Avvenire di Calabria

Reggio Calabria: Karima, nata grazie alle porte aperte

La storia della piccola, nel pancione di sua madre, rifiutata da tutti. Tranne che dalla Caritas

Toni Mira

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Alle 2.22 della notte tra il 28 e il 29 agosto è nata Karima, finita per strada nel pancione di mamma Malika, marocchina di meno di trenta anni. Accolta ancora una volta grazie al volontariato cattolico. Così una nuova luce si è accesa nel limbo. Per loro non c’era posto a Reggio Calabria. Come a Treviso, dove Malika (i nomi sono di fantasia) aveva perso il lavoro di badante, licenziata perché incinta. Non aveva voluto dire di no alla nuova vita che cresceva nel suo grembo. Così aveva fatto più di 1.200 chilometri fino a Reggio Calabria, dove era già stata. Ma anche qui tante porte chiuse.

Solo la strada per lei e la piccola che stava per nascere. Alla fine una porta si è aperta, quella dell’help center 'Casa di Lena' opera segno della Caritas diocesana per senza fissa dimora. Dopo essere stata rifocillata e ascoltata, è stata accolta a 'Casa Anawim' (che in aramaico significa 'casa dei poveri di Dio'), bene confiscato alla ’ndrangheta gestito dall’Associazione Abakhi. Era una bisca clandestina, a pian terreno un bar con le slot legali, al primo piano una cinquantina di “macchinette” illegali. Oggi ospita rifugiati, in particolare quelli giunti coi corridoi umanitari.

Per Malika i volontari della diocesi sono stati due volte l’unica risposta, l’unica zattera di salvataggio. Era arrivata in Italia nel 2016 col marito. Una storia familiare difficile. Lui la picchiava e poi con il primo figlio è andato in Norvegia. Lei lavorava a Rosarno e viveva da un’amica che però poi è partita e così nel 2018 si è trovata senza casa ed è arrivata a Reggio. Qui si è rivolta per la prima volta all’help center, è stata accolta a 'Casa Anawim' e ha rinnovato il permesso di soggiorno per lavoro autonomo. Poi ha provato a ricostruire la famiglia: è andata a trovare il marito in Norvegia, dove è rimasta incinta, ma lui continuava a picchiarla. E via, di nuovo, fino a Treviso, dove ha trovato lavoro come badante. Le avevano fornito anche una casa in comodato d’uso gratuito. Ma quando la famiglia italiana ha scoperto che era incinta l’ha subito licenziata. «Ha chiesto alla Asl di essere seguita per il parto ma le hanno detto che non era possibile a Treviso. Doveva andare nel luogo della sua residenza, cioè Rosarno. Ma il Sistema sanitario nazionale lo garantisce ovunque, anche a chi non ha residenza», denuncia Alessandro Cartisano dell’Associazione Abakhi. Un eccesso di rigidità, una forzatura provocata dal decreto sicurezza. Così, disperata, ha deciso di tornare dove era stata accolta una prima volta. «Si è ricordata di noi – dice ancora Alessandro –. È stata un giorno per strada dopo il viaggio in treno di 11 ore. Una situazione sicuramente non ideale per le sue condizioni».

I volontari l’hanno accolta, poi – dieci giorni fa – è nata Karima: «In un periodo dove abbiamo ascoltato odio, violenze e bambini e uomini tenuti settimane e settimane sulle navi, qualcosa da noi accade che vorremmo condividere – aggiunge Bruna Mangiola, anche lei volontaria e scout del Masci–. Una nuova luce è venuta al mondo per insegnarci ancora una volta che niente e nessuno può fermare la bellezza della vita umana». E così è stato per Karima e Malika che dopo il parto in ospedale da lunedì sono a Palmi, in un centro di accoglienza per mamme con bambini accreditato con la Regione. «Ora è contenta. Se non trovava noi partoriva per strada. E chissà che fine avrebbe fatto», riflette Alessandro. Invece ha trovato tanti amici. Ma i volontari non stanno zitti. «Non possiamo sempre togliere il peso alle istituzioni. Noi accogliamo, ma chiediamo che si assumano le loro responsabilità».

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