di Giacomo D'Anna - Ho avuto la fortuna di conoscere monsignor Mondello in una delle stagioni più belle e particolari della mia vita. Ero stato ordinato diacono, qualche settimana prima del suo ingresso in diocesi, dal suo precessore, monsignor Aurelio Sorrentino. L’altra tappa importante e decisiva sarebbe stata l’ordinazione sacerdotale, ma come avviene quando questa coincide con il cambio della guardia dei pastori posti alla guida di una Chiesa particolare, se da una parte rappresentava per me una gioia immensa, dall’altra era certamente motivo di trepidazione, perché tutto rimaneva avvolto dal mistero e dall’incertezza. Ricordo ancora con molta emozione l’arrivo del nuovo vescovo a Reggio, anche lui come novello Paolo di Tarso, sbarcato sulla sponda del nostra litoranea città. Lo attesi e incontrai nella cappella del “nostro” episcopio e già dal primo incontro l’intesa e la simpatia reciproca fu lampante. Passarono pochi mesi, e di lì a poco, mi ritrovai, per bontà e benevolenza del neo arcivescovo, suo segretario particolare.
Mi presentai a lui e all’intera arcidiocesi, solo rivestito della mia esuberanza giovanile accompagnata dalla mia buona volontà e piena disponibilità a tutto ciò che mi veniva richiesto, ma soprattutto della mia evidente e lampante inesperienza e fragilità di un giovane chierico. Mi colpì la risposta sagace di monsignor Mondello, che alla mia dichiarazione: «Ma io non so fare niente, non so se sono capace!», affermo: «Questo è un problema mio, non tuo!». E così comincio quell’esperienza tutta mia personale, che mi fece crescere e maturare molto, che porto nel cuore come una delle esperienze più belle e significative della mia vita di uomo e di prete, in quanto mi permise di conoscere, apprezzare e oggi potrei aggiungere, venerare la figura del Vescovo, l’immagine del Pastore “buono”, posto da Dio al servizio della Chiesa reggina–bovese, che fu di santo Stefano di Nicea e via via, nel segno della successione apostolica, di tutti quei suoi grandi presuli, che l’hanno servita. curata e amata con singolare passione e soprattutto speciale paternità. MonsignorMondello, il giorno del suo ingresso in Diocesi, delineò, racchiudendo in tre parole chiave, il suo programma pastorale: una comunità santa, un presbiterio unito, un laicato maturo. Mi limito, allora, a sceglierne uno, il terzo, quello sul laicato, senza per questo considerare i primi due, poco interessanti o attuali. Monsignor Mondello era stato esimio professore di Ecclesiologia negli Studi Teologici di Palermo e di Messina, ma con la sua nomina a Vescovo, seppe passare son ineguagliabile capacità e lungimiranza dalla figura di “professore” a quella di “pastore”. Il che non significava rinnegare il suo bagaglio culturale e accademico dei lungi anni di insegnamento, che anzi accompagneranno, caratterizzeranno e arricchiranno tutto il suo ministero episcopale, ma ha davvero saputo tradurre gli insegnamenti conciliari in stile di vita, passando con estrema semplicità e immediatezza, dalla teoria alla prassi.
Il Concilio Vaticano II era stato il “concilio ecclesiologico” per eccellenza, era stato il vero “Concilio della Chiesa”, delineando tra l’altro la nuova figura del Pastore della comunità cristiana, e riscoprendo un modo nuovo di vedere il ruolo del Vescovo, che lasciava ormai definitivamente da parte il suo essere il capo e gerarca della Chiesa, per essere il padre e pastore di “Particolare” Chiesa, che diventava, dal giorno del suo insediamento, la sua sposa, la sua famiglia, e oserei dire, la sua stessa vita.