Avvenire di Calabria

Così il vescovo di Locri-Gerace analizza gli effetti delle serie tv sui giovani spiegando che «fanno audience ma creano degli idoli da smitizzare»

Politica e ’ndrine, Mons. Oliva: «Valori troppo spesso barattati»

Davide Imeneo e Federico Minniti

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La ‘ndrangheta è l’antievangelo. Lo ribadisce quotidianamente la Chiesa calabrese; ne abbiamo parlato con monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri–Gerace.

Qual è «l’oggi» della Locride?
C’è una diversità di situazioni e di comportamenti. C’è chi reagisce con determinazione alla cultura mafiosa e prende parte attiva ad iniziative sociali e civili. Ho incontrato giovani, in paesi come a Platì, mettere su attività lavorative, come piccole serre con coltivazioni di ortaggi, laboratori artigianali di pasta fresca, forni per la confezione del pane ed altre, che consentono di continuare a vivere con dignità nella propria terra. Il lavoro dà dignità, rende più pronti a prendere parte alla vita sociale ed aiuta a superare la tentazione di cercare attività illegali che offrono guadagni più allettanti. Penso alla coltivazione illegale di cannabis, che illude e rovina tanti. Vi sono anche giovani, che, non vedendo prospettive future di lavoro e di sviluppo, sembrano arresi e ripiegati su se stessi e, rassegnati, attendono dall’alto la soluzione dei propri problemi. Ciò crea solo frustrazione e delusione.

Il lavoro in Calabria è troppo spesso nelle mani di affaristi senza scrupolo...
La fuga dei giovani dalla nostra terra è un fenomeno che va avanti da tempo: esso si ricava dai dati statistici, che a livello demografico registrano una progressiva diminuzione della popolazione in tutta la Calabria. Il vero problema non è solo mantenere a forza i giovani in aree, dove non hanno la possibilità di realizzarsi, quanto offrire loro dignità e futuro. Restare in Calabria e andare avanti con attività malpagate, o sfruttati dal proprio datore di lavoro, non basta. Il lavoro è un bene sociale e non può essere lasciato in mano a speculatori o caporali, che approfittano del bisogno di chi lo cerca e ne ha diritto. Tutelare il lavoro è tutelare la dignità della persona. Chi approfitta del bisogno altrui o sfrutta l’operaio è un pessimo imprenditore. La Chiesa stima gli imprenditori onesti, che offrono possibilità di lavoro e riconoscono all’operaio i suoi diritti, ma non sta dalla parte degli approfittatori ed affaristi senza scrupoli.

Sembra che la politica non abbia perso il vizio di mischiarsi con le ‘ndrine.
È un tempo in cui la democrazia sta attraversando una grave crisi, provocata da una politica malata, che guarda all’interesse clientelare, al potere e al conseguimento di affari illeciti. Purtroppo, molto spesso, la ricerca del consenso popolare non si pone limiti e, pur di accaparrarsi voti, ricorre alla criminalità organizzata, alla mafia e alla massoneria deviata. La mala politica è un virus, che attraversa ed inficia tutto il sistema democratico, spiana la via alla corruzione, tanto diffusa quanto distruttiva, che alimenta ingiustizie e disuguaglianze. Si delinea così un contesto, in cui il cittadino onesto si allontana dalla vita politica e desiste dall’impegno per il bene comune. La crisi del sistema democratico è aggravata dalla mancanza di idealità e valori capaci di creare consenso, ma anche da una politica lasciata in mano a politicanti di mestiere, che non hanno legami con la realtà sociale né amore per il bene comune.

La Chiesa come può intervenire rispetto alla formazione delle coscienze?
La Chiesa per il suo compito di formazione non può disinteressarsi della politica, crede nella politica intesa come “la più alta forma di carità”, evocata più volte da san Paolo VI, ritenendola troppo importante per il bene della comunità ed il futuro del paese. Pur non impegnandosi direttamente in politica ed guardando con maggiore interesse alle realtà celesti, sa di non potersi disinteressare del bene della città terrena. Consapevole dell’autonomia delle realtà temporali, richiama al valore alto della politica nel rispetto dell’etica pubblica. Sa che dietro i comportamenti corrotti si nasconde una preoccupante caduta etica.

Finalmente aumentano le denunce da parte degli imprenditori contro la ‘ndrangheta.
È un buon segno. Ma il cammino è lungo. Non tutti gli imprenditori hanno il coraggio di farlo: reagire di fronte alle estorsioni e all’arroganza mafiosa richiede tanta energia interiore. È un segno di speranza la crescita della coscienza civile e la reattività di molti imprenditori di fronte ai comportamenti prevaricatori della criminalità organizzata. È un segno di speranza tanta gente, che, stanca di subire, ripone fiducia nella magistratura e nelle forze dell’ordine e tira fuori il coraggio della denuncia. Sono un segno di speranza i tanti cittadini onesti che plaudono ad ogni importante operazione di contrasto alla corruzione ed alla criminalità mafiosa portata avanti dalla magistratura. Quanto al contrasto alle mafie sul piano culturale occorre che le diverse istituzioni ed agenzie educative facciano rete e lavorino sulla base di un condiviso progetto di contrasto. Non è facile, ma non impossibile, fronteggiare la mentalità mafiosa, che costituisce il vero humus della criminalità organizzata.

Fiction su mafiosi. Secondo lei queste espressioni comunicative che effetto hanno sui giovani?
Il tema suscita sempre audience e questo fa sì che si moltiplicano le serie televisive. Esse possono essere veicoli di conoscenza e validi strumenti di lotta. La conoscenza del fenomeno mafioso, nella sua gravità, non può essere data per scontata. I mezzi di comunicazione possono offrire un contributo fondamentale nel raccontarne la gravità e pericolosità. La loro forza comunicativa è capace di smascherarne la negatività e le interne contraddizioni, raccontandone fatti e misfatti ed aiutando a discernere il male sociale cagionato dalle mafie.

La ‘ndrangheta è antievangelica. Eppure, una recente inchiesta ribadisce come le ‘ndrine strumentalizzino riti cristiani ai fini della loro affiliazione. Quali strumenti ecclesiali utilizzare per smitizzare questi aspetti perversi delle mafie?
Appare dimostrato che i mafiosi scimmiottano la simbologia religiosa, ne alterano il messaggio, dando ai loro riti significati che niente hanno a che vedere con la religione. Quando i mafiosi, senza alcuna intenzione di cambiamento di vita, anzi perseverando nelle loro scelte criminali, praticano questi riti, non compiono alcun atto religioso. Il loro è un formale rito esteriore, che nulla ha di religioso. Ma questo vale anche per il fedele che compie gesti e devozioni poco coerenti con le sue scelte di vita. Urge un’azione purificatrice che renda il rito religioso autentico, affatto associabile a quelli dell’organizzazione mafiosa. I riti hanno autentico valore religioso, se sono espressione di una coerente vita di fede.

Vuole raccontarci qualche storia di conversione che ha incontrato durante il suo cammino episcopale nella Locride.
La conversione è un fatto interiore ed è difficile dire quando essa è vera. Credo nell’azione dello Spirito e pertanto nelle possibilità di conversione di un mafioso. Ho conosciuto uomini appartenenti ad associazioni criminali, spacciatori di stupefacenti, estortori, che sono ritornati sui loro passi ed hanno intrapreso una via nuova. Un cambiamento suffragato dal comportamento successivo. Ho raccolto confessioni di persone che, abbandonata la vita sbagliata, si sono dedicati ad opere sociali di volontariato, ritornando a Dio in un perseverante cammino di fede. Penso che, se anche la conversione di un mafioso non è facile, essa può avvenire grazie ad un ravvedimento interiore, sollecitato e alimentato dalla grazia di Dio.

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