Avvenire di Calabria

Seguendo l’esempio del Pontefice, il vescovo di Lamezia Terme apre alla possibile collaborazione col Governo regionale

Monsignor Schillaci: «La Carità? Farsi prossimo non è una teoria»

Davide Imeneo

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«Il buon Samaritano». Quando chiediamo a monsignor Giuseppe Schillaci, vescovo di Lamezia Terme, di fornirci l’icona che – secondo lui – incarna al meglio la Chiesa in uscita, il presule etneo da qualche mese in Calabria ha pochi dubbi: «Prossimità significa avere compassione, piegarsi, farsi carico, crea respnsabilità». Usa parole chiare Schillaci – rifacendosi a papa Francesco e ai suoi ultimi documenti – per aprire la nostra lunga e articolata chiacchierata nei giorni in cui la Chiesa entra in un tempo liturgico molto intenso.

Da pochi giorni è iniziata la Quaresima, tempo nel quale ogni cristiano è invitato a gesti concreti di Carità. Ma ci può dire cos’è esattamente la Carità?
Dobbiamo partire sicuramente da quello che dice Deus caritas est, la prima Lettera di Giovanni: Dio è agape, Dio è amore. Non possiamo pensare alla carità come il fare la carità, dare un obolo. Quello è un gesto di attenzione, di carità, ma noi cristiani partiamo da lì: Dio è amore e questo è il principio fondante. C’è questa bellissima espressione che ogni tanto ricordo a me stesso di Sant’Agostino che dice: «Immaginiamo che abbiamo una sorta di cataclisma e dovessero sparire tutte le Bibbie del mondo. Di questa Bibbia ne è rimasta una e di questa non si leggono tutte le parole ma è rimasta questa espressione “Dio è agape”, “Dio è amore”. La Bibbia è tutta lì». La Carità si attinge a questa fonte inesauribile che i cristiani non possono che lasciarsi interpellare da questo principio fondante, strutturante. Non a caso papa Benedetto la sua prima lettera enciclica la scrive proprio su questo: Deus caritas est. Quindi, la carità è questo: Dio.

La Chiesa, da quando esiste, ripropone al mondo la “prossimità concreta” del Maestro. Nel nostro tempo come deve essere ripensata?
Pensare la prossimità, oggi, è fondamentale, non solo in termini teorici perché il rischio a volte è che noi facciamo teoria. In questo senso papa Francesco ci sta aiutando molto, perché ci aiuta a vivere la prossimità nella concretezza, nei gesti. Quindi, prossimità significa preoccupazione, quello che lui dice nell’Evangelii gaudium: accorciare le distanze in questo mondo in cui, in un modo o nell’altro, si tende, invece, a frapporre ostacoli, muri. Mi sento di condividere molto questa dimensione: accorciare le distanze significa gettare ponti. Il mondo della comunicazione, fondamentalmente è questo, risponde un po’ a questo desiderio. Oggi, per esempio, anche in merito a questo problema del Coronavirus noi comprendiamo che siamo fondamentalmente una famiglia: tu vuoi mettere barriere, ma questo virus ti arriva.

I poveri sono davvero al centro dell’agire della Chiesa calabrese?
Io sono qui da pochi mesi e posso parlare soltanto di quello che ho potuto conoscere ed incontrare: c’è tanta ricchezza e attenzione. Ci sono diverse realtà che si preoccupano dei poveri: non so, però, se si può dire questo di tutta la Chiesa perché a volte vedo delle difficoltà per cui c’è il rischio di pensare ad una religiosità formale legata semplicemente a delle pratiche religiose, cultuali, quando, invece, i poveri dovrebbero essere la preoccupazione. Quando papa Francesco dice «come vorrei una Chiesa povera per i poveri» significa secondo me questo. Significa quello che ancora lui dice nell’Evangelii gaudium «non pensiamo ai poveri come ad una categoria sociologica, ma come ad una categoria teologica». Ecco che qui ritorna l’icona. «Cristo si e’ fatto povero per arricchirci della sua povertà», come dice Paolo. È una Chiesa che si fa povera alla scuola del Maestro.

La formazione degli operatori è cruciale. Da questo punto di vista, quali consigli pensa di poter dare ai parroci e ai volontari?
Focalizzare il primato della carità. Perché, come diceva il teologo Von Balthasar «solo amore è credibile». Quindi, porre dei gesti di credibilità, gesti concreti. Allora ai parroci e agli operatori pastorali direi questo: formiamoci in questa chiave, in questa luce, cioè lasciamoci raggiungere da questa agape, da questo amore che è smisurato. Sant’Agostino dice che la misura dell’amore è amare senza misura, amare in maniera disinteressata. Formiamoci in questa ottica. Formiamoci al disinteresse. Naturalmente significa percorsi educativi che ti aiutano sempre più a cogliere questa dimensione disinteressata perché è un amore senza tornaconto, senza contraccambio: faccio una cosa non perché mi aspetto un ritorno.

Tra i tanti poveri di oggi ci sono anche i giovani. Poveri di relazioni, di speranza, di futuro... in Calabria, soprattutto. Come possiamo aiutarli?
Se noi rimaniamo all’icona del buon Samaritano, credo che possiamo aiutarli, volendoli bene, non ghettizzandoli, non demonizzandoli, cercando di avvicinarli, di stare con loro. Farli sentire sempre più protagonisti anche se hai quattordici anni, quindici anni. È quello che ha fatto Gesù con «lasciate che i fanciulli vengano a me». Quindi, quale è la crescita vera? Mettersi in ascolto dei giovani, come ha fatto il Papa con questo Sinodo bellissimo, ascoltando i giovani non ghettizzandoli o rifiutandoli o dicendo che sono superficiali e non capiscono nulla. Cerchiamo, invece, di ascoltarli e capirli sempre di più.

Il Terzo settore e il Welfare in genere sono poco considerati in Calabria, soprattutto dal punto di vista legislativo. Che tipo di appello vuole rivolgere al nuovo governo regionale?
Permettere a tutte le realtà che ci sono possa sempre più essere messe nelle condizioni di operare bene. Penso che le Leggi Quadro a livello nazionale ci sono, si tratta di tradurle, di fare in modo che tutto questo si attualizzi oggi. Quindi, io direi al Governo regionale: fate le delibere giuste, mettete nelle condizioni perché ci sia un welfare più attento alle esigenze soprattutto di chi non ce la fa, alle esigenze dei più poveri, perché è lì che bisogna guardare. Bisogna guardare agli indigenti perché chi ha le possibilità riesce a trovare la soluzione, in un modo o nell’altro, come nella sanità, ma anche in tutti gli ambiti del welfare. Allora direi al nuovo Governo regionale: fate in modo di favorire tutto questo, soprattutto coloro che hanno voglia di fare qualcosa. Non impedite, non mettete ostacoli. Un governo deve far sì che dove non puo’ arrivare la politica si faccia in modo che chi ha la possibilità, come con il principio di sussidiarietà della Chiesa, si possa esprimere e possa raggiungere quella realtà che come Stato non si è capace di raggiungere fino in fondo.

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