Avvenire di Calabria

L’appello rivolto alla società civile: «Sostenere quanti hanno coraggio di denunciare. Basta voltarsi dall’altra parte»

Scioglimento comuni, Bombardieri: «La legge è da rivedere»

Davide Imeneo e Federico Minniti

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Ventisette anni dopo “Mani Pulite”, in Italia è ancora emergenza–corruzione. Ne abbiamo parlato con il Procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri.

Corruzione e politica, cosa è cambiato dopo “Mani Pulite”?

Sicuramente c’è tanto da fare: basta scorrere le cronache dei giornali per scorgere come gli episodi di corruttela nella Pubblica Amministrazione sono all’ordine del giorno. “Mani Pulite” ha segnato un inizio, facendo venir meno degli assestamenti di potere che si fondavano sulla corruzione. Oggi, sono cambiate le modalità, ma purtroppo – come dimostrano tante recenti indagini anche in Calabria – questo malcostume rimane. Si tratta di un reato «a circuito chiuso»: difficilmente rintracciabile mancando, evidentemente, la denuncia del corrotto. Spesso questi fenomeni vengono scoperti soltanto se entrano in altre attività di indagine che prevedono captazioni ambientali o telefoniche. L’ultima legge, varata dall’attuale Governo, parte evidentemente da questa constatazione: l’inasprimento delle pene e la previsione di norme procedurali diverse, come le intercettazioni, vanno proprio in questa direzione. Da qui ai prossimi anni vedremo se queste misure saranno finalmente risolutive.

Eppure la politica finisce puntualmente nell’occhio del ciclone, mentre i burocrati troppo spesso restano impuniti.

È un problema reale, anche se sarebbe ingeneroso parlare di “accanimento” nei confronti dei soggetti politici corrotti. C’è da dire che, recentemente, molti colleghi puntano il dito proprio sui Quadri della Pubblica Amministrazione che da decenni rimangono al timone di enti in cui è acclarato che si siano annidati i gangli della criminalità organizzata. Certo, accertare i reati di corruzione e abuso d’ufficio non è facile a livello giudiziario, però è necessario intervenire per dare un segnale forte alla collettività.

In particolare, cosa pensa dello scioglimento degli Enti Locali per infiltrazione o contiguità mafiosa?

Lo scioglimento dei comuni è un problema serio: il fatto che lo stesso Ente venga reiteratamente sciolto vuol dire che c’è un problema nella norma. Probabilmente andrebbe prevista una gestione commissariale che sia piena e non soltanto “ordinaria”. L’attuale funzionamento non ha dato i risultati sperati: bisognerà prevedere qualcosa di diverso e accertare quelle collusioni amministrative, tra dipendenti e funzionari, che sfuggono all’aspetto politico che viene appunto commissariato all’atto dello scioglimento stesso.

Prima riferiva di un cambio di tendenza nella magistratura sul tema della corruzione. Condivide il pensiero di Nicola Gratteri che dichiarò che la «Pubblica Amministrazione in Calabria è più pericolosa della ‘ndrangheta»?

Nicola (Gratteri, ndr) estremizza spesso per evidenziare i problemi e, spesso, ha pure ragione nel farlo. Forse «l’emergenza ‘ndangheta» ha fatto concentrare l’interesse su questo fenomeno criminale, anche se la corruzione sempre più spesso ne è direttamente collegata: si pensi alle tante indagini sulle società partecipate. Servirebbe una polizia giudiziaria più forte e più qualificata proprio su questo aspetto peculiare.

Il suo predecessore, Federico Cafiero De Raho, aveva puntato l’attenzione investigativa sugli «invisibili». Come si muoverà in questa direzione il suo ufficio?

È evidente che i centri di potere occulti prosperano grazie alle clientele, come il “posto di lavoro”. Al fronte di un atto corruttivo c’è un investimento nell’interesse delle famiglie di ‘ndrangheta: a questo va contrapposta la legalità, soprattutto all’interno della Pubblica Amministrazione. Far venire meno le fonti di approvvigionamento di questi potentati deve essere la nostra prima missione. Occorre disarticolare la «logica del favore»: purtroppo ci sono soggetti della politica, senza generalizzare, che tutt’ora si recano dalle cosche a chiedere voti.

Di quali anticorpi si deve dotare la Città di Reggio Calabria rispetto al virus mafioso?

C’è tanta gente, spesso raccolta in associazioni e movimenti, che discute e opera rispetto al «problema–’ndrangheta». Questo porta ad avere una coscienza civile sviluppata: sicuramente dagli anni ‘90 a oggi, il clima è cambiato. Certo resta una parte di società, quella imprenditoriale ed economica, che non è altrettanto collaborativa. Questo si riscontra nei numeri che abbiamo dalle denunce sui reati di racket e usura sul territorio, ma non solo. La gente onesta non deve fare atti eroici, ma deve avere il coraggio di restare accanto a chi denuncia le pressioni mafiose: non possiamo più giustificare quanti si «girano dall’altra parte». Isolare quanti hanno la forza di dire «no» ai soprusi della ‘ndrangheta, vuol dire rafforzare le cosche nella loro azione intimidatrice.

E dalla politica, in vista delle ormai prossime elezioni comunali e regionali, cosa si aspetta?

Il mio timore è che, anche in occasione di queste tornate elettorali, se non si fa una “bonifica” nelle candidature delle diverse forze politiche, purtroppo ci troveremo di nuovo dinnanzi a episodi di subalternità alla ‘ndrangheta. Auspico ci sia un rinnovamento della politica che parta proprio da questa attenzione: l’eletto dei clan sarà sempre riferimento di questi soggetti criminali. Bisogna fare una scelta di campo: dire «no» ai voti della ‘ndrangheta.

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