Avvenire di Calabria

Se il Comune «inciampa» ancora sulla Famiglia

La presenza in Città del 'Bus delle Libertà' ha causato un vespaio di polemiche. Ma la presa di posizione della Commissione comunale per le Pari Opportunità è corretta? Vi proponiamo una riflessione sulla (presunta) terzietà delle Istituzioni locali.

Federico Minniti

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«Una vergogna nazionale». Così l’Arcigay reggino ha definito la prima tappa del “Bus della Libertà”, a Reggio Calabria, iniziativa promossa da CitizenGo e Generazione Famiglia per sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica al tema della libertà educativa, in particolare, scrivono gli stessi organizzatori «per prevenire iniziative di “colonizzazione ideologica” improntate all’ideologia gender». Volendo (volutamente) evitare di schierarsi rispetto allo scontro ideologico, però, va sicuramente sottolineato un dato emerso dal bailamme mediatico suscitato in riva allo Stretto.

Può un soggetto “terzo” e istituzionale, come la Commissione “Pari Opportunità” del Comune di Reggio Calabria (poi tristemente replicato a livello metropolitano e regionale) diffondere un comunicato stampa in cui definisce «offensiva, vergognosa e discriminatoria» una manifestazione di “pensiero”? Occorre, probabilmente, riavvolgere il nastro e marcare con decisione il significato stesso di “Pari Opportunità”: «Le pari opportunità – scrive il legislatore – sono un principio giuridico inteso come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale o politico». Repetita iuvant: l’assenza di ostacoli alla partecipazione di qualsiasi individuo.

Appare, d’altronde, paradossale definire l’azione del “Bus delle Libertà” come il frutto di un’imposizione ideologica del pensiero «dominante» se si confronta il plotone mediato spiegato da tutti e tre gli enti locali (Comune, Città Metropolitana e Regione) rispetto all’iniziativa e il sostegno, nel recente passato, per le azioni di sensibilizzazione a favore della cultura omosessuale. Anzi, a scorgere bene probabilmente appare come una rivendicazione di un segmento di società fortemente minoritario e totalmente estromessosi dalla discussione proprio sulle “Pari Opportunità”.


Va precisato, e non è mai abbastanza, che ciascuno interpreta il proprio ruolo istituzionale secondo le proprie inclinazioni, ma non deve mai dimenticare che ogni soggetto pubblico è garante del pluralismo. Soprattutto laddove quella figura istituzionale non è “elettiva”, ma su nomina della maggioranza politica che governa l’Ente e che, secondo Costituzione, deve garantire diritti e opinioni anche di chi ha votato diversamente.

E aggiungiamo: può una presidente di una commissione pubblica, appartenente alla comunità Lgbt, utilizzare termini come «offensiva» o «vergognosa» per etichettare una manifestazione, seppur contraria alla propria ideologia o modo di essere? Non è lo stesso gergo e livore che si utilizzava circa un decennio fa per denigrare i Gay pride, le giornate dell’orgoglio omosessuale? Le Istituzioni pubbliche, come la Commissione “Pari Opportunità” risalgano – contro corrente – alla purezza del dibattito politico, senza voler scadere nella bagarre mediatica dei partiti che alimenta solo odio sociale e lacerazioni inutili.

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