Avvenire di Calabria

Una narrazione che parte da un furto: hanno rubato il Bambinello dal presepe. Parte la corsa a ritrovare il Gesù scomparso...un viaggio interiore dai mille risvolti

Ribellarsi alla notte, il libro di Mimmo Muolo è una consegna alla società (e alla Chiesa) di oggi

Tra i temi affrontati dal vaticanista di Avvenire anche "il buio" che affrontano i sacerdoti, non mancano pure i riferimenti alle criticità delle relazioni familiari

di Davide Imeneo

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Ribellarsi alla notte, una storia di Natale”. È questo il titolo dell’ultimo libro di Mimmo Muolo, noto saggista e vaticanista del quotidiano Avvenire. Le pagine scritte dal giornalista originario di Monopoli partono da una storia vera: qualche anno fa, a Firenze, qualcuno ha rubato la statuina di Gesù dal presepe. Così, tutto il filo narrativo della pubblicazione è centrato sul furto di Gesù e sulla strategia messa in atto per ritrovarlo. Dopo aver letto il volume edito dalle Paoline, abbiamo incontrato Mimmo Muolo per approfondire le ragioni che lo hanno condotto a scrivere un racconto che consegna messaggi importanti anche alla Chiesa di oggi. E non potevamo partire proprio dall’attualità delle parole del Santo Padre pronunciate ieri in Corsica.

Papa Francesco, ieri ad Ajaccio ha parlato della necessità di una sana laicità che favorisca il bene comune. Il suo libro riporta al centro alcuni valori come quello della sinergia tra istituzioni. In che modo questa sinergia è possibile ancora oggi nel 2024?

È possibile solo se ci mettiamo d'accordo sull'antropologia di riferimento. Io penso che oggi il discorso sull'antropologia, che è stato un po' accantonato negli ultimi tempi, è invece il discorso fondamentale. Del resto, Papa Francesco ci dice tutti i giorni che dobbiamo essere “Fratelli tutti”.



E se non abbiamo un'antropologia cristiana di riferimento, che ci fa appunto tutti fratelli, come diceva San Francesco, e quindi figli del Padre, dell'unico Padre, dell'unico Dio, se non abbiamo come punto di riferimento questa antropologia, questa visione dell'uomo, sarà molto difficile dialogare, ma non solo fra istituzioni, anche fra persone, anche nelle famiglie, anche nella Chiesa. Quindi Papa Francesco ieri ci ha ricordato che essere sanamente laici non significa contrapporsi per forza all'istanza religiosa, ma anzi significa dialogare con l'istanza religiosa, avendo come fine il bene comune. Tu lo richiamavi, e questo non significa assolutamente che tutti quelli che dialogano con le persone religiose o con chi crede debbano poi a loro volta credere. L'atto di fede è un atto intimo, personale, ma escludere dal consenso democratico, dalla vita civile, la religione, è un atto assolutamente antidemocratico.

Il suo nuovo libro si intitola “Ribellarsi alla notte”, ci vuol dire perché ha scelto questo titolo?

Perché, secondo me, la notte rappresenta l'atmosfera che ci avvolge, è un'atmosfera fintamente buonista, in cui vengono fatti passare alcuni valori, chiamiamoli così, alcuni disvalori meglio, come se fossero dei valori. La vita umana da un lato viene esaltata, aiutata…ci dispiaciamo per esempio (e guai se non fosse così), quando vediamo annegare nel mar Mediterraneo i nostri fratelli immigrati, dall'altra però siamo totalmente indifferenti rispetto alla strage che avviene tutti i giorni, per esempio per quanto riguarda l'aborto, e anzi alcuni rivendicano addirittura un diritto di aborto. Allora…o la vita umana vale sempre o non vale mai e fare queste distinzioni diventa estremamente pericoloso perché, quando si comincia a svalutare la vita umana poi si arriva a svalutarla sempre.

Del resto, abbiamo sotto gli occhi quello che succede con i femminicidi, con le guerre, con le violenze, con cortei che dovrebbero essere per la pace che diventano cortei di violenza eccetera. Quindi la notte è questo clima schizofrenico che ci circonda. Ribellarsi alla notte significa, secondo me, ribellarsi a questo modo di pensare, e i personaggi di questo romanzo sono tutti alle prese con questa notte che è spesso dentro di loro, dentro la loro coscienza e solo quando prendono coscienza appunto, del fatto di essere immersi nella notte possono cominciare a ribellarsi, cioè ad accendere quella fiammella che rompe le tenebre.

Tra i protagonisti c’è un sacerdote, don Eugenio. Anche lui a un certo punto smarrisce la luce della fede o comunque smarrisce i riferimenti più importanti. Che significato ha questo personaggio e in che modo lo collega anche all'esperienza della vita della Chiesa di oggi?

Per don Eugenio mi sono ispirato a quello che dice il Papa quando parla di sacerdoti funzionari e non più servitori del Vangelo. Non tutti sono così, naturalmente ci sono tantissime persone straordinarie, sono la stragrande maggioranza i sacerdoti che si impegnano ogni giorno sulle frontiere della carità per l'annuncio del lavoro, per aiutare i fratelli, per promuovere il bene comune come dicevamo prima, ma ce ne sono anche altri che hanno una loro crisi personale di identità, può succedere a tutti. Abbiamo l'esempio di grandi santi che hanno sperimentato anche periodi di buio interiore.

Ecco, io penso che questo personaggio sia alla fine un uomo in ricerca, un uomo che ha smarrito la strada, ha trasformato la sua vocazione in un mestiere, ma sente profondamente questo disagio e già avvertire il disagio è un fatto positivo, perché può innescare una rinascita. Il fatto che abbia la tonaca addosso, che porti il colletto, che sia un sacerdote, non ci deve indurre in errore. Ognuno di noi può sperimentare la situazione di don Eugenio, perché ognuno di noi ha una vocazione nella vita, e quando questa vocazione si ingiallisce un po', si sbiadisce un po', ecco che ci ritroviamo nella situazione di don Eugenio.

Io l'ho sentito molto vicino questo personaggio, perché anche a me qualche volta è capitato di smarrire, oppure di vedere appannare la mia vocazione, ma che non è quella sacerdotale, io sono un laico, sono un padre di famiglia, sono un marito, e quindi voglio dire a tutti: coraggio, ci si può rialzare anche da una situazione di questo tipo!

Nel libro emergono anche dinamiche familiari importanti. Secondo lei la famiglia che ruolo ha nella società di oggi, soprattutto in riferimento alla trasmissione della fede?

Bisognerebbe dire che è un ruolo fondamentale, imprescindibile. Ma chiediamoci: c'è ancora la famiglia? Quando io sento parlare di patriarcato mi viene da ridere. Oggi non abbiamo più la famiglia, quindi di quale patriarcato possiamo parlare, o comunque la famiglia è in grave crisi. Io penso che dobbiamo ritornare a ridire le ragioni dell'umano, la grammatica dell'umano, che coincide con le ragioni e la grammatica del Vangelo.

Se riusciremo a rigenerare questo annuncio avremo famiglie più forti e quindi anche la trasmissione della fede diventerà più importante. Spesso abbiamo, ed è un altro dei temi che affiorano dal romanzo, spesso abbiamo lasciato le nostre famiglie, il ceto medio della fede, all'esposizione di venti di dottrina assolutamente contrari, i cattivi programmi televisivi, la pornografia, le fiction che ci parlano di stili di vita assolutamente incompatibili con il Vangelo. E pian piano, come la goccia che scava la roccia, questi messaggi hanno scavato anche le nostre coscienze.

Dobbiamo riprendere la situazione in mano anche da questo punto di vista. Papa Francesco - che dice che nell'opera pastorale dobbiamo abolire il “si è sempre fatto così” - ci invita a cercare strade nuove. Ecco, narrare storie belle, narrare storie edificanti, narrare storie che sanno di Vangelo, che hanno il profumo del Vangelo…io penso che possa essere una di queste strade.

Nel libro a un certo punto, c’è una sottolineatura molto significativa, secondo me. «Gesù sparisce anche ad Emmaus». Che significato ha questa sparizione anche nella sua vita?

Il brano dei discepoli di Emmaus mi emoziona sempre. Ogni volta che lo rileggo o lo ascolto, se viene proclamato durante la liturgia, mi emoziona. È come se lo ascoltassi per la prima volta, perché ha una sua freschezza assolutamente inesauribile.

Il fatto che dei due discepoli di Emmaus conosciamo il nome di uno solo e l'altro rimane sconosciuto, non ha nome, significa che al posto di quel discepolo possiamo mettere ognuno di noi. Ecco, anche Mimmo Muolo, anche ciascuno dei lettori di questo romanzo, possono essere discepoli di Emmaus, possono incontrare il Signore per strada, possono ascoltare la sua parola che fa ardere il cuore, mentre magari sono in un momento assolutamente nero della propria vita. «Noi speravamo che fosse lui il salvatore di Israele». Ecco, la lamentazione, il guardarsi indietro. Gesù invece cambia la direzione del nostro sguardo, ci dice guardate avanti e vedrete che anche grazie a voi le cose cambieranno. Questo romanzo vuole essere, in molte sue espressioni, una risposta a questo invito di Gesù.

Guardiamo avanti, guardiamo avanti con speranza, siamo alla vigilia del Giubileo, il Giubileo della speranza. Io penso che dobbiamo fare un grande investimento in speranza, quella con la S maiuscola, che per noi cristiani ha il nome stesso di Gesù.

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