Avvenire di Calabria

Il caso dell'assassinio del giornalista slovacco si estende e si aggravano le posizioni dell'imprenditore Antonino Vadalà

Omicidio Jan Kuciak , gli inquirenti: è stata la ‘ndrangheta

Nello Scavo

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L'imprenditore italiano Antonino Vadalà è stato arrestato dalla polizia slovacca, che indaga sull'omicidio del giornalista Jan Kuciak e della fidanzata Martina Kusnirova. Lo scrive il quotidiano locale Korzar. Secondo i media, stamattina la polizia ha fatto irruzione negli appartamenti ell'imprenditore, a Michalovce e a Trebisov, nell'est del Paese. Insieme a lui sono stati arrestati anche il fratello Bruno e il cugino, Pietro Catroppa. In manette, come sospettati, pure altri quattro italiani. Della famiglia Vadalà e dei presunti legami con la 'ndrangheta ha scritto Kuciak nel reportage pubblicato ieri dal suo giornale.

Una delle piste investigative porta infatti a Bova Marina, in provincia di Reggio Calabria, da dove, secondo la stampa slovacca, diversi elementi legati alla 'ndrangheta partirono anni fa alla volta dell'Est d'Europa e finirono per avere collegamenti cruciali nella politica e nelle istituzioni di Bratislava. Il quadro di questo intreccio è riportato da uno dei giornali più importanti della Repubblica slovacca, lo "spectator.sme" che insieme a "aktuality.sk" (il giornale per cui scriveva il reporter ucciso), riprende il filone sul quale
Kuciak lavorava, ovvero il legame tra Antonio Vadalà, imprenditore nel settore del fotovoltaico, Maria Troskova, primo consigliere di Stato del premier Robert Fico.

Tutto comincia nel 2011, quando, scrivono i media locali, la bella e ambiziosa Maria Troskova incontra Antonio Vadalà, che con lui fonda un'azienda impegnata a far profitti nel settore del fotovoltaico. Jan, ha scritto su "Politico" il giornalista Tom Nicholson che con Kuciak aveva lavorato, "fece progressi importanti su una storia che aveva a che fare con il trasferimento illegale di fondi strutturali europei a italiani residenti in Slovacchia, i cui legami con la 'Ndrangheta erano provati" e il cui capo "esortava a votare per lo Smer", il partito di governo in Slovacchia. "Il nome di Vadalà - scrive lo Sme - compare nel registro commerciale legato a 32 aziende, dieci delle quali operano nel fotovoltaico. Un uomo con lo stesso cognome e la stessa data di nascita compare in un mandato di cattura della polizia italiana, e nell'ordinanza di un tribunale si afferma che la 'ndrangheta collaborava con Vadalà nel trasporto merci".

Maria Troskova lascia l'azienda fondata con Vadalà nel giugno del 2012; Vadalà la lascia nel 2015, e l'azienda passa nelle mani di Pietro Catroppa, che nel 2016 diventerà titolare della Prodest insieme con Viliam Jasan, ex parlamentare dello Smer e oggi del Consiglio per la sicurezza dello Stato nel governo guidato da Fico. La Prodest è stata monitorata dai servizi segreti slovacchi lo scorso anno per ordine del tribunale di Bratislava, ma il motivo per cui ciò è stato fatto è indicato come "classificato" nel documento giudiziario. È con Jasan che Troskova entra nel mondo della politica, come sua assistente. Jasan non ha mai spiegato perché la prese nello staff. "Me la raccomandarono un mio ex assistente e un amico", si limitò a spiegare Jasan, che secondo il quotidiano "Plus Jeden Den'" è legato a Vadalà. Neanche Robert Fico ha mai spiegato perché prese come sua consigliere Maria Troskova.

A causa dello scandalo che tocca direttamente i vertici della politica di Bratislava, tre gli stretti collaboratori del premier Robert Fico hanno rassegnato ieri le dimissioni. Tra essi proprio Maria Troskowa, sospettata di essere l'anello di collegamento tra la famiglia mafiosa calabrese e i palazzi del potere. Inoltre hanno rimesso il mandato il ministro della Cultura, Marek Madaric, e il responsabile della gestione delle crisi Viliam Jasan. "Dal momento che si sta facendo abuso dei nostri nomi nella lotta politica contro il primo ministro Robert Fico, abbiamo deciso di lasciare l'incarico di governo finché l'indagine su questo caso non verrà completata", hanno dichiarato i tre ex collaboratori di Fico. Quanto al ministro della Cultura Marek Madaric, nel dimettersi aveva dichiarato che "dopo quello che è successo non posso immaginare semplicemente di rimanere calmo seduto nella mia poltrona di ministro". L'opposizione, intanto, chiede le dimissioni del ministro dell'Interno e del capo della polizia, ai quali rimprovera di non avere preso sul serio le minacce contro il giornalista.

Il processo di espansione della 'ndrangheta nell'est europeo prosegue e si consolida, insieme alla penetrazione della criminalità nel sistema politico e nelle istituzioni di paesi come la Slovacchia. Il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, evita di addentrarsi nella vicenda che sta scuotendo Bratislava ma spiega: "La ndrangheta e presente nell'est europeo da 20 anni, e si sta espandendo per riciclare il proprio denaro. Incominciamo a sentirne la presenza, ad esempio, in Bulgaria, in Romania". Finora la Slovacchia sembrava immune da episodi di inquinamento dell'economia e della politica da parte della criminalità organizzata italiana. Quanto ai suoi agganci con la politica, aggiunge il magistrato, "la ndrangheta fa votare, nei paesi in cui è presente; ci è capitato di imbatterci in 'ndranghetisti che facevano votare parlamentari tedeschi".


L'ipotesi di un coinvolgimento diretto della mafia calabrese è perciò ritenuta "verosimile" da Gratteri, perché oramai "la 'ndrangheta è radicata, non infiltrata, non solo in tutta Italia ma anche nei paesi europei come Germania, Svizzera ma anche nell'est europeo, oltre che in Slovacchia anche in Bulgaria e in Romania. La 'ndrangheta di sta estendendo verso l'Est. Va dove c'è da gestire potere e denaro e dove ci sono da gestire opportunità. Le mafie stanno acquistando latifondi per piantare vigneti, per piantare colture, il cui fine è quello di arrivare ai contributi europei". Un fenomeno non solo italiano. "Il dramma è che l'Europa - denuncia Gratteri - non è attrezzata sul piano normativo a contrastare le mafie, in particolare la 'ndrangheta. In Europa da decenni non c'è la percezione dell'esistenza della mafia, prova ne è che gli stati europei non vogliono attrezzarsi sul piano normativo come l'Italia. Ancora stanno discutendo se inserire nel loro ordinamento l'associazione a delinquere di stampo mafioso". Una prima risposta dovrebbe essere quella di "omologare i codici penali e di procedura penale partendo dal sistema italiano, ma non quello detentivo, che non funziona in Italia. Quando si parla di Procura Europea la mia paura è che si vada all'omologazione al ribasso, perderemmo un secolo di antimafia. Griderò fino a perdere la voce contro un'omologazione al ribasso".

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