Umberto e i suoi congiunti hanno combattuto la Sla fino allo scorso 8 giugno
«La malattia va vissuta. È possibilità di crescita»
Redazione Web
3 Gennaio 2017
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di Tina Fortugno - Quando mi è stato chiesto di dare una testimonianza sulla mia esperienza a contatto con la Sla confesso che sono rimasta spiazzata. Innanzitutto questa parolina fa da spartiacque tra un prima ed un dopo. Prima dell’incontro con la Sla hai una vita che ti sembra “normale”. Poi, in un calda giornata di settembre la vita di tuo marito, Umberto, e quella di tutta la famiglia cambia radicalmente. E qui comincia il dopo. Non mi dilungo a descrivere la paura, lo smarrimento, la rabbia, più mia che di Umberto in verità. Ci guardavamo inebetiti e confusi senza sapere come affrontare quello che vedevamo come una difficoltà troppo grande per le nostre forze. L’unica certezza che avevamo era che l’avremmo affrontata insieme. È iniziato quindi un periodo di ricerca: abbiamo conosciuto malati che lottavano con grande coraggio ed eccellenti professionisti che ci hanno aiutati a capire i segnali della malattia che avanzava inesorabilmente. Non ci abbandonava, però, la speranza che la ricerca potesse riuscire a trovare una cura, fino a realizzare, a seguito dell’aggravarsi delle condizioni di Umberto, che per noi la cura non sarebbe arrivata in tempo. Sono stati 6 anni sicuramente difficili, faticosi e dolorosissimi in cui siamo stati costretti ad assistere al progressivo evolversi della malattia, a vedere la casa trasformarsi in un piccolo ospedale, piena di apparecchiature indispensabili per permettere ad Umberto di vivere, a relazionarci con le varie figure professionali che gravitano intorno ad un malato di Sla, ad imparare nuovi sistemi di comunicazione, tutto per rendere il tempo che avevamo a disposizione degno di essere vissuto con dignità. Umberto ci ha aiutati ad accettare la malattia ed a viverla come una possibilità di crescita. Non potevamo essere disperati perché lui non lo è mai stato e se, in qualche momento, ci lasciavamo sopraffare dalle tante difficoltà oggettive, la sua voglia di vivere ci spronava ad andare avanti. Nei tre anni di completa immobilità, da quel letto ha incoraggiato, ascoltato, redarguito, rimproverato, accolto e pregato. Ha vissuto pienamente, anzi, ose- rei dire più pienamente di quando era in grado di camminare, parlare, muoversi. E noi con lui. Il nostro cammino con la Sla si è interrotto a giugno. Umberto è ritornato tra le braccia del Padre. Umanamente verrebbe da dire: la Sla ha vinto! Ma se guardiamo con gli occhi del cuore sappiamo che non è così: mia figlia non me ne vorrà se prendo in prestito un messaggio che ha mandato a tutti gli amici che ci sono stati vicini: «abbiamo imparato che bisogna amare, oltre i limiti umani. Che non esiste il rancore e che la morte è solo un viaggio, uno come tanti, abbiamo imparato che quando si semina, con cura e pazienza, anche il deserto fiorisce e quei fiori possono solo fare del bene, ma abbiamo imparato soprattutto che occorre sempre affidarsi, fidarsi, confidarsi».
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