Avvenire di Calabria

Nel silenzio generale è fissato l’incontro tra Giuseppe Conte Luigi Di Maio e Matteo Salvini determinante per il futuro del Paese

Regionalismo, l’Italia si divide: vertice a Palazzo Chigi

Federico Minniti

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Mentre la triplice sindacale è scesa in piazza, sabato, a Reggio Calabria per chiedere un Piano Marshall per il Sud, nei “retrobottega” dei palazzi romani si consuma l’ennesimo strappo all’unità nazionale. Dal 22 ottobre 2018 a oggi, il dibattito pubblico sul «regionalismo differenziato» si è scientificamente affievolito. Non che Lega e le regioni referendarie (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) abbiano demorso, ma per il pressing del Colle nel rivedere un provvedimento ritenuto iniquo e incostituzionali da più parti, compresi i vescovi del Mezzogiorno.

Un confronto che, in realtà, al momento si basa su informazioni scarne, visto che il testo non è stato condiviso con le altre regioni italiane, né con i gruppi parlamentari. Il regionalismo, quindi, arriverà «a scatola chiusa» sul tavolo del Consiglio dei Ministri. Per questo, non mancano le resistenze, soprattutto, tra i pentastellati (supportati dal diktat del Quirinale). Per provare a scardinare il fortino grillino, nei giorni scorsi la Lega ha presentato un emendamento al Dl Crescita (cavallo di battaglia del M5s) che prevede «il trasferimento alle Regioni della titolarità e la gestione dei fondi per lo sviluppo e coesione», cioè il “serbatoio” nazionale di risorse destinate principalmente al Mezzogiorno.

«L’emendamento verrà totalmente corretto attraverso il suo stralcio poiché aveva anche il parere contrario della Ragioneria dello Stato. Rappresento un atto di totale scorrettezza. Chiunque lo abbia presentato, Lega o non Lega, dovrà chiedere scusa e dare delle spiegazioni», ha replicato il ministro per il Sud, Barbara Lezzi. Pochi dubbi in Planetario, la mossa leghista potrebbe essere un “ricatto” nei confronti degli alleati di governo per procedere alla discussione, prima della pausa estiva, del progetto autonomista. Le date già ci sono: il 25 giorno, il summit Conte–Di Maio–Salvini. Il giorno successivo il Consiglio dei Ministri.

Per entrare nel cuore della questione è necessario tenere presente due articoli della Costituzione italiana, il 116 e il 117. Le Regioni vorrebbero più potere sulle 23 materie in oggetto (dalla sanità all’istruzione, dal fisco alle infrastrutture, dall’ambiente agli investimenti), anche se la determinazione dei principi fondamentali resterebbe allo Stato. A livello tecnico, la nuova legge dovrebbe essere approvata dalla maggioranza assoluta del Parlamento, per questo il Governo – per evitare franchi tiratori – dovrebbe chiedere la fiducia sul provvedimento.

Nei fatti, la teoria del Mezzogiorno come «palla al piede» del Paese troverebbe una sua forma legislativa, andando a spaccare ancor più un’Italia a doppia velocità come certificano gli ultimi dati dell’Istat pubblicati pochi giorni fa. Tra 2008 e 2018 è cresciuto il gap tra il Sud con Centro– Nord: nel decennio si sono ulteriormente ampliati i divari territoriali. Nel 2018 il recupero dell’occupazione al Centro– nord, iniziato nel 2013, ha portato al superamento del numero di occupati rispetto al 2008 (384 mila, +2,3%) mentre nel Mezzogiorno il saldo è ancora ampiamente negativo (–260 mila; –4%).

E con il regionalismo i rischi aumenterebbero: i diritti costituzionali, che rappresentano il collante dello Stato, rischiano di essere frammentati. A questo va aggiunto un altro elemento: spesso tantissimi fondi destinati al Mezzogiorno non sono stati spesi dai governi per incapacità tecniche, anche a preservare le istituzioni dal virus mafioso (si vedano le Grandi opere affidati a gruppi industriali del nord scesi a patti con la criminalità organizzata).

In questo contesto, Reggio e la Calabria rappresentano un’ulteriore peculiarità: una città commissariata tout court alla quale è chiesto di «farcela da soli». Ma come uscire dai maxi–debiti (Comune e Asp) senza il principio di sussidiarietà? La spinta autonomista ha abbandonato la fase degli slogan per un lavoro certosino in quella «Roma ladrona» che per decenni aveva rappresentato uno dei nemici giurati della Lega Nord. Come il Sud che oggi vota Salvini e che si potrebbe ritrovare ancor più isolato e mortificato.

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