Avvenire di Calabria

Processione di Gallicianò, il parroco ha rispettato le regole

Vietato il «ballo» della statua e la raccolta dei soldi durante la processione, la Chiesa calabrese lo prescrive dal 1916

Redazione Web

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In riferimento a quanto emerso su alcuni organi di stampa a proposito della Festa Patronale di San Giovanni Battista in Gallicianò si precisa che le decisioni del parroco, padre Giancarlo Graziola, di vietare il “ballo” del Santo e la raccolta delle offerte durante la processione sono in perfetta conformità con quanto previsto dagli Orientamenti pastorali per le Chiese di Calabria “Per una nuova evangelizzazione della Pietà Popolare” pubblicati dalla Conferenza episcopale calabra nel 2015, e dal Direttorio diocesano sulle feste patronali della Chiesa Reggina. Gli Orientamenti, al numero 24, dichiarano esplicitamente: «Né durante le processioni, né alla fine, è lecito sottoporre le statue (o i simulacri) allo spettacolo di danze o movimenti coreografici, anche se questi fossero di antica tradizione, né è lecito accompagnare le immagini con fuochi d’artificio, o con qualsiasi altra manifestazione chiassosa di folklore, che certamente non favoriscono il silenzio, il canto sacro ed il raccoglimento spirituale».

Già nella Lettera pastorale collettiva dell’episcopato calabrese per la Santa Quaresima del 1916, i presuli della Regione davano indicazioni chiare in riferimento alle processioni. Riportiamo quelle parole, constatandone la sconcertante attualità nonostante siano trascorsi 102 anni.

«Fratelli dilettissimi, mentre da una parte amiamo e veneriamo le vere processioni e cioè le processioni serie e veramente religiose, dall’altra non possiamo fare a meno di detestare e di deplorare, come detestiamo e deploriamo dal più profondo dell’animo nostro, una quantità di abusi inqualificabili che si verificano in non pochi luoghi della nostra Calabria e che rendono le processioni non solo profane, ma, lasciatelo dire francamente, scandalose e ridicole di fronte ai forestieri ed anche alle persone del luogo, dotate appena di un po’ di buon senso e di serietà.

Come infatti chiamare ancora religiose o almeno serie certe processioni che si protraggono per intiere mezze giornate, se non anche di più, e nelle quali, come se il santo fosse un burattino, lo si fa girare per tutti i vicoli e i viottoli del paese, facendolo sostare, qui davanti la casa del procuratore A o dell’offerente B.

Ma un tale procedere, oltreché profano e ridicolo, è contrario affatto allo spirito della Chiesa, la quale non intende che le statue nelle processioni si fermino a richiesta dei privati, ma seguano recto tramite il loro itinerario, breve quanto possibile e determinato.

Un altro uso che noi Vescovi non possiamo approvare, che disapproviamo anzi formalmente è quello di attaccare denaro alle vesti del Santo o ad un nastro fissato appositamente. Un buon secolare diceva un giorno: “oh quanta polvere su quei biglietti appiccicati agli abiti delle statue durante le processioni!”. E diceva bene. Tutto o quasi tutto il merito di tali offerte è perduto innanzi a Dio, poiché, nove volte su dieci, hanno per movente non la vera devozione, ma la vanità. E si chiedono grazie con tali disposizioni di animo? No, no, non le otterranno, perché la loro generosità è già stata premiata col plauso degli uomini, Receperunt mercedem suam (Hanno ricevuto la loro ricompensa)».

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