Avvenire di Calabria

Nel testo finale della commissione parlamentare Antimafia, la fotografia di tutti gli affari criminali

L’ombra dei clan sul voto. Minniti: troppi silenzi sulle mafie

Redazione Web

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«Nel momento in cui c’è il rischio concreto che le mafie possano condizionare il voto, non ci può essere silenzio in campagna elettorale. Vedo troppo silenzio su questi temi...». È un serio campanello d’allarme, quello fatto suonare ieri in Senato dal ministro dell’Interno Marco Minniti, durante la presentazione della relazione finale della commissione parlamentare Antimafia (approvata all’unanimità il 7 febbraio). Un silenzio che inquieta anche il Guardasigilli Andrea Orlando («Un errore grave») e la presidente della commissione Rosy Bindi, dispiaciuta che alla presentazione siano «assenti i segretari di partito, vorremmo che questo tema irrompesse di più», visto che preoccupa «lo sdoganamento dell’uso della violenza in campagna elettorale, che fa tornare i mostri del passato ». Occorre, propone Bindi, che le «forze politiche dimostrino, in modo autonomo e prima delle indagini della magistratura, di aderire a criteri di candidabilità più stringenti, rispetto alla normativa attuale, indicati nel codice di autoregolamentazione da noi approvato». Nell’ambito dell’impegno della società civile, secondo il presidente di Libera don Luigi Ciotti «la Conferenza episcopale italiana è entrata totalmente in gioco e questo mi sembra di grande valore», rispetto ad alcuni atteggiamenti del passato.

Comuni sciolti tre volte. Dal 1991 ad oggi, riepiloga la relazione, sono stati 291 gli scioglimenti per mafia a carico di 229 comuni (42 sciolti 2 volte e 13 addirittura 3). La maggior parte degli scioglimenti è avvenuta in Campania e Calabria, ma al centro nord si contano diversi casi (3 in Piemonte e Liguria, 2 nel Lazio, 1 in Lombardia e in Emilia-Romagna). Fra gli ultimi casi il comune calabrese di Lamezia Terme (70mila abitanti) e il municipio romano di Ostia, 200mila abitanti.

Morto un boss, se ne fa un altro. Dentro Cosa nostra, che «mostra una straordinaria capacità di rigenerazione », la scomparsa del boss Totò Riina (deceduto nel carcere di Parma il 17 novembre scorso) ha aperto «una fase di transizione» che «subirà un’accelerazione a breve». La morte del padrino per Cosa nostra «costituisce paradossalmente un ulteriore elemento attuale di forza», perché la lascia «libera di ridarsi un organismo decisionale centrale, e quindi una strategia comune, finora ostacolata dall’esistenza di un capo che, in carcere a vita al 41-bis, né poteva comandare né poteva essere sostituito».

Baby criminali. Secondo il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, «non è vero che le mafie si sono fortemente indebolite, sono lì ad aspettare, incassano molto denaro». La ’ndrangheta calabrese resta la più globalizzata, la «più ricca, agguerrita e potente» e la «leader mondiale nel traffico di stupefacenti». La camorra invece, pur «atomizzata», non ha perso ag- gressività. E «agli eredi di sangue si affianca un esercito di bambini e adolescenti, reclutati nei quartieri più degradati e tra le famiglie più povere, usati per confezionare dosi e spacciare la droga, addestrati al controllo del territorio ». Proprio a Napoli, c’è una escalation di delinquenza minorile: «Oltre alla droga, si registrano rapine, scippi, estorsioni, uso di armi, omicidi e tentati omicidi».

Azzardo e altri affari. La relazione ritiene «ampiamente dimostrato il ruolo delle organizzazioni criminali nel traffico di esseri umani» in viaggio come migranti «lungo le rotte del Mediterraneo e dei Balcani». Ma «non c’è settore, dalle costruzioni al turismo, dal commercio alla ristorazione, dal gioco d’azzardo legale allo sport, in cui le imprese mafiose non abbiano investito».

Coppola & pallone. Dalla relazione emergono «forme di contaminazione mafiosa del mondo dello sport e in particolare del calcio». A Torino, si legge, la ’ndrangheta ha fatto da intermediaria e garante nel «bagarinaggio gestito dagli ultras della Juventus, arrivando a controllare i gruppi ultras che avevano come riferimento diretto diverse locali di ’ndrangheta». Ma sono segnalati pure casi a Catania o a Napoli, dove «i capi ultras sono persone organicamente appartenenti ad associazioni mafiose». O le vicende del Genoa e della Lazio, dove «modalità organizzative e operative degli ultras vengono spesso mutuate da quelle delle associazioni di tipo mafioso». A volte i tentacoli dei clan ghermiscono le società, rendendole «canale di riciclaggio di capitali illeciti, come nel caso del Foggia calcio, oltre che fonte di ulteriore arricchimento».

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