Avvenire di Calabria

Liceo Montessori: una scuola sotto occupazione, il racconto di un dialogo inaspettato

Un’occupazione iniziata tra tensioni e polemiche si conclude con ordine e rispetto: il ruolo decisivo del dialogo e dell’ascolto

di Anna Maria De Luca *

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Un racconto di straordinaria civiltà durante un’occupazione scolastica, dove il dialogo e il rispetto hanno fatto la differenza tra tensione e collaborazione. Lo ha scritto, in esclusiva per Avvenire di Calabria, il dirigente scolastico del Liceo Montessori di Roma, la Prof.ssa Anna Maria De Luca.

Un’occupazione fuori dal comune

Due occhi da cerbiatto dietro un passamontagna nero sono un ossimoro. Incappucciati, lei e un ragazzo, in piedi sotto scuola. La mia contrattazione inizia con una sorta di mugugno e là finisce: “Mbe?”. Hanno degli occhi davvero bellissimi questi ragazzi incappucciati. “Abbiamo un comunicato da leggere”, dice lei con quegli occhi che parlano più delle parole. Nella mia mente passa di tutto: chissà quali rivendicazioni ora vorranno. Assemblee? Uscite? Permessi particolari?



Sul tavolo della trattativa, aperta da ieri, molte cose sono entrate ed uscite. Il nostro primo tentativo (per nostro intendo mio e delle due vicepresidi, un trio che è un tutt’uno), sul marciapiedi sotto scuola intorno alla mezzanotte del primo giorno di occupazione, aveva avuto come risposta “occupiamo fino a venerdì” e, l’indomani, molte polemiche tra alcuni docenti che non concordavano sul fatto che io potessi incontrare ragazzi incappucciati. Lasciamoli dentro così faranno danni e li pagheranno, teorizzava qualcuno. Tiriamoli fuori subito in modo sereno, teorizzavo io.

La trattativa e il ruolo degli intermediari

Nel secondo giorno di occupazione sono però entrati in campo i tre preziosissimi rappresentanti degli studenti ed è subito stata tutta un’altra storia. Hanno fatto da intermediari tra la presidenza e gli occupanti, da ambasciatori di pace: sono riusciti ad aprire quel canale di comunicazione che io tanto desideravo ma che risultava impossibile da aprire. Anche perché erano molti quelli che lo avrebbero preferito chiuso. Intanto, l’occupazione preorganizzata nella succursale salta.

Tre è il numero perfetto, si dice. In questo caso lo è stato. Noi tre, dirigente scolastica e due vice, e i tre rappresentanti degli studenti, insieme. Così come deve essere: nella spaccatura tra studenti e docenti precipitano non solo i voti ma anche la nostra professionalità. Gli adulti siamo noi, non possiamo dimenticarlo neanche nelle occupazioni.

Il messaggio degli occupanti: rispetto e gratitudine

A sorpresa, la ragazza di fronte a noi – troppo grande per essere del nostro liceo, inizia a leggere: «A nome di tutti vogliamo ringraziare la scuola per l’ascolto che ci avete dato». Tutto potevamo aspettarci tranne un incipit del genere. Continua una lettera bellissima che lascia senza fiato me e credo anche gli altri. In sostanza, diceva «Ci siamo sentiti ascoltati e quindi ce ne andiamo e, per rispetto verso la scuola e chi ci lavora, lasciamo tutto pulito».

A che ora ve ne andate? Chiede la vicepreside. «Tra le 18.30 e le 19». Le lim e i pc sono al sicuro?, chiede il nostro collaboratore tecnico. «Si, abbiamo anche messo gli estintori al sicuro per evitare che qualcuno potesse far danno». La scuola è affumicata?, chiedo io. «No, abbiamo tenuto le finestre aperte per la circolazione d’aria». Lo sapete che tutti i ragazzi del plesso occupato non faranno Studentiamo? Si, lo sappiamo.

Cosa fare in una situazione del genere non è scritto in nessun manuale di dirigenza scolastica. Anche perché questi ragazzi non sono del nostro liceo. «Occupato si scrive con la p», commento io facendoli sorridere, in relazione allo striscione che da due giorni pendeva dalla finestra «Occuato».

Alle 18.30, sempre noi tre, siamo di nuovo sotto scuola. Vogliamo essere certe che nessuno entri a fare danni dopo la loro uscita, per far ricadere la colpa su di loro. Prima scende un ragazzo, con sacconi di spazzatura. Davvero stanno pulendo. Andiamo a prendere un the. Al ritorno troviamo che la scuola è accuratamente chiusa ma la catena non c’è più. Entriamo. Tutto pulitissimo. Nessun odore di fumo. Nessun danno. Neanche un banco spostato. Solo gli estintori sono stati messi tutti insieme, per tutela evidentemente, degli estintori stessi.

Un esempio di civiltà e collaborazione

E dire che era iniziata malissimo: lunedì mattina, in venti, incappucciati, avevano circondato la collaboratrice scolastica mentre stava per aprire il cancello della scuola. «Cristina dacci le chiavi». Ma peggio di così non poteva andare: Cristina è la più tosta tra i collaboratori, è la memoria storica della scuola. Piccolina, bionda, romana. Già tanto che non li abbia presi a mazzate. E se ne sono andati. Anche perché nel frattempo la direttrice dei servizi generali ed amministrativi aveva imboccato il marciapiede della scuola e, vista la scena con Cristina circondata da venti giganti vestiti di nero, aveva chiamato la polizia. Subito dileguati all’arrivo della volante: chi scappava su via Po, chi scavalcava il muro dell’ipogeo romano. Alle 17, erano però riusciti ad entrare.

Il primo giorno io l’avevo presa male. Per Cristina che, dopo aver mantenuto la calma, una volta dentro scuola aveva la pressione alle stelle. E perché non accetto che esterni alla scuola vengano a rompere i buoni rapporti che da sempre intercorrono tra me e gli studenti. Ero più che sicura che i miei non avrebbero mai occupato, neanche quelli che sono contro il Governo. Invece nel pomeriggio, uno striscione penzolava dall’ultimo piano di via Livenza. “Occuato”, senza la p. Non sono i nostri, appunto. Sono esterni. Sono ragazzi. È il racconto dell’occupazione più civile ed educata che si sia mai registrata. È andata cosi perché sono tutti santi quelli che sono entrati a scuola nostra o perché è il dialogo, l’ascolto, quello che i ragazzi chiedono? Non possiamo fare nulla per la Palestina, lo sanno. E non è vero che il Governo è repressivo, lo sanno. Li ascoltiamo? Di questo, evidentemente, dubitano.

* Dirigente Scolastico Licei Montessori di Roma

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