Avvenire di Calabria

Alassane, per tutti Lass, è arrivato in Italia dalla Guinea dopo un’anno di prigionia in Libia

Il calvario dei migranti, Lass: «Vi racconto la prigione in Libia»

Il giovane arrivato in Italia 5 anni fa ha ben in mente le violenze subite. Ora vive il riscatto

di Federico Minniti

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Alassane, per tutti Lass, è arrivato in Italia dalla Guinea dopo un’anno di prigionia in Libia. Il giovane arrivato in Italia 5 anni fa ha ben in mente le violenze subite. Ora vive il riscatto.

Storie di accoglienza, ecco cos'è la prigione in Libia per i migranti

Arriva con una bicicletta a pedalata assistita. Tre cose ci colpiscono osservando di primo acchito il nostro intervistato: una medaglietta al collo a forma di continente africano, una cicatrice nascosta dai capelli ricci e il sorriso del ventunenne originario della Guinea francese. Il suo nome è Alassane, ma per tutti è Lass da quando nel 2017, appena sedicenne è sbarcato in Italia su una zattera della speranza. A bordo erano in oltre 650: molti i minori non accompagnati tra cui lui partito dal suo paese dopo la morte del padre.


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«Quando è morto mio papà ho capito che dovevo andare via: dovevo farlo per la mia famiglia, per cercare ogni modo possibile per aiutarli». E così è stato: quel tarlo, «in ogni modo», lo ha accompagnato durante il periodo più duro. Quando ce ne parla, si spegne il sorriso: è l’inferno della Libia. «Non lo augurerei a nessuno, neanche al mio peggior nemico» dice.

Appena arrivato è stato sbattuto in prigione: «Due mesi e tre giorni: come faccio a dimenticare?» ci interroga. A quel punto gli chiediamo perché. La sua risposta è lapidaria: «Giorni senza mangiare, notti senza dormire, ho preso botte dalla mattina alla sera. Se avessi saputo ciò che aspettava in Libia, non sarei mai partito». Uscito da una prigionia ingiusta, Lass non ha perso tempo: «Ho fatto il muratore, il saldatore, qualunque cosa mi consentisse di raccogliere il denaro necessario per imbarcarmi». Scappare dalla Libia era un imperativo: non importava se, salendo su quel barcone, si rischiasse di morire annegati nel Mediterraneo.

La storia di Lass dona la giusta dimensione a quanti si affacciano al fenomeno delle migrazioni carichi di pregiudizi: è l’esperienza di un poco più che adolescente in fuga dalla povertà e dalla morte. Il suo arrivo in Italia ha coinciso con la conoscenza dell’arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova che se ne è presa cura sin dal suo arrivo, grazie all’azione del Coordinamento diocesano sbarchi, e nella prima inclusione - attraverso l’accoglienza di Casa Anawim. «Vivere con soltanto altri quattro ragazzi - spiega Lass - mi ha aiutato tantissimo. Non era come in altre strutture dove si è tanti ed è più difficile “prendere confidenza” con ciò che ti sta attorno. Ho iniziato a studiare l’italiano, a capire la cultura italiana, a conoscere la città di Reggio». Dopo questo primo periodo, poi, un altro bivio: andare altrove o accettare di andare in affido in qualche famiglia del posto. Per Lass non ci sono dubbi: «Non volevo lasciare Reggio».


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La Provvidenza ha messo sul suo cammino una famiglia che lo ha accolto, sostenendolo nello studio, sforzandosi a capire il suo vissuto e le sue necessità. Nella sua casa reggina, ad esempio, Lass ha ritrovato un angolo per la preghiera del Corano, poiché è musulmano. «Mi sono diplomato all’Alberghiero - racconta ancora il ventunenne - e, adesso, lavoro nell’azienda di famiglia». Una frase bellissima che non fornisce solo la “cifra” dell’integrazione, ma ne esalta il valore della gratuità. Sei felice, gli chiediamo. «Ho imparato che la felicità è un percorso che si conquista passo dopo passo; adesso - conclude Lass - sto camminando su una strada che mi parla di futuro».

«Si tratta di storie davvero emozionati che confermano la bontà dell’idea che anima la Chiesa reggina in tema di migranti: l’accoglienza integrata e diffusa» a spiegarcelo è Mariangela Ambrogio, direttrice della Caritas diocesana di Reggio Calabria. «Gli sbarchi non sono finiti, ce ne sono stati alcuni importanti di recente» evidenzia Ambrogio. Sono arrivati in tanti, aggiungiamo noi, nel silenzio generale. «Di fronte alla logica dei grandi numeri abbiamo preferito quella della pedagogia della carità», un’accoglienza che educa e anima le comunità.

«Tantissimi cittadini aggiunge la direttrice della Caritas reggina - hanno fatto esperienza in questi anni di cosa voglia dire realmente accogliere. È stata una lezione senza fronzoli su come talvolta i pregiudizi superano il concetto stesso di umanità». Eppure non mancano le vicende di ingiustizia vissuto ancor oggi sulla banchina del porto dove troppo spesso la dimensione umana è affidata in via esclusiva alla forza del volontariato: mentre visitiamo l’Help Center “La Casa di Lena”, i volontari ci raccontano le ultime vicissitudini. Oggi l’uomo che soffre arriva dall’Africa, ma anche dall’Ucraina piagata dalla guerra. Il comune denominatore è la ricerca di pace: «Come Chiesa abbiamo scelto di farci guidare dalle parole del Santo Padre che in modo concreto ci chiede di non voltarci dall’altra parte», conclude Mariangela Ambrogio.

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