Avvenire di Calabria

Il delegato della Conferenza episcopale calabra riflette sulle difficoltà del settore dal Pollino all’Aspromonte

Savino: «Sanità calabrese può ripartire solo coi talenti locali»

Davide Imeneo

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Salute e diritti, Calabria fanalino di coda. Ne abbiamo parlato con monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio e delegato della Conferenza episcopale calabra alla Pastorale sanitaria.

Approvato il DL Calabria. Basterà? Come giudica il provvedimento alla luce dei valori cristiani?
La situazione della sanità calabrese è molto critica e, come pastore, sono molto preoccupato perché mi rendo conto che il diritto di cura è veramente a rischio. Per questa ragione il Governo ha ritenuto di intervenire con un Decreto ad hoc. Se grazie ai contenuti di questo provvedimento si riuscirà a rispondere ai veri bisogni della gente in tema di salute lo potremo valutare soltanto tra qualche tempo. Un giudizio alla luce dei valori cristiani? L’etica cristiana mette al centro il valore del sollievo della sofferenza soprattutto alle persone più deboli, attraverso una più giusta ed equa distribuzione delle risorse. Le stridenti disuguaglianze che constatiamo a livello sociale generano possibilità di accesso alle cure sempre più problematiche per le persone più indigenti. Per quello che mi è dato di capire questo Decreto ha lo scopo di intervenire sui disagi dei più fragili coinvolgendo i tanti, bravi, professionisti calabresi; speriamo di non assistere nuovamente ad interventi esterni che arrivino su questo territorio senza avere l’obiettivo di valorizzare le risorse intellettuali e professionali già presenti nelle strutture sanitarie e amministrative calabresi. Per amore della verità va detto che la nostra classe dirigente, spesso soffocata dalla mancanza di coraggio nei confronti di chi depaupera le risorse per la salute, deve sottoporsi ad una verifica rigorosa e, direi, attenta ed intransigente.

Welfare regionale bloccato. Quale appello lancia ai politici locali in tal senso?
La promozione umana, la solidarietà, l’attenzione verso chi ha bisogno e aggiungerei le stesse possibilità di accesso alle cure, sono doveri inderogabili sia per il cittadino che per il cristiano. La politica è servizio all’uomo e alla Comunità ed è chiamata a rimuovere ogni ostacolo economico e sociale che impedisce il pieno sviluppo della persona e la partecipazione di ciascuno alla vita del Paese. Lo dicono sia il Vangelo che la nostra Carta costituzionale.

«Regionalismo differenziato», ritiene equa la logica del diritto di curarsi soltanto secondo il gettito fiscale del territorio?
Sono legittime le aspettative di tante regioni ad avere strumenti idonei per sopperire alle esigenze delle proprie popolazioni ma questo non può tradursi nel venire meno di un servizio sanitario, che ha appena compiuto 40 anni, che assicura a tutti, senza alcuna differenza di residenza, un accesso primario alle cure. I livelli essenziali di assistenza (Lea) sono infatti una garanzia per il cittadino a prescindere da quale sia il servizio sanitario regionale cui egli si rivolge. Urge una migliore localizzazione e fruizione del sistema sanitario nazionale.

Nell’emergenza calabrese, si aggiunge il “fallimento” dell’Asp reggina.
Chi immagina di risolvere problemi così complessi come la gestione di ospedali in dissesto fornendo poteri eccezionali ad un pool di persone, seppur qualificate ma totalmente disconnesse con la realtà territoriale, commette un errore già in partenza. Se l’Asp di Reggio Calabria ha prodotto 400 milioni di disavanzo, non credo sia potuto accadere nel giro di pochi mesi ma, evidentemente, chi doveva controllare non lo ha fatto in tutti questi anni e bisognerebbe iniziare con l’individuazione di tutti coloro che ne sono stati responsabili. Occorre ripartire da un’attenta ricognizione territoriale per individuare il tessuto sano della società calabrese su cui innestare buone prassi di gestione e una rivalorizzazione culturale dei principi morali dell’assistenza e della cura.

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