Avvenire di Calabria

Il volto meridionalista del Movimento Cinquestelle

Tonfo del Partito Democratico che guida le giunte regionali in Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sardegna, mentre in Sicilia ha governato fino a pochi mesi fa

Federico Minniti

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I numeri parlano, lo fanno attraverso delle instantanee indiscutibili. Una di queste è lo Stivale tricolore - azzurro e giallo con sparute chiazze rosse - con il quale si rappresenta graficamente l'esito del voto alle Politiche del 4 marzo. Ciò che emerge è il giallo con cui è tinto - in modo pressocché univoco - il tacco di quello Stivale, quel Mezzogiorno che ha scelto e votato per il Movimento Cinquestelle.

Le percentuali parlano chiaro sulla vittoria dei pentastellati: 49% in Campania, 48% in Sicilia, 44% in Puglia e Basilicata, 43% in Calabria e 42% in Sardegna. Ovunque, al Sud, il programma di governo di Luigi Di Maio ha superato la fatidica soglia del 40% ossia quella utile - secondo il Rosatellum - per avere la maggioranza assoluta.

La vera novità è che il voto meridionale ha una fisionomia politica pentastellata, nonostante sia ragguardevole anche la percentuale racimolata dalla (ex) Lega Nord che per anni aveva raggiunto percentuali da prefisso telefonico nel Mezzogiorno di Italia. C'è un "voto meridonalista" che rischia di "spaccare" una Paese, la cui coesione sociale è da anni instabile. La vittoria al nord del Paese del centrodestra (con l'eccezione delle sole Toscana e Trentino Alto Adige) ritrae la maggioranza degli elettori che ha deciso di bocciare i partiti tradizionali (tracollo del Pd, fortissimo ridimensionamento di Forza Italia), premiando delle forze definite "populiste".

Eppure la legge elettorale era stata scritta col desiderio ardimentoso di un nuovo governo della larghe intese, ma proprio quei partiti che ne erano stati protagonisti - dal 2013 al 2018 - sono stati bocciati dalle urne. E non è solo un voto di protesta: c'è una scelta "di sistema", tornando al Mezzogiorno (e persino alla sempre restia Calabria), in cui gli elettori hanno premiato i Cinquestelle seppure questi - tranne in Sicilia - non abbiano mai espresso una classe politica vincente nelle bagarre amministrative locali.

Il vero dubbio è proprio questo: riusciranno i Cinquestelle ad intercettare e tramutare i desiderata del proprio elettorato meridionalista nella loro azione di governo qualora fossero chiamati a formarlo da parte del Presidente Mattarella? Ed ancora: potrà il Quirinale non tenere conto della spaccatura geopolitica del Paese nell'avviare le consultazioni di rito? Un elemento in più nel marasma di un sistema elettorale che non riesce a premiare chi ne risulta (a fatica) vincitore.

Il Sud si è espresso e lo ha fatto in modo plateale: in tanti capoluoghi di provincia, il M5s ha sfondato il muro del 50%. Risultati plebiscitari, stile Democrazia Cristiana, che hanno retto anche in provincie-roccaforte, come Reggio Calabria, da sempre grande laboratorio "azzurro" alle Politiche. Tutti dati a caldo, certo, che, però - ora dopo ora - stanno diventano plastici, immortalati nella loro assolutezza numerica.

Riassumendo: trionfa il M5s, exploit della nuova Lega anche sotto il Po, prova a "tenere" Forza Italia. Tonfo del Partito Democratico che - è giusto ricordarlo - guida le giunte regionali in Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sardegna, mentre in Sicilia ha governato fino a pochi mesi fa.

Una bocciatura (sonora) per le politiche del Mezzogiorno in atto.

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