Avvenire di Calabria

Intervista al Cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino in visita a Palmi

Il vescovo di L’Avana: «La pace è possibile, solo c’è la dignità»

Lucia Lipari

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Il Cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, Arcivescovo dell’Havana, ha contribuito a scrivere la storia di Cuba e del suo popolo. Nel corso di quest’intervista esclusiva percorrerà con noi le tappe fondamentali del mandato ricevuto da Papa Francisco, un mandato diplomatico per la costruzione del dialogo tra Stati Uniti e Cuba, tra il Presidente Obama ed il Presidente Castro. Parleremo ancora della Chiesa cubana, della politica di Trump e di una campagna di solidarietà partita dall’Italia, da Padre Pasquale Pentimalli, per la costruzione di una chiesa dedicata a Giovanni Paolo II, la prima dopo più di 50 anni nell’isola.

Sotto di lei si sono avviati i negoziati con il Governo di Raùl Castro per il riconoscimento dello statuto giuridico della Chiesa cattolica cubana. Com’è visto il cattolicesimo a Cuba oggi?

La Chiesa ha vissuto un momento difficile è vero, ma durante la rivoluzione, adesso intercorrono rapporti stabili tra la chiesa e lo stato cubano. La chiesa cattolica è la chiesa tradizionale del popolo cubano, la fede che propagarono i colonizzatori quando scoprirono il Nuovo Mondo, l’America. La cultura critica che ha formato il pensiero nazionale cubano ha sempre fatto riferimento alla religione cattolica. Oggi il 75% dei cubani non segue le funzioni domenicali, ma partecipa alle processioni, alle feste patronali, alle funzioni per i defunti, visita i santuari, ha una devozione speciale per la Vergine della Carità, patrona di Cuba, amata in tutto il Paese. L’espressione cattolico praticante è stata introdotta solo recentemente, dopo la seconda guerra mondiale.

Ha ricevuto Barack Obama in occasione della prima visita di un Presidente americano a Cuba dopo parecchi anni, esercitando così un ruolo fondamentale nel disgelo delle relazioni tra i due Paesi. Lei ha presieduto dal 1981 e per oltre un trentennio la Chiesa cubana ed è stato protagonista della sua storia e del crollo del “muro dei Caraibi”…

Papa Francesco ha svolto un ruolo fondamentale e a favore della distensione dei rapporti tra il Governo di Obama e il Governo di Raùl Castro. Io ho concorso al dialogo tra i due, perché il Santo Padre mi chiese di consegnare delle lettere destinate a ciascun Presidente, così li conobbi e contemporaneamente riuscii a capire che alta considerazione avessero del Papa i due leader. Lo definirono tanto Castro quanto Obama la più alta autorità morale nel mondo attuale. La mediazione che cubani e nordamericani chiedevano al Vaticano si basava su aspetti specifici, quando mi interfacciai con il Santo Padre, lui mi disse: "fai sempre tutto quello che puoi e ricordati di riposare, l’importante è che si parlino, che comunichino, questo deve essere l’obiettivo: il dialogo". Per questo riuscimmo a raggiungere un accordo così ben riuscito diplomaticamente.

 

Cosa ha significato l’embargo e soprattutto la sua fine per l’economia de la Havana?

Neanche Obama era riuscito in un radicale cambiamento delle relazioni tra i due Paesi, esso dipendeva dal Congresso, si trattava di ragioni politiche e pertanto occorreva detenere la maggioranza. Va detto però che gli scambi ed i viaggi dei cittadini nordamericani a Cuba si erano resi molto più agevoli. Oggi la situazione è completamente cambiata, i viaggi sono impossibili perché avvengono via Bogotà e sono molto costosi.

Teme un’involuzione degli attuali rapporti con gli Stati Uniti e la minaccia di invertire la rotta tracciata dall’amministrazione Obama vista l’era Trump?

Il Governo del Presidente Trump ha cambiato passo, lasciandosi alle spalle l’accordo che si era raggiunto, creando una situazione difficile, aumentando il blocco, limitando le relazioni. Praticamente le misure attuate precedentemente per migliorare i rapporti tra gli Stati hanno subito un’involuzione. Ho incontrato il Papa pochi giorni fa e gli ho rappresentato tutto il dispiacere provato per aver visto sovvertire un accordo che aveva avuto una risonanza di carattere mondiale per il suo valore e per l’operazione diplomatica condotta.

Il dialogo tra i popoli è possibile?

Io credo proprio di si, ho anche scritto un piccolo libro al riguardo, dal profondo valore storico e dal titolo:“Encuentro, diàlogo y acuerdo: El Papa Francisco, Cuba y Estados Unidos”. Un’edizione spagnola e sudamericana edita dalle Paoline.

Prima di arrivare in Florida, l’uragano Irma ha lasciato dietro di sé la pesante alluvione di Cuba. A che punto è la ricostruzione?

Cuba si è già ripresa, l’uragano è stato di categoria 5 con vento fino a 280 km/h, ha colpito tutta la costa a nord di Cuba fino a L’Avana, ci sono state forti mareggiate. Cuba però è molto ben organizzata per affrontare situazioni d’emergenza, non c’è stata neanche una vittima e una settimana dopo tutte le città erano già tutte ripulite. Diverso è stato il caso catastrofico dell’uragano Maria, a Portorico, lì mancava una pianificazione delle attività in caso di calamità naturali, a Cuba no, funziona.

Il ponte Calabria-Cuba quando iniziò? Si sta edificando una Chiesa grazie ad una campagna di solidarietà messa in moto dalla chiesa palmese, da don Pasquale Pentimalli…

Occasionalmente, per una visita di Padre Pasquale Pentimalli, nacque tutto. Una grande amicizia ci lega, sono state molte volte a Palmi a visitare la sua parrocchia. Il sacerdote la prima volta che ci incontrammo, con grande generosità, mi propose di aiutarci nella costruzione di una nuova chiesa, la prima dopo 50 anni, che si è deciso di dedicare a San Giovanni Paolo II. L’uragano ha fatto qualche danno al materiale edilizio, ma penso che entro la metà del 2018, potremmo ultimare i lavori, per la data in cui ricorre la festa in onore di Giovanni Paolo II. La struttura è già realizzata in gran parte ed ospiterà anche una parte riservata all’accoglienza dei minori in difficoltà.

Il numero di prigionieri politici a Cuba supera i 140 detenuti, cifra raddoppiata nell’ultimo anno secondo la Commissione Cubana per i Diritti Umani e la Riconciliazione Nazionale (CCDHRN). Lei in passato mediò per la liberazione di numerosi prigionieri politici…

Quello fu un momento in cui tutti i prigionieri politici, dopo diversi anni di carcerazione, furono rimessi in libertà ed il Presidente Castro chiese alla chiesa locale di mediare e noi supportammo questa fase con grande slancio. Molti di questi uomini andarono all’estero, parecchi si trasferirono in Spagna, pochi si trattennero a Cuba.

Sogna la pace?

Io sono stato Arcivescovo de L’Avana per 35 anni, per me è passata l’età dei sogni. I giovani devono continuare a sognare, noi dobbiamo vivere la realtà. Dopo la seconda guerra mondiale il mondo non ha vissuto un momento di pace, ma solo di passione. Si pensi alla situazione attuale in Medio Oriente, al terrorismo che minaccia ogni giorno un popolo diverso, le lotte interne a ciascun continente. L’umanità non è riuscita in anni di storia a raggiungere il suo sogno di pace, perché questo passa dall’accettazione e costruzione di un nuovo ordine mondiale di tipo economico e finanziario, il denaro non è tutto. Il Papa ripete spesso che è necessario creare una relazione nuova tra gli esseri umani, basata sulla dignità e sul rispetto della vita, una nuova cultura del mondo, una nuova cultura della pace, per quanto difficile.

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