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Colella: «entusiasti di ospitare eventi che mettono in luce le potenzialità della nostra regione» Reggio
L'arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, monsignor Fortunato Morrone, ha presieduto questa mattina in Cattedrale la liturgia pontificale nella solennità della Madonna della Consolazione, durante la quale l'Amministrazione comunale ha offerto il Cero Votivo. Prendendo spunto dal brano evangelico della Liturgia (Mt 5, 1-12), il presule ha richiamato i valori del Vangelo e le Beatitudini, proponendoli come modello di rinascita per la città di Reggio Calabria e invitando cittadini e istituzioni a un impegno condiviso per il bene comune.
Cari fratelli e sorelle, vi saluto tutti nel Signore Gesù e oggi in modo particolare saluto l’Amministrazione comunale e con essa tutta la città di Reggio. Ringrazio il Sindaco Giuseppe Falcomatà per l’indirizzo di saluto e la consegna del cero votivo che perpetua una bella tradizione della nostra festa mariana.
Rivolgo un caro saluto agli arcivescovi emeriti Mons. Vittorio Luigi Mondello, Mons. Giuseppe Morosini, all'arcivescovo emerito di Cosenza - Bisignano, Mons. Salvatore Nunnari, al vescovo della nostra Chiesa sorella, Mons. Franco Oliva, all'arcivescovo Santo Marcianò, Ordinario militare per l'Italia.
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In quest’ultimo periodo appena trascorso abbiamo vissuto eventi nuovi, gioiosi e dolorosi insieme, che ci hanno sicuramente interpellato e cose antiche e belle che fanno parte del bagaglio ricco e articolato, sia della nostra esperienza ecclesiale diocesana sia del tessuto umano sociale e professionale di cui è strutturata questa nostra città. Pertanto con l’apostolo Paolo benedico e ringrazio il Dio di ogni consolazione, “perché siate stati arricchiti in Cristo Gesù di ogni cosa, di ogni parola e scienza” (1Cor 1,4). Questo mi consola e mi conforta oltre ogni fatica e difficoltà che incontro nel comune cammino umano che condividiamo come cittadini di questa nostra città di Reggio e del territorio della nostra arcidiocesi posta sotto lo sguardo materno di Maria madre della consolazione.
Abbiamo ascoltato ancora una volta le pagine evangeliche delle Beatitudini, il programma di felicità che in Gesù Dio offre ai suoi discepoli e tramite la loro predicazione è destinato a raggiungere tutti. Le Beatitudini, compendio del Vangelo e dell’esistenza di Gesù, non sono il programma di un paradiso perduto, un mitico tempo dell’oro, ma una via da percorrere per imparare a vivere, a rispondere con coraggio e fiducia all’appello pressante della voce di Dio che abita gli abissi del nostro cuore, e ci chiede di dargli una mano per costruire qui e oggi una particola del Suo regno di bontà, sincerità, giustizia, amicizia, solidarietà, mitezza, tolleranza, accoglienza, fraternità. Queste parole credo che in ciascuno di noi risuonano amiche dei nostri più profondi desideri, connaturali alla nostra più autentica umanità.
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In genere le Beatitudini vengono percepite come degli ossimori, delle vere e proprie contraddizioni non solo lessicali ma esistenziali. Anche noi cristiani fatichiamo ad accogliere il programma di vita di Gesù, non lo riteniamo adeguato alle istanze che emergono dalle vicende di questo mondo. Sono proclami per quel Regno che verrà dopo questa storia, nei cieli, ma qui sulla terra sono solo provocazioni a volte anche indebite e per alcuni versi frustranti. Certo è un programma sociale e politico fallimentare in partenza, irreale, utopistico, antipopulista.
Il brano evangelico delle Beatitudini se ci spiazza, per noi cristiani è la possibilità in qualche modo scandalosa, com’è la croce del Signore, di farci leggere la realtà e poi viverla da tutt’altra angolazione.
Certo le Beatitudini sono proposte di un mondo altro, ma già innestato nella vicenda di Gesù in questa complessa e drammatica storia personale, famigliare, locale e globale mentre urge nel cuore delle moltitudini il legittimo desiderio di giustizia e pace. Le millenarie vicende umane testimoniano con molta chiarezza che noi umani, con le nostre sole forze, non siamo capaci di emanciparci dai tanti mali che abbruttiscono e avviliscono la nostra bellezza originaria tanto da far esclamare, in una intervista al noto filosofo Heidegger, «ormai solo un Dio ci potrà salvare» (Der Spiegel 1966). Questo grido dell’impotenza umana per noi cristiani trova la risposta in Gesù, da noi confessato Redentore e Signore. Ma non si tratta di una salvezza religiosa “a buon mercato” deresponsabilizzante, per dirla con Bonhoeffer, ucciso nei campi di sterminio nazisti, al contrario: la salvezza che noi riconosciamo in Cristo Gesù richiede un’accoglienza grata del dono della liberazione dal male che impegna la nostra libertà a rendere sempre più vivibile questo mondo amato da Dio e da Lui affidato alle nostre mani.
In questo orizzonte, sinteticamente descritto, le Beatitudini si collocano come il cuore pulsante del Regno di Dio, del mondo nuovo possibile rigenerato e avviato dalla croce del Signore Gesù che non è venuto per essere servito, per asservire e succhiare il sangue altrui, ma per servire e dare vita e dignità umana a tutti, a cominciare da coloro hanno scommesso e continuano a scommettere nella fede in Lui.
In questo capovolgimento rivoluzionario di prospettiva di vita in cui umiltà, rettitudine, onestà, pace, mansuetudine, prossimità, rimpiazzano illegalità, violenza, disonestà, ingiustizia, potere, ricchezza acquisita col sudore della fronte altrui. Tuttavia soltanto chi ha fiducia in Gesù, chi crede in Lui può accogliere una chiamata così radicale, totalmente nuova, una beatitudine che la nostra esperienza comune di solito smentisce.
Per questo Gesù rivolge il suo programma a coloro che hanno deciso di seguirlo, ai suoi discepoli che «sono beati anche se vivono in una condizione che, osservata con occhio umano, appare contraddistinta in massima parte dall’infelicità. Non si spera di essere felici; si è beati, cioè felici, perché si spera» (P. Stefani in il Regno 27.1.2017).
E chi spera in Lui non muore disperato. Coloro che hanno scommesso su Gesù hanno aperto nuovi sentieri di vita umana impensabili prima, e in forza della medesima fede hanno generato cultura nuova, coltivando e promuovendo «in ogni uomo tutto l’umano» (cfr. Paolo VI, Popolurom Progressio 14) e intercettando la vita concreta delle persone con i loro bisogni e desideri, con i loro sogni e fragilità, offrendo respiro di vita soprattutto a chi era ai margini del banchetto umano.
In tal senso il Vangelo delle Beatitudini non sopporta la separazione tra la fede e le scelte concrete dell’esistenza, tra la fede e la nostra cultura, separazione che invece non poche volte constatiamo tra noi credenti nei vari campi del quotidiano sociale, educativo, economico, politico, professionale, religioso. La nostra diocesi, grazie a Dio, tuttavia ha offerto e continua ad offrire concrete testimonianze di uomini e donne che hanno voluto e saputo coniugare fede e vita, cultura e fede, Vangelo e impegno socio-politico, mostrando al vivo che la “speranza in Cristo non delude” (cfr. Rm 5,5).
Per i cristiani la speranza, dono teologale, si fonda sulla fiducia che Lui ripone in noi, sostanzia la nostra fede che di conseguenza opera nel tessuto umano con la testimonianza della carità (cfr. Gal 5,6), quasi onda creativa della giustizia dello Spirito del Signore che si espande su tutti come misericordia infinita, di generazione in generazione (Lc 1,50), così come Maria canta nel suo Magnificat.
Carissimi, a questo proposito, la bolla di indizione del Giubileo ordinario “Spes non confundit” di papa Francesco ci incoraggia in tal senso. Nell’anno giubilare siamo chiamati ad essere “Pellegrini di speranza” verso il compimento della giustizia originaria del Regno di Dio ben espressa nella beatitudine: “beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il regno di Dio” (Mt 5,10).
L’anno giubilare che ci attende a breve nella tradizione biblica testimoniata dai profeti dell’Antico Testamento, è un attuarsi in questa storia della giustizia basica che riconosce a ciascuno il suo (cfr. Lv 25,13), la “sua” terra, in forza della fede che confessa che “la terra e quanto essa contiene, l’universo e i suoi abitanti” è in realtà “di” Dio, è suo dono, pertanto è di tutti i suoi figli, di tutte le sue figlie. L’Anno Giubilare, che ci invita a comprendere sempre più e mettere in atto la giustizia, impegna le nostre comunità, anche alla luce dell’intensa esperienza della 50a Settimana Sociale dei Cattolici, celebrata a Trieste (luglio 24), a riprendere lo studio della Dottrina Sociale della Chiesa, fondamento credente di una creativa cittadinanza attiva nonché riferimento critico del delicato e profetico ministero politico dei cristiani cattolici, chiamati a questa grande carità nella città degli uomini, nella nostra città di Reggio.
Aiutati dalla riflessione di Papa Francesco, possiamo allora mettere a tema l’annuncio evangelico della speranza con segni concreti che manifestino il contenuto della nostra fede, sostanziata dalla carità, in tutto il nostro territorio in questo tempo di velocissime trasformazioni, «affinché a nessuno sia negato il diritto di costruire un futuro migliore” (Bolla. 13).
Papa Francesco per quest’anno giubilare ha proposto undici concreti temi da attenzionare, quasi una traduzione concreta delle Beatitudini: la pace; la trasmissione della vita; i detenuti, il creato; il condono dei debiti; l’unità dei cristiani; l’accoglienza dei giovani; la cura degli anziani; il sostegno agli ammalati; l’accoglienza dei profughi, migranti e rifugiati; la mobilitazione contro la pena di morte.
Agli amministratori qui convenuti chiedo se intorno a questi temi che certamente toccano direttamente e indirettamente la vita della nostra città, possiamo immaginare un dialogo concreto e uno spazio condiviso di confronto e lavoro, per impegnarci insieme su uno o più punti per il bene di tutti coloro che abitano i nostri territori, fino ad arrivare a segni tangibili dell’evento giubilare anche nella nostra città.
Tra i temi che credo in particolare stiano a cuore a tutti, e che ci sfidano sul dare volto alla speranza è la cura, la progettualità e le risorse da dedicare ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze, per dare il meglio di noi a loro, già in questo presente e realizzare con loro una Reggio fresca e vitale, accogliente e inclusiva. Desideriamo infatti che i nostri giovani siano realmente protagonisti creativi e attivi, nell’intelligente e operosa costruzione di un mondo più umano, più equo, più solidale, più giusto, più di quanto siamo riusciti a fare noi adulti. Cercare e pensare con i nostri giovani, accanto a loro, con attenta ed empatica accoglienza delle loro sensibilità e linguaggi, per noi cristiani significa metterci in ascolto insieme a loro della Parola che nutre la nostra esistenza (cfr. Gv 6,57) e dà consistenza al nostro presente guardando con serena fiducia ai giorni che verranno.
In questa visione di fede, che desidero condividere anche con chi ha un altro sguardo sulla nostra realtà, auguro a questa amata città di Reggio di risorgere, di rimettersi in piedi con sano orgoglio, per mettere in campo le energie e le competenze migliori di cui i suoi figli e le sue figlie sono ampiamente dotati. Non è per niente confortante sentir parlare di Reggio come la permanente incompiuta. La logica della competizione e contrapposizione ideologica, dovuta anche alle nostre ataviche frammentazioni campanilistiche e autoreferenziali, ci impedisce di mettere insieme i tanti doni, le belle intelligenze e competenze per fare squadra, perché il bene sia diffuso e a disposizione di tutti. Al contrario, si producono discordia e dispersione delle energie che rischiano di trasformare questa città in una fiumara a secco. Non può essere questo il suo destino.
Interpretando i vostri sentimenti immagino condividiate la necessità di una creativa passione per questa città, i cui segnali già si vedono. È vitale perciò una chiara onestà intellettuale che riconosca le capacità altrui e di conseguenza una reciproca fiducia, una sinergica collaborazione, cooperazione e partecipazione solidale di tutti, almeno sugli aspetti centrali e decisivi della vita cittadina per renderla più vivibile e attraente. Un grande grazie, pertanto, rivolgo a coloro che per compiti istituzionali e amministrativi, o anche nell’anonimato, hanno lavorato e continuano a lavorare in questa direzione. I semi da voi posti in essere non tarderanno a portare frutti. Siamo in fondo un unico tessuto umano, e ciascuno di noi è una particola dell’intero per cui ciascuno è chiamato a donare la sua parte per il bene di tutti.
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Pertanto, con papa Francesco, «crediamo […] che il Regno di Dio è già presente nel mondo e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: perché Gesù non è risuscitato invano. Non rimaniamo al margine di questo cammino della speranza viva!» (EG 277-278).
Mettiamo allora questi nostri desideri sotto lo sguardo di Maria, madre della consolazione dello Spirito, mentre invochiamo l’intercessione fraterna di san Paolo, di San Leo e di san Gaetano Catanoso su questa nostra antica e bella città di Reggio.
* Arcivescovo Metropolita di Reggio Calabria - Bova
Colella: «entusiasti di ospitare eventi che mettono in luce le potenzialità della nostra regione» Reggio
È ancora un quadro preoccupante quello che emerge dall’ultimo report della Fondazione Gimbe
Catechisti, educatori di Azione Cattolica, Capi Scout, ministri straordinari e operatori Caritas riceveranno la “consegna” dal presule.