«In India i cristiani sono perseguitati per la loro fede: spesso accusati di aver ‘forzato’ qualcuno a convertirsi, vengono picchiati e i loro servizi religiosi interrotti da estremisti Indù. L’intolleranza religiosa è cresciuta a dismisura negli ultimi anni e il numero di casi di violenza contro i cristiani continua a essere alto». A denunciarlo è Porte Aperte/Open Doors, in occasione della Giornata internazionale per le vittime di atti di violenza basati sul credo religioso, istituita dall’Onu, che si celebra domani. «Aggravando la loro situazione già critica, alcuni cristiani sono stati esclusi da aiuti umanitari durante la crisi del coronavirus», prosegue Porte Aperte, ricordando che «un sondaggio redatto da un gruppo di ricercatori nel Paese ha confermato l’alta intensità di attacchi a causa del coronavirus contro cristiani e musulmani. L’Institute of Development Studies ha riportato che il lockdown in India ha imposto un caro prezzo per i Dalit cristiani (i senza casta o appartenenti alla casta più bassa e svantaggiata in India), specialmente per coloro che lavorano come operatori sanitari, forzati a lavorare senza alcuna protezione come mascherine e tute protettive». Inoltre, «la disinformazione sul coronavirus in India ha avuto un forte impatto sulle minoranze religiose e le loro pratiche. La stessa fonte ha riportato un caso dove una folla di Indù ha interrotto il funerale di un dottore cristiano in un cimitero, protestando perché la sepoltura del corpo avrebbe ‘infettato tutto il vicinato’. A causa della folla inferocita, la famiglia del defunto ha dovuto seppellire il corpo in un cimitero Indù in una località più remota. Anche i musulmani sono stati accusati di essere untori della pandemia». Di qui l’appello di Porte Aperte: «La violenza basata sul credo religioso non può essere più ignorata, il prezzo pagato da uomini, donne e bambini la cui dignità umana viene calpestata a causa della loro fede è troppo alto. Il coronavirus ha solo intensificato la pressione esercitata su comunità e minoranze religiose. È ora che gli Stati si assumano pienamente quella responsabilità primaria di proteggere i diritti dell’individuo e assicurarsi che la loro fede non li renda vulnerabili ad attacchi violenti».