La prima volta senza la “sua” processione. Forzatamento lontano dalla Madonna della Consolazione, avvocata del popolo reggino. Monsignor Salvatore Nunnari, arcivescovo emerito di Cosenza, è sinceramente triste. Quando incrociamo la sua voce, nei giorni della festa, capiamo che per lui – il don Nunnari con la campanella che tutti ricordano in Città – non sarà un settembre come gli altri. E, con disarmante sincerità, non fa nulla per nasconderlo: «A una certa età, si fa fatica a smorzare le emozioni», si lascia sfuggire, «sto soffrendo. Sto soffrendo tantissimo».
Quanto le mancherà la Vara quest’anno?
Non riesco a quantificarlo. Per essere sintetico, dirò troppo. Sono stato sotto la Vara per tanti anni, le prime volte avrò avuto diciassette anni, neppure maggiorenne. Ovviamente ero accanto ai portatori, poiché non mi fidavo di essere sotto la stanga. Ero accanto anche a don Italo Calabrò, maestro di vita e di fede. È stato lui, don Italo, a restaurare il senso autentico della processione, fondando l’associazione dei portatori e facendola riconoscere dalla gerarchia ecclesiastica. Se penso all’assenza di quest’anno, le prime immagini che mi vengono in mente sono quelle della mia giovinezza. Del mio primo amore. Immagini che si uniscono a una voce...
Quale?
Sento riecheggiare il motto dialettale di Ciccio Errigo: «Cu terremoti, cu guerri, cu paci, sta festa si fici, sta festa si faci!». Le racconto un aneddoto: per tanti anni, ho fatto parte del Comitato comunale, presieduto dai diversi sindaci del tempo, che organizzava le festività civili. Bene, pensando a tutta la macchina che, ogni anno, si mette in moto per Festa Madonna vedo una Reggio meravigliosa: quei 100mila dietro la Vara rappresentano l’identità di un popolo. Fatto di credenti e non credenti. Ma unito.
È vero, quindi, che la Madonna della Consolazione è l’unica ad unire la Città?
Una volta, durante la processione, vidi un noto anarchico di Reggio tenere la bambina in braccio. Chiese ai portatori di far baciare il quadro a sua figlia. Era notoriamente anticlericale e si vantava di essere ateo. Bene, io lo vidi lì rivolgere una preghiera alla Mamma di tutti i reggini.
Innegabilmente, il suo rapporto coi portatori è privilegiato. Come stanno vivendo le restrizioni di quest’anno?
Li ho visti amareggiati, ma è giusto fare così: la decisione della Curia, seppur sofferta, va appoggiata e sostenuta. Loro stanno rinviando di qualche mese il loro servizio: sono i cavalieri di Maria, camminano sempre accanto a Lei. I portatori, vede, sono l’epressione del popolo. Sotto la stanga c’è il professionista, il disoccupato, l’impiegato: c’è Reggio. È gente buona, semplice. Hanno una fede schietta. Una devozione che si tocca con le mani. Vivono la straordinaria esperienza di essere figli di una bella Madre.
Lei, di recente, è tornato in Città. Come ha visto i reggini?
Ho visto un popolo con tanta paura, purtroppo il virus non è morto e incute tanto timore. Anche questo aspetto, però, si può rileggere con gli occhi della fede. La gente vive l’attesa dell’incontro con la Consolatrice con la speranza che ancora lei sarà la protettrice della Città.
Un settembre diverso, caratterizzato anche dalle ormai imminenti elezioni amministrative.
Le tante liste non stanno creando lo stesso entusiasmo che solitamente si percepiva a una settimana dal voto; la gente è distratta. Ogni tanto chiacchiera, ma lo fa superficialmente. Reggio merita una classe dirigente che amministri la Città con coerenza, con coscienza e con sacrificio. C’è bisogno di uomini che credano nel Bene Comune; un valore di cui la Città ha tanto bisogno. Reggio deve essere amata. Probabilmente servirebbe parlare di più coi fuori–sede: soltanto chi va via, si rende conto della bellezza della nostra Città.