A prescindere da cosa ha causato la bocciatura della sua nomina a ministro della Giustizia, dissi a Nicola Gratteri che speravo che non lo divenisse. Non per il timore, di tanti, che sarebbe stato un rompiscatole: nessuno, né prima né dopo, può dubitare che a muoverlo è un senso della Giustizia che va oltre la legalità.
Prendo spunto da qui per una chiarificazione necessaria per riflettere su come preservare la legalità nella neonata città metropolitana: dobbiamo intenderci su cosa diciamo parlando di legalità, parola sta diventando un paravento che nasconde, nella correttezza formale, illegalità sempre più palesi. È ormai acclarato che la nostra città è da anni in mano a poteri occulti che l’hanno sfregiata; e hanno creato assuefazione e cointeressenze.
Piuttosto che parlare di preservazione della legalità, penso si dovrebbe parlare di promozione della Giustizia, unico modo per rendere la legalità sostanziale. E la nostra Costituzione dice chiaramente che la Giustizia è reale solo se promuove sobrietà solidale e non crei esclusi.
Questo è compito di tutti i cittadini, ma soprattutto di chi è eletto per servire il bene comune.
Invece, diventa spettacolo quotidiano la riduzione della politica a scontro per il potere; tra e in tutti i partiti. E, sul piano locale, quando la regola non è la corruzione o la contiguità con le mafie, diventa sempre più prassi comune che chi amministra una città pensi di poterlo fare rispondendo solo a se stesso e ai suoi elettori. Questo non dovrebbe accadere in nessuna città; ma nella nostra è chiaro – dopo lo scioglimento per contiguità e le vicende giudiziarie degli ultimi mesi – che pone gli amministratori in una situazione di debolezza nei confronti delle pressioni di portatori d’interessi; che da noi sono legati alla criminalità.
In questo quadro, solo chi riscuote fiducia ha la forza per contrastare corruzione e criminalità. Occorre che gli amministratori scelgano come interlocutori tutti i cittadini, mediante un funzionamento continuo degli strumenti di partecipazione: solo così le decisioni saranno frutto di scelte costruite insieme; facendole in anticipo, e non comunicandole a posteriori; soprattutto perché è ormai chiaro che la ‘ndrangheta – grembiulini o meno – s’è vestita di abiti perbene, e gli amministratori devono rispondere preventivamente delle loro scelte.
Ciò significa in concreto che devono presentare i loro progetti ai cittadini e che li ascoltino per sentire le loro proposte e ne discutano con loro. Solo così saranno liberi da indebite pressioni; e alle successive elezioni i cittadini sapranno se sono ascoltati e, se no, potranno bocciarli.
Insomma, i nostri amministratori dovranno rimanere poco nei loro uffici – e non farsi attrarre da carriere politiche – e stare di più per strada, per farsi incontrare dai cittadini in semplicità, farsi muovere dalle loro lacrime e dai loro bisogni, ed essere segni di speranza per i tanti che stanno perdendo la fiducia.
Recentemente il procuratore Gratteri ha detto: «Il dominio della ‘ndrangheta in Calabria è dato principalmente dall’elevato livello d’organizzazione e oggi sposta il 20% dei voti che sono decisivi. La ‘ndrangheta è il primo partito in Calabria perché dà risposte che la politica non dà». La partita contro la criminalità organizzata la stiamo pareggiando, perché non c’è un sistema giudiziario proporzionato alla realtà. E oggi in Parlamento non ci sono maggioranze tali per introdurre quelle modifiche necessarie per migliorare, in modo significativo, la lotta alla criminalità organizzata.
Forse, allora, per una città metropolitana fondata sulla legalità, insieme al funzionamento degli istituti di partecipazione, si potrebbe partire dalle proposte che la commissione Gratteri ha fatto al governo e al parlamento e che non ha trovato ascolto: provando a capire in che modo possono essere attuate sul piano locale.
Ma non basterà ciò che potranno – e dovranno – fare gli amministratori. Se noi cittadini non ci decideremo a prenderci la responsabilità della vita di tutti, finiremo per continuare a cercare salvatori impossibili e a lamentarci rintanati nell’individualismo.