Avvenire di Calabria

La mia prima festa del papà e le mie quattro epifanie

Una sfida a cui è chiamata in appello un'intera comunità

di Federico Minniti

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Il racconto di un giovane padre tra novità, stupore e prime perplessità rispetto al contesto sociale in cui si trova a vivere chi affronta la sfida educativa della genitorialità.

La storia. Padre da un mese, tra famiglia e lavoro

Sono padre da poco più di un mese, un tempo piccolo in cui ho vissuto quelle che mi piace definire quattro epifanie di paternità. La prima si è concretizzata alla nascita di mio figlio, quando il miracolo della vita è stato messo tra le mie braccia - fragili e insicure - facendomi intravedere che quello sarebbe stato il mio posto nel mondo per sempre. La seconda epifania - forse la più spiazzante l’ho vissuta il giorno del mio rientro a lavoro.


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Durante il tragitto elaboravo il mio primo pensiero sociale da padre, arrovellandomi sulla politica e sulle presunte leggi per favorire la genitorialità plausibilmente pensate da chi non le vive sulla propria pelle. Quel primo distacco mi costringeva così a fare i conti con la realtà: mi si schiudeva sotto gli occhi come avrei dovuto vivere. Col cuore in subbuglio e la mente ben salda al dovere. Una prova di spericolata precarietà a tempo indeterminato per tutti i papà e le mamme impelagati con la famigerata «conciliazione famiglia-lavoro».

Quella mattina, lungo quel tragitto, sono stato colpito anche da un cartellone pubblicitario del lancio di un film. Riportava il nome della pellicola in sala: Martedì e Venerdì, cioè i giorni in cui un padre separato può vivere con suo figlio. Una grande fatica (che ho toccato con mano anche da insegnante) che andrebbe ridiscussa con attenzioni nuove e meno “di bandiera”.

Essere padri e uomini al giorno d'oggi

Proseguendo il racconto delle mie epifanie, arriviamo alla terza. Qualche giorno fa sono stato fatalmente attratto dalla vetrina di una libreria. Cara Giulia era il titolo che mi abbagliava e a raccontarla era un papà: Gino Cecchettin. Ho preso il volume tra le mani con sentimenti nuovi e contrastanti. Mi sentivo di empatizzare col padre di Giulia e leggevo e sfogliavo, chiudevo gli occhi e capivo. Quelle parole si infilavano come aghi appuntiti nella mia coscienza di uomo e di neo padre.

Senza demagogia, ho capito che nel declinare cosa sia la paternità, oggi, bisogna chiaramente porla in antitesi al patriarcato. Sono più che mai convinto - e lo dico da padre di un figlio maschio - che l’idea di “sesso debole” e di possesso patriarcale sarebbe mandata in frantumi se tutti conoscessero la forza disarmante delle donne in sala parto, la loro libertà nell’autodeterminarsi e la capacità innata di essere fonte di energia generativa.


PER APPROFONDIRE: Hospice Via delle Stelle, la Festa del Papà tra poesia e musica


Arriviamo, infine, alla quarta e ultima epifania della mia paternità. Non so se ci avete mai fatto caso, ma la parola “patrimonio” include nella sua etimologia il termine padre. Ho fatto mia questa riflessione provando a capire qual è il patrimonio da custodire e tramandare a mio figlio. La prima eredità è la testimonianza: è quando diventi padre che riscopri la bellezza di averne avuto uno sempre al tuo fianco. E la testimonianza, spesso, cammina al braccetto con la trasmissione dei valori. Se è vero, quindi, che per ogni bambino serve un villaggio, lo stesso vale per un papà che deve riscoprire la bellezza di mettersi in cammino con una comunità. È questa la sfida per la Chiesa: essere casa accogliente per i genitori credenti nello splendido percorso di fatiche e d’amore che è l’essere papà.

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