Il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo emerito di Ancona-Osimo, ha predicato gli esercizi spirituali ai sacerdoti dell'arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova nei giorni scorsi a Cucullaro. Lo abbiamo raggiunto per dialogare con lui sulla situazione socio-politica del nostro Paese.
L'impegno politico dei cattolici. Cosa pensa dell'appello del presidente della Cei, Bassetti?
Credo che sia doveroso, attuale e utile per smuovere le coscienze. Ci sono, però, diversi modi di impegno politico: c’è un impegno nel partecipare, un impegno nello stare dentro l’organizzazione della Cosa pubblica e, infine, l’impegno nel sociale. Su questi aspetti, a eccezione dell’ultimo, viviamo una stagione di debolezza. Alla radice di questa rinnovata partecipazione ci devono essere due convinzioni, ossia suscitare un interesse per la cosa di tutti e partecipare. Questo può essere possibile, per i cattolici, solo se si iscrive la "partecipazione" proprio nel mistero dell’Incarnazione. Il Figlio di Dio poteva salvare in qualunque modo e, invece, si è fatto uomo, si è reso partecipe e ha creato un dialogo educativo e formativo con tutti.
Un partito di cattolici o i cattolici nei partiti. Qual è il futuro?Quando la Chiesa ha celebrato il convegno ecclesiale a Palermo si sancì la fine del partito dei cattolici. Si parlò dell’unione dei valori, quasi a dire di essere uniti nelle varie appartenenze. Questa idea, che dovrebbe essere il lievito della società, si è indebolita perché l’appartenenza a un partito “fagocita” chi ne prende parte. Questo vuol dire che non si obbedisce più “alla coscienza” se non in rari casi.
Il vero nodo da sciogliere è la libertà di coscienza e quella testimonianza evangelica che invita alla responsabilità. Occorre rimettere al centro la persona e il Bene comune. Ormai è sotto gli occhi di tutti: dove ci sono frammentazioni sociali e ingiustizie legalizzate, la presenza del credente si indebolisce.
Rimane, quindi, l'obiettivo di essere "sale" nei diversi contesti di appartenenza, quindi?Oggi il partito è distante dalla gente. Dobbiamo ritornare a quella intelaiatura dove il popolo elettore educa il parlamentare. Bisogna tornare al confronto quotidiano attraverso uno scambio per cui il parlamentare non porta soltanto la sua idea, o l’idea del partito, ma l’idea del popolo che ha incontrato.
La Chiesa potrebbe favorire una rinascita dell’impegno politico attraverso scuole formative?Tutto ciò che diventa elemento di formazione è cosa buona e santa. Dovremmo sfruttare qualcosa che già la Chiesa possiede, ovvero le aggregazioni laicali. Qualcuna di esse ha già elaborato una sorta di progetto sulla "economia di comunione". Questo popolo che ha come compito quello della formazione, dovrebbe trovare un momento comune per diventare un laboratorio di fecondità politica.
La democrazia diretta agevola la politica o crea discriminazioni?Potrebbe essere una via buona se le persone abbandonassero la rissosità verbale e se non si nascondessero dietro un anonimato. Queste vie hanno dato spesso risultati di grande violenza, discriminazione e offesa delle persone. Questa non è politica.
Qual è il suo pensiero sul populismo?Il popolo di per sé è buono, però è anche facilmente emozionabile. Questo non è negativo perché l’emozione è una risposta a una situazione. Accettiamo pure l’emozione del popolo, ma siamo capaci poi di governarla? Perché un’emozione popolare che non è governata diventa rischiosa per tutti, anche per chi se ne serve.
La preoccupa il futuro dell’Italia?No, ci vuole il dono della speranza. Il popolo ha dato uno scossone a qualcosa che forse era troppo addormentato. Cerchiamo di vedere l’aspetto positivo e facciamolo ragionare. Un compito non da poco è svolto dai social e dai mezzi di comunicazione.