Avvenire di Calabria

Intervista a don Pietro Sergi: «Aiutiamo i giovani a sostenere le fatiche»

L’ora di religione: quando l’insegnamento è testimonianza

Davide Imeneo

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È tempo di iscrizioni. Il mondo scolastico è in fermento e si ripresenta, puntuale come ogni anno, il dibattito sull’ora di religione. Come si orientano le famiglie reggine? Risponde don Pietro Sergi, responsabile diocesano del Servizio per l’insegnamento della religione cattolica: «Nella nostra diocesi resiste ancora una certa connotazione “culturale” del fatto religioso, che impregna la vita della gente. Il primo motivo per cui si vive la religiosità è una tradizione, ancora molto radicata, sebbene non più compresa. Credo che in moltissimi casi anche la scelta dell’ora di Religione non sia immune da questa iniziale motivazione. È pur vero che in seconda battuta molte famiglie testimoniano di aver rilevato nella testimonianza dei figli che fanno religione una reazione che li ha stupiti. Mi è capitato di intervenire personalmente in situazioni gravi di conflitti in famiglia, proprio su segnalazione e con la collaborazione dei ragazzi. Tale intervento è stato molto gradito e ha portato molti frutti buoni».

Qual è il punto forte di questa scelta?

È quello che l’insegnante porta. Viviamo in un momento di grandi incertezze antropologiche che si riflettono anche nel modo di essere educatori e genitori. Tante volte ho potuto notare che le difficoltà dei giovani hanno radici nelle difficoltà e nella crisi dell’adulto. Non credo di esagerare col dire che, a volte, gli adulti hanno paura dei giovani. Hanno paura del non saper rispondere alle loro domande di senso. Ma noi adulti siamo sicuri di quello che proponiamo? Solo se entriamo in classe con una proposta “sanguinante”, piena di vita potremo incidere ed essere ascoltati: “amore”, “bellezza”, “verità”, “giustizia” possono essere parole vuote o avere la densità del testimone.

Cosa consiglia a chi vorrebbe insegnare religione?

L’insegnante di religione è un testimone. Se nell’insegnamento della religione ci può essere qualche dato che allarma è il fatto che a volte può capitare che l’insegnante cerchi semplicemente un posto di lavoro. Quindi finisce nel pensare di esaurire il suo compito nel tentativo di comunicare la tradizione cattolica con tecniche più o meno scaltrite. Ho imparato che non si può insegnare religione se non si vive coscientemente, nel grembo della comunità cristiana, la propria fede. Come dicevano i latini: « Nemo dat quod non habet » («Nessuno da quello che non ha», ndr).

Ha ancora senso che un sacerdote spenda il suo ministero in aula?

Credo che mai come in questo momento storico la figura del sacerdote può dare un grande aiuto al mondo della scuola. Tanti giovani che mi hanno seguito successivamente nella vita cristiana li ho incontrati a scuola: ragazzi che mi hanno trovato vicino nel momento della morte di un genitore, ragazzi che hanno rischiato la via della droga, ragazzi disorientati davanti alla crisi matrimoniale dei genitori, ragazzi confusi davanti alla propria identità sessuale e in cerca di aiuto, ragazzi incapaci di affrontare lo studio. Il sacerdote non ha la soluzione di tutti i problemi, ma può con umiltà fare quello che ha Dio ha fatto in Gesù: accompagnare, gioire e soffrire con i piccoli e i giovani, aiutandoli a sostenere la fatica del momento e indicando la strada dell’Ideale.

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