Avvenire di Calabria

La Chiesa celebra la Solennità Vi proponiamo la riflessione del mariologo, padre Carfì che declina la forte attualità di questo giorno nel cuore del tempo liturgico dell’attesa

L’Immacolata, icona immutabile dei valori antropologici

Redazione Web

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di Antonio Carfì *- «Chi sei Tu, Immacolata?», scriveva san Massimiliano Maria Kolbe. I teologi fanno opportunamente notare che l’Immacolata non è solo una nota ornamentale o devozionale della fede, quanto piuttosto un sistema di valori antropologici. Ella costituisce un simbolo di sintesi della proposta antropologica cristiana. Nell’odierna cultura post–moderna, si assiste pertanto a un fatto paradossale. Nel pensiero debole e volutamente refrattario a riferimenti forti, il discorso teologico–pastorale su Maria diventa particolarmente suggestivo e articolato, perché riscopre in lei una “maestra di valori” nella notte valoriale. Di conseguenza la Beata Vergine appare come microstoria della salvezza, modello di somma bellezza umana, donna mistica e relazionale, figura prolettica, che preannuncia e compie nel suo mistero il futuro dell’umanità. Tale premessa coinvolge anche il tema della Concezione immacolata di Maria, per cui guardare a lei significa contemplare la persona umana perfettamente riuscita, dalle origini al suo termine glorioso.

L’antropocentrismo assoluto che ha caratterizzato il XX secolo, se da una parte si è reso protagonista di indubbi progressi che hanno elevato la qualità della vita dell’umanità, dall’altra, a causa della pretesa di estromettere Dio dall’orizzonte esistenziale, relazionale–dialogico della persona umana, ha favorito il fiorire di una “bruttezza” che ha trovato terreno fertile nel nichilismo. I segni evidenti di questa bruttezza sono riscontrabili in una serie di fratture: tra passato–presente–futuro, tra la natura e l’umano, tra il naturale e il soprannaturale, tra etica privata ed etica pubblica, tra complessità e unità della vita, tra vita e amore, tra vita e morte. Possiamo, dunque, chiederci con Dostoevskij: «Quale bellezza salverà il mondo?». Certamente quella di Cristo, nuovo Adamo, che è lo splendore del Padre, l’irradiazione della sua gloria, il più bello tra i figli dell’uomo; ma in relazione con lui, anche se in condizione sempre subordinata e dipendente, la Tota Pulchra, nel suo significato profondo di massima prossimità a Dio per la pienezza della santità è la risposta del Padre alla condizione di disarmonia cui sembra essersi rassegnata l’umanità del post–moderno.

L’Immacolata è l’affermazione perentoria da parte dell’Unitrino che il peccato originale, vero codice di fallibilità con tutto il suo drammatico corredo di fratture, è stato superato, nel senso che la spaccatura tra quello che l’uomo è a partire da Dio e ciò che egli è in se stesso, l’opposizione tra «il volere del Creatore e l’essere empirico dell’uomo» in lei è stata definitivamente risolta. Dopo Cristo, la Tutta Santa è il modello privilegiato della vera umanità; perfetta sintesi tra protologia ed escatologia, paradigma della relazionalità autentica e adeguata all’interno della quale la persona umana, imago Dei, è chiamata a vivere la sua apertura al Trascendente.
Nella diuturna e faticosa ricerca di un typus antropologico del Terzo millennio, dopo e in Cristo, uomo nuovo, la persona storica e il suo ruolo nell’economia della salvezza fanno dell’Immacolata una via singolare e imprescindibile da considerare nella sua cogente ed attuale esemplarità. Guardando al suo vissuto storico e di fede, e sperimentando nell’oggi della Chiesa e del mondo la continuità del suo munus materno nella condizione di Glorificata, come scriveva l’indimenticabile padre Stefano De Fiores, «impariamo a realizzare la nostra vita come libertà che diviene e insieme come pro–esistenza in contesto di solidarietà e di relazionalità. Il rimando alla Trinità ci deve spronare a non rimanere uno accanto all’altro, ma a vivere con l’altro, per l’altro e nell’altro: ideale che suppone come base e come effetto la partecipazione all’essere stesso di Dio che è Amore». Infatti, la caratteristica più rilevante di Maria di Nazareth è appunto quella di non essere immagine statica da contemplare, ma madre e sorella che ci precede e ci addita i sentieri della vera antropologia. Con lei, mistagoga di lunga esperienza, siamo condotti per mano all’incontro diretto con la Trinità.

* Mariologo

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