Avvenire di Calabria

Cristo lascia la vita terrena ma rimane con il suo popolo, l'attualità del racconto di uno dei misteri della fede più difficili da comprendere

Oggi l’Ascensione di Gesù al Cielo, non un addio ma presenza viva ed eterna

Il liturgista: «Il cielo diviene spazio concreto e reale di incontro con Cristo pasquale già qui sulla terra, in attesa della nostra partecipazione definitiva alla fine della nostra vita, quando entreremo per sempre nella vita di Cristo pasquale»

di Antonio Concetto Cannizzaro

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Si celebra oggi (settima domenica del tempo di Pasqua) la solennità dell'Ascensione di Gesù al Cielo. Si conclude la vita terrena di Gesù che con il suo corpo, alla presenza degli apostoli, si unisce fisicamente al Padre, per non comparire più sulla Terra fino alla sua Seconda venuta (Paursìa) per il Giudizio finale.

Il mistero dell’Ascensione di Gesù al cielo è uno dei misteri della fede più difficili da comprendere. Del resto la catechesi della Chiesa già fin dalla sua origine ha dovuto fare i conti con le difficoltà che il linguaggio “simbolicomistico” aveva nei riguardi di quello scientifico e filosofico. Questa difficoltà nel corso dei secoli è cresciuta enormemente e oggi la Chiesa si trova in grande affanno nell’accompagnare i fedeli alla comprensione del mistero dell’ascensione.


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Le categorie scientifiche di spazio-tempo insegnate dalla relatività, cozzano non poco con le verità di fede. Allora come accostarsi a questo mistero per comprenderlo nella giusta dimensione? In questo tentativo ci aiutano non solo gli autori contemporanei, ma anche i padri della Chiesa in una sintesi mirabile di pensiero teologico che fonda tra loro la sapienza antica e la ricerca teologica contemporanea.

Per cercare di comprendere che cosa significa la professione di fede in Gesù salito al cielo, dobbiamo per prima cosa sgombrare il campo dalle nostre categorie logico-formali e mettere in discussione tutto quello che abbiamo appreso dalla scienza. Qui non si tratta di fare un discorso scientifico ma mistico. Con questo termine indichiamo una realtà concreta, vitale ed universale che non può essere indagata con gli strumenti della ricerca scientifica, ma solo con quelli della logica e della metafisica.

L’affermazione della teologia che vede nell’Ascensione del Signore il compiersi della salvezza iniziata con l’incarnazione, va compresa nella sua valenza teologica. Dire che Cristo come per noi è disceso dal cielo così per noi è risalito al cielo significa affermare il mistero salvifico di Dio, il suo disegno di salvezza. Già San Leone Magno spiega che con questo mistero «Viene proclamata non solo l’immortalità dell’anima, ma anche quella della carne. Oggi, infatti, non solo siamo confermati possessori del paradiso, ma siamo anche penetrati in Cristo nelle altezze del cielo» (Trattato sull’Ascensione).

La festa dell’Ascensione si comprende se innanzitutto riusciamo a cogliere le varie dimensioni teologiche della festa che sono: cristologica, escatologica, simbolico-sacramentale ed ecclesiologica. Per quanto riguarda la prima, quella cristologica, con l’ascensione al cielo, Gesù inaugura un nuovo modo di essere, il verbo preesistente dopo avere assunto la carne umana, ora torna alla destra del Padre portando con sé anche un corpo umano risorto e trasfigurato. Alla fine dei tempi, il suo ritorno prefigurerà quella risurrezione universale annunciata dalla Chiesa e attesa da tutti i redenti.

In attesa di tale compimento, la sua presenza nel tempo e nella storia sarà assicurata, come insegna San Leone Magno nel suo secondo discorso sull’Ascensione, dalla celebrazione sacramentale: «Perciò quello che era visibile nel nostro redentore è passato nei riti sacramentali». La dimensione ecclesiologica, infine, ci mostra che l’edificazione della Chiesa è un compito sempre nuovo che i fedeli devono assumere e che l’evangelizzazione è stato ed è il compito centrale della Chiesa.

La missione della Chiesa riempie il “vuoto” lasciato dal Risorto con la sua assenza fisica. Ora la Chiesa ha il compito di rendere presente il Signore risorto tra gli uomini di ogni tempo. Ma che significa che Cristo è salito al cielo? Spesso nella Bibbia si parla di cieli, al plurale, per esempio al Salmo 115,16: «I cieli sono i cieli del Signore, ma ha dato la terra ai figli dell’uomo». Ci sono due cieli, uno visibile e l’altro invisibile. Il termine “cielo” non va inteso come un luogo fisico, né come una regione metafisica eterna, insegna il teologo Ratzinger, ma va inteso come l’intimo incontro tra Dio e l’uomo.

«Il cielo va definito come il toccarsi fra la natura dell’uomo e la natura di Dio in Cristo» (Introduzione al Cristianesimo). L’Ascensione al Cielo di Gesù, inaugura, per così dire, un nuovo spazio “cosmotico”, cioè un nuovo modo di essere dove l’uomo diviene il confine tra il cosmo e lo spirito. Questa nuova possibilità di esistenza è stata donata da Dio in Cristo, in lui la natura di Dio è entrata per sempre nella natura dell’uomo. Questo nuovo spazio di esistenza, superando il confine biologico, quello della morte, inaugura una dimensione futura dell’umanità, dove si intrecciano la speranza di eternità del singolo e la possibilità di eternità dell’umanità. L’Ascensione al cielo di Cristo, in altre parole, ci offre la possibilità di comprendere come la vita terrena e quella ultraterrena diventano un continuum pur nella loro diversità ontologica. Quando la teologia parla di cielo allora che cosa intende? Innanzitutto non si intende un luogo fisico, una regione celeste, ma si intende un modo di essere.

Il cielo è il Verbo eterno del padre, incarnato e risorto e salito al cielo. In altre parole, il cielo è il Cristo pasquale che con la sua risurrezione assume per l’umanità una valenza cosmica. Andare in cielo per il cristiano è stare con il Cristo risorto. Il cielo è lui. Ci ricorda Sant’Agostino che il Signore «non abbandonò il cielo discendendo fino a noi e nemmeno si è allontanato da noi quando di nuovo è salito al cielo».

L’Ascensione al cielo di Gesù risorto è avvenuta nell’atto stesso della sua risurrezione. Ma la fede nella risurrezione stentava ad affermarsi tra gli apostoli, anzi l’incredulità dilagava tra di loro. Ecco perché il Risorto sceglie di incontrarli ancora, per mostrarsi risorto e glorioso, la sua vista avrebbe fortificato per sempre la fede dei dodici. Dopo le catechesi pasquali, il Risorto, che era apparso solo la domenica ai suoi, ora per l’ultima volta decideva di farsi vedere e con una manifestazione grandiosa, definitivamente si accomiatava da loro e dai credenti e non si sarebbe fatto più vedere in carne e ossa, scegliendo un’altra modalità di presenza nella vita e nella storia dell’umanità: la via misterica, come la chiamano i Padri, ossia la via sacramentale. Da quel giorno in poi, il Cristo mistico, risorto e asceso alla destra del Padre, Lui il cielo di Dio, inaugurava un nuovo modo della sua “presenza” nella vita e nella storia degli uomini, quella nello spirito.


PER APPROFONDIRE: La Risurrezione insegna che vale la pena credere


La sua non è più, dunque, una presenza secondo la carne, ma secondo lo Spirito. Questa seconda presenza è addirittura preferibile alla prima, perché così Egli può farsi presente ad ogni uomo, in ogni angolo della terra e in ogni tempo. Ogni volta che ci incontriamo con Lui, celebrando i santi misteri, entriamo anche noi in cielo. Allora il cielo diviene spazio concreto e reale di incontro con Cristo pasquale già qui sulla terra, in attesa della nostra partecipazione definitiva alla fine della nostra vita, quando entreremo per sempre nella vita di Cristo pasquale, il cielo di Dio.

*Liturgista

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