Avvenire di Calabria

Da un lato il pressing leghista che vorrebbe approvare la legge entro l'estate, dall'altro i pentastellati che vogliono passare dal Parlamento

Regionalismo, Conte prova a mediare. Ma il M5s chiede tempo…

Il ministro del Mezzogiorno, Lezzi: «Servono approfondimenti su punti delicati»

Federico Minniti

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Dopo la fumata nerissima della scorsa settimana, il premier Giuseppe Conte ha aggiornato il Governo a domani per un nuovo vertice sulla riforma autonomista, inserita nel Contratto di Governo, ma che sta creando più di un imbarazzo nel rapporto tra M5s e Lega. Le due anime dell'esecutivo - seppur concordi nel portare avanti questa proposta di legge - hanno due approcci diametralmente opposti.

 
Da un lato, il partito di Salvini non intende indietreggiare sugli schemi attuativi individuati con le tre regioni referendarie (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) con un provvedimento iper-blindato («non emendabile» secondo il governatore lombardo Fontana) e che passi soltanto dalle commissioni bicamerali e poi dal Parlamento. Dall'altro, il movimento di Di Maio eccepisce sia nel merito (con una controdeduzione tecnica che sminerebbe i capisaldi leghisti) che nel metodo (con l'obbligo di passare dal Parlamento per avere una votazione a maggioranza assoluta).
 
Nel mezzo c'è la difesa del proprio elettorato, con la Lega che attraverso un sondaggio ha acquisito l'ok del 60% dei propri sostenitori alla Riforma, mentre i Cinquestelle che temono un'ulteriore involuzione sia al Mezzogiorno dove sono il primo partito, sia nei dipendenti del pubblico impiego dove hanno sorpassato il Pd nei consensi.
 
Il tentativo di Conte è quello di avviare la discussione provando a mediare tra le due istanze: il «regionalismo differenziato si farà» va ripetendo il Primo ministro, ma - con molta probabilità - non come vuole la Lega e le tre regioni proponenti. Su alcune materie, infatti, c'è grandissima resistenza (su tutte Sanità e Istruzione), mentre su altre c'è un po' più di "manica larga", come trasporti e infrastrutture. Manca poi il via libera del Mef, con Tria ancora una volta nell'insolita veste di arbitro: nei rilievi dello scorso inverno aveva bollato il disegno di legge come insostenibile per le casse dello Stato.
 
Insomma, potrebbe nascere un riforma a metà - qualora la Lega non intenda allungare i tempi - oppure una discussione camerale che si potrebbe prolungare «qausi alla fine della legislatura poiché servono approfondimenti su punti delicati», come afferma Barbara Lezzi, ministro del Mezzogiorno. Oppure, ed è l'opionione più diffusa tra la base pentastellata, Salvini voglia farsi dire di no per far saltare il banco...

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