
Educare alla speranza nel tempo del “digitale umano”
Da papa Leone XIV agenda per il prossimo decennio. Al centro: persona, pace e digitale

Papa Leone XIV, nell’udienza generale del mercoledì in Piazza San Pietro, ha scelto due figure femminili del Vangelo di Marco per mostrare ai fedeli la forza vitale della fede. La riflessione del Pontefice mette a fuoco il senso autentico della vita cristiana, invitando a superare la fatica esistenziale e spirituale affidandosi con fiducia a Gesù.
Alle 10 del mattino, sotto un cielo estivo già acceso, Piazza San Pietro è tornata a farsi aula a cielo aperto per la consueta udienza generale del mercoledì. Davanti a pellegrini arrivati dall’Italia e da ogni parte del mondo, Leone XIV ha scelto due volti femminili del Vangelo – la donna emorroissa e la fanciulla di Giairo – per raccontare la forza della fede che riaccende la vita.

Fin dall’incipit il Pontefice ha fotografato uno dei mali più sottili del nostro tempo: «Una malattia molto diffusa nel nostro tempo è la fatica di vivere». La sua diagnosi non è psicologica ma teologica: la realtà appare complessa e pesante quando ci si affida solo a se stessi; «la realtà va affrontata, insieme con Gesù possiamo farlo bene». Dentro questa cornice il Papa ha riletto la pagina di Marco (5, 21-43). Prima la ragazza «a letto malata» e un padre che «esce e chiede aiuto» senza rivendicare privilegi; poi la donna «condannata a rimanere nascosta» che, con un coraggio marginale, osa toccare il mantello del Maestro. Il Vangelo, ha spiegato papa Prevost, spezza ogni etichetta sociale: «A volte ci sentiamo bloccati dal giudizio di coloro che pretendono di mettere etichette sugli altri».
Il nucleo della catechesi sta in un dettaglio che spesso sfugge: mentre molti toccano Gesù, soltanto la fede della donna fa sprigionare la grazia. Leone XIV ha affidato la chiave a sant’Agostino: «La folla mi si accalca intorno, ma la fede mi tocca». Per questo, ha ammonito, «calpestiamo la superficie delle nostre chiese, ma forse il cuore è altrove». Dalla strada di Cafarnao lo sguardo è passato alla casa di Giairo. «Non temere, soltanto abbi fede!»: nell’ora più buia, il Comandamento della speranza. Poi la parola aramaica – «Talità kum» –, la mano che risolleva, la precisazione che sembra un dettaglio domestico e invece è catechesi: «Gesù, dopo aver risuscitato la bambina, dice ai genitori di darle da mangiare». È lì che il Papa ha allargato l’orizzonte alle famiglie del XXI secolo: «Quando i nostri ragazzi sono in crisi e hanno bisogno di un nutrimento spirituale, sappiamo darglielo?».
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Nel cuore della catechesi è risuonata anche una definizione netta della morte: «Per Dio, che è Vita eterna, la morte del corpo è come un sonno. La morte vera è quella dell’anima: di questa dobbiamo avere paura!». Parole che puntano alla rinascita interiore prima che alla guarigione fisica. Il Pontefice ha chiuso con l’invito a fare dei protagonisti evangelici i propri compagni di strada: «Impariamo da quella donna, da quel padre: andiamo da Gesù: Lui può guarirci, può farci rinascere. Lui è la nostra speranza!».
Ancora una volta papa Leone si sofferma sulle storie di ferite rimarginate e di giovani “risvegliati”: nelle sue parole molti possono riconoscere la trama nascosta delle proprie fatiche. E la consegna del Papa – «Non temere, soltanto abbi fede» – suona come una bussola per non smarrire la speranza.

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