discorso letto dal sindaco della città metropolitana di Reggio Calabria in occasione dell’offerta del cero votivo alla venerata Madre della Consolazione, contiene una matura struttura umanistica e letteraria, che disvela, invero, una attitudine del primo cittadino sin qui sconosciuta.

Emerge, dall’ineccepibile registro dialettico, l’uso sapiente della retorica, quasi didattico, al cui esercizio si ricorre per proiettare il riflesso della città e il sentimento di chi l’abita.

Potenti e ricorrenti sono stati, infatti, i riferimenti ai giovani e agli studenti, ai bisognosi e agli ultimi, quasi a voler segnare il tratto umile, umano e umanitario di una istituzione che vuol essere vicina ai suoi cittadini.

D’altra parte, pare emergere una contraddizione, che è quasi una disputa filosofica, afferente alla percezione della distanza esistente tra «ciò che è e ciò che crediamo che sia»; cioè tra «ciò che vorremmo che fosse e ciò che invece è».

E se tali argomentazioni avrebbero potuto impegnarci all’inizio di un cammino amministrativo, al tempo in cui siamo, l’opera che s’è compiuta esigerebbe, invece, una resa dei conti, una “sintesi”, il racconto di ciò che è stato fatto e costruito, nell’idea e nell’azione, spiritualmente e materialmente. Ciò avrebbe consentito a ognuno di noi di attingere al dato reale, al fatto oggettivo, per non ripiegare sulle interpretazioni.

L’impressione di molti, tra il popolo, è che il tempo della speranza e della immaginazione, richiamato nel discorso del sindaco, non avrebbe dovuto risiedere in chi ha già amministrato per 4 anni, e che simili enunciati dovessero esser pronunziati, semmai, da chi s’appresterebbe a farlo solo adesso.

Ma al di là del (pre)giudizio dei più “severi”, oltre questa incoerenza, auspichiamo che le intenzioni contengano già il progetto e la visione di città che si intendesse almeno annunziare in questo ultimo anno.

Intanto ci rimane la opportunità di restaurare, ancora una volta, il significato mitopoietico della “donna” e della “madre” in questo nostro cammino cristiano. Bisogna entrare nell’atmosfera delle arcaiche tradizioni greche, prima, e del cristianesimo, poi, per comprendere perché, dalle nostre parti, le divinità divengono spesso destinatarie di un rapporto esclusivo, diretto e senza intermediari, e assai di più se la divinità è la Madre.

Quel grido «viva Maria», fuoriuscito anche questo anno dal petto di migliaia di persone, ci riconduce in un orizzonte comunicativo non convenzionale, ma potente e al tempo vero, poiché contiene sempre una istanza di salvezza per Reggio, quale tentativo di riempire il vuoto che separa il transitorio dall’assoluto. Sono tracce di poesia e di sangue tutto reggino.

Allora, ecco la voce della speranza che diviene preghiera: l’unica formula per affidare altrove e a una responsabilità più alta il futuro della città.

La speranza è sempre drammatica, e in questa temperie la Madre dell’Assoluto ha attraversato di nuovo la città; colei che vede oltre le cose degli uomini; colei che ha già negli occhi una risposta cifrata per il suo popolo, ora osserva i suoi figli.

E poiché nel discorso letto dal sindaco è alla Madre Celeste che vengono affidate le aspettative e le istanze della città, ci si consenta, intanto, l’attesa d’un miracolo divino, ché quello che trasforma la semina in raccolto verrà più tardi.

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