Avvenire di Calabria

La proposta avanzata dal direttivo dell'associazione Un Mondo Di Mondi a pochi giorni dalla scadenza del programma nazionale per la qualità dell’abitare

Qualità dell’abitare: «Applicare la mixitè sociale»

Redazione Web

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Il programma nazionale per la qualità dell’abitare, in scadenza tra pochi giorni, è una delle misure che non solo garantirebbe l’aumento dell’offerta di alloggi popolari da assegnare a coloro che ne hanno diritto ma offrirebbe, attraverso la strategia della mixitè sociale, la soluzione strutturale per i quartieri di alloggi popolari come la Ciambra (Gioia Tauro) Arghillà nord e Ciccarello Palazzine (Reggio Calabria).
Questi sono luoghi che emarginano le famiglie che vi abitano perché hanno un tessuto sociale, generato da scelte politiche scellerate, che concentra un’ alta percentuale di famiglie con reddito di povertà assoluta, situazioni di disoccupazione e lunghe storie di emarginazione determinando un capitale sociale negativo, relazioni sociali e opportunità limitate che impediscono l’inclusione. La causa principale della grave problematicità di questi quartieri è strutturale e consiste appunto nella loro composizione sociale.
La mancanza dei servizi pubblici costituisce un effetto indotto di questa causa principale, per cui anche l’eventuale aumento dei servizi pur producendo chiaramente effetti positivi non incide significativamente sulla condizione sociale principale . Per garantire alle famiglie che abitano in questi luoghi l’inclusione sociale è necessario modificare la causa principale e non solo garantire maggiori servizi pubblici.
La sociologia, già da molti anni, insegna “l’effetto concentrazione” dei quartieri ghetto definito dal sociologo americano J. Wilson a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.
«La concentrazione è la condizione di isolamento in cui si trova a vivere un soggetto che si trovi a dover vivere, per così dire, intrappolato entro reti sociali altamente segregate, costituite da individui che vivono un’analoga condizione di povertà economica e precarietà lavorativa. Questo ultimo fenomeno è stato studiato soprattutto negli Stati Uniti dove i livelli di segregazione sociale su base di quartieri sono enormemente aumentati. Nel corso degli anni Ottanta, nelle dieci maggiori città americane, la proporzione di afroamericani e portoricani poveri residenti nei quartieri ad alta concentrazione della povertà e cioè con una percentuale di poveri almeno pari al 40% dei residenti, è passata dal 22% al 38%. Quest’elevata concentrazione territoriale è molto importante perché imprime un’accelerazione ai processi di impoverimento. Quest’accelerazione è stata definita dal sociologo Wilson “effetto concentrazione”. Per Wilson un giovane che nasce in un quartiere in cui la maggioranza della popolazione in età da lavoro è disoccupata, e qui trascorre la sua infanzia e adolescenza, ha molte più probabilità di diventare un emarginato grave di un suo coetaneo nato in un altro quartiere con una composizione sociale più eterogenea. Infatti indipendentemente dalle sue inclinazioni personali, dal livello di coesione e dall’origine sociale della sua famiglia, egli deve colmare uno svantaggio di partenza. Il fatto di vivere in un quartiere in declino gli impedirà di assumere modelli di ruolo positivi e lo porterà a sviluppare relazioni soltanto con soggetti altrettanto svantaggiati che non sono in grado di aiutarlo ad uscire dalla disoccupazione e dal contesto segregante del quartiere. Si determinano così una serie di effetti cumulativi per cui la riduzione delle attività economiche riduce le relazioni sociali e a sua volta questa riduzione inaridisce i canali di accesso alle possibilità occupazionali che, sia pure in misura più ridotta, esistono (o che esistono in altri quartieri). Questo è nella sostanza l’effetto di concentrazione. Nel caso americano descritto da Wilson, gli effetti di concentrazione si esercitano soprattutto nei confronti degli afroamericani e degli appartenenti ad altre minoranze svantaggiate. Tuttavia l’intreccio perverso tra fattori strutturali, orientamenti culturali e comportamenti sociali da lui individuato può essere assunto come modello interpretativo anche in contesti in cui i livelli di segregazione su base etnica e razziale sono più modesti o pressoché inesistenti».( Estratto da una intervista ad Enrica Morlicchio).
Questo problema strutturale della concentrazione di famiglie con reddito basso e del suo effetto di emarginazione è stato affrontato negli Usa ed in Europa, attraverso la strategia della mixitè sociale, che consiste nel superare le situazioni di concentrazione a favore di un tessuto sociale costituito da un mix di redditi, di situazioni lavorative e di storie sociali, anche attraverso la dislocazione delle famiglie a basso reddito. La mixitè sociale è un tessuto che favorisce l’inclusione sociale e le dimostrazioni le abbiamo anche sul nostro territorio. Il quartiere di Arghillà sud composto da edifici di edilizia sociale e da edifici privati è un territorio nettamente più inclusivo rispetto ad Arghillà nord che è purtroppo un esempio di concentrazione di famiglie a basso reddito. Lo è per la sua mixitè sociale. Le famiglie rom dislocate negli ultimi 20 anni in diversi quartieri della città di Reggio Calabria, che costituiscono circa il 40% dell’intera comunità rom reggina, vivono una situazione sociale migliore del 60% delle famiglie che purtroppo vive segregata tra Arghillà nord e Ciccarello palazzine. Basta dire che il 99% dei giovani rom che hanno conseguito un diploma di scuola media superiore appartiene al 40% di famiglie dislocate. Ma anche gli altri indicatori sociali sono a favore della famiglie dislocate come viene riportato da una ricerca pubblicata qualche anno fa (AAVV, I rom e l’abitare interculturale, Franco Angeli 2009).
Oggi si potrebbe continuare a sviluppare la mixitè sociale.

Il programma nazionale per la qualità dell’abitare prevede tra le misure per la rigenerazione dei tessuti sociali e del capitale sociale la mixité sociale, intesa quale categoria di azione pubblica delle politiche urbane che funge da antidoto ai processi di segregazione e valorizza la prossimità sociale tra gruppi eterogenei.
Pertanto, il Comune di Reggio Calabria potrebbe presentare, anche in accordo con l’Aterp Calabria, una proposta con il programma nazionale finalizzata ad aumentare l’offerta di alloggi popolari sul territorio da assegnare agli aventi diritto ma anche per avviare la mixitè sociale per la dislocazione di una parte delle famiglie di Arghillà nord e di Ciccarello palazzine. Gli alloggi liberati ad Arghillà nord e Ciccarello, secondo i casi, potrebbero essere demoliti o riutilizzati per finalità non abitative.
Mentre la città Metropolitana in accordo con il Comune di Gioia Tauro e con l’Aterp Calabria potrebbe presentare una proposta per acquistare degli alloggi dislocati nel territorio del comune di Gioia Tauro per assegnarli alle famiglie che ne hanno diritto, ma anche per dislocare equamente le famiglie della Ciambra nei diversi quartieri del territorio comunale. Una parte degli alloggi acquisiti con i fondi del programma potrebbero essere utilizzati anche per dislocare le famiglie della baraccopoli di via Asmara. La progressiva dislocazione delle famiglie della Ciambra potrebbe essere accompagnata dalla demolizione degli immobili del ghetto, visto che le pessime condizioni strutturali di questi edifici non consentirebbero l’utilizzo per altri finalità .
Il superamento dei ghetti attraverso è assolutamente realizzabile e da anni ci sono i finanziamenti per farlo come questo programma nazionale.
Ma il Comune di Reggio Calabria e la Città Metropolitana presenteranno queste proposte prima della scadenza del 16 marzo ?

Direttivo associazione Un Mondo Di Mondi


Articoli Correlati