Avvenire di Calabria

Grande successo per il seminario di studi promosso dalla Fondazione Betania Onlus

Servizi residenziali, un convegno sulla qualità della vita

Redazione Web

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Grande interesse ha suscitato il seminario che Fondazione Betania Onlus ha tenuto nell’auditorium di via Molise in S. Maria di Catanzaro il 30 novembre scorso, dedicato al tema “Qualità della vita e disabilità nei servizi residenziali e semiresidenziali”, seguito da oltre centoquaranta fra operatori interni e del territorio.

Il Presidente di Fondazione, don Biagio Amato, ha introdotto i lavori soffermandosi sul concetto di qualità della vita che, al di là delle definizioni tecniche, per l’individuo ospite dei servizi è fondamentalmente qualità della “vita di relazione”. La stragrande maggioranza di persone ospitate nelle strutture residenziali non ha scelto di farlo. Ne consegue che è rilevante affrontare l’argomento della qualità della “vita di relazione” nelle strutture perché essa costituisce il novanta e più percento della giornata (come del resto avviene nella vita di ognuno). Questa considerazione immediatamente evoca il grande tema della qualità della vita degli operatori che lavorano all’interno delle medesime residenze, coloro cioè che sono i principali interlocutori della relazione con gli ospiti. Rimandando, quindi, ad appuntamenti futuri l’approfondimento di come l’operatore viva la qualità della propria esistenza all’interno delle strutture residenziali e di come l’utente medesimo giudichi questa stessa qualità, il Presidente ha voluto cogliere lo spunto di questo evento per richiamare l’attenzione sulla esigenza di trascendere da una dimensione esclusivamente tecnicistica nella interpretazione del concetto di qualità, che trae origine dal punto di osservazione di chi è chiamato a legiferare o a gestire la struttura, per aprirsi a una dimensione valoriale che tenga conto del vissuto e del percepito del soggetto assistito.

Il Dr. Gennaro Izzo (Assistente Sociale, coordinatore Ufficio di Piano di Ambiti Territoriali in Campania Campania e docente alle Università Federico II e Suor Orsola Benincasa di Napoli) si è soffermato sul ruolo dell’Ente Locale, nell’era del Piano di Zona e alla luce dei nuovi livelli essenziali di assistenza. Questi, partendo dalla constatazione che secondo il principio di sussidiarietà, l’Ente Locale è il livello di garanzia istituzionale pubblica più vicino ai cittadini, ha avviato una disamina delle normative attuali e delle criticità e opportunità che da esse derivano, corredandola con una ricca casistica presa dalla propria realtà territoriale. Il relatore ha voluto veicolare un messaggio di ottimismo; infatti, ha sottolineato, come questo periodo storico sia caratterizzato da numerose opportunità per i fautori della Welfare di Comunità, anche se ancora poco organiche, ancora confuse nei diversi livelli di competenza. E ha proseguito elencandole: le tutele e gli sviluppi dell’amministrazione di sostegno, la cui prassi supera di gran lunga l’istituto giuridico che l’ha partorita, creando opportunità di nuove sinergie tra persone, nuclei familiari e istituzioni pubbliche e private; la legge sul “dopo di noi” che mira alla de-istituzionalizzazione a supporto della domiciliarità (in abitazioni o gruppi appartamento); il piano nazionale di contrasto alla povertà, primo livello di garanzia della presenza di assistenti sociali, di case manager, per la formalizzazione del progetto individualizzato, quale livello essenziale delle prestazioni; la riforma del Terzo Settore, con l’ardire della co-programmazione pubblico-privato, di molto più significativa della “vecchia” co-progettazione dello scorso ventennio; i Progetti Terapeutici Riabilitativi Individuali, sostenuti da Budget di Salute (P.T.R.I. con B.d.S.).

La Dr.ssa Rossella Di Marzo (Assistente Sociale, responsabile dei Servizi Sociali dell’Ambito Unione Territoriale Intercomunale “Livenza Cansiglio Cavallo”, Comune di Sacile [PN]) ha intrattenuto la sala sull’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, cioè la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), spiegandone il significato e sottolineando il valore insito nel suo utilizzo:  uno strumento di valutazione molto completo ma impegnativo da adoperare, da parte degli operatori. L’ICF copre tutti gli aspetti della salute umana, includendo le funzioni indicanti lo stato di salute di un individuo (vedere, udire, camminare, imparare e ricordare), le strutture e una importante sezione riferita alle attività di vita sociale e quotidiana della persona (compiti, cura del sé, mobilità, istruzione, partecipazione alla vita sociale). L’ICF, ha continuato la relatrice, è un linguaggio internazionale e in quanto tale supera i confini sia delle nazioni sia delle professioni. Esso predispone alla costruzione di una visione multidimensionale della persona con disabilità, applicabile ai molteplici contesti, culture e nazioni e che accomuna, nel riassumerle, le componenti biologiche, fisiche e sociali. Partendo da queste premesse, la Dr.ssa Di Marzo si è dilungata sui vari argomenti che, mediante l’adozione della scala ICF, i vari professionisti coinvolti affrontano: dal concetto di qualità (forma o essenza, adempimento o valore) a quello di qualità della vita; dalla qualità dei requisiti alla qualità vissuta; dall’analisi dei protagonisti del progetto individuale personalizzato (persona e familiari; team di lavoro, rete dei servizi, ecc.; committente; comunità locali, associazioni sportive, portatori di interesse, ecc.), al coinvolgimento della persona (capacità e aspirazioni, lista di bisogni, fattori ambientali considerati rilevanti, analisi delle criticità, verifica e valutazione). Una lunga narrazione che ha affascinato gli uditori proprio per la oggettiva complessità della scala che necessità di una attenta guida per chiarirne il significato e farne apprezzare le ricadute.

Dopo il coffee break, la seconda parte della mattinata ha approfondito argomenti più operativi legati alla pratica quotidiana.
Ha aperto i lavori il Dr. Costante Emaldi (Fisioterapista, responsabile del sistema di clinical governance del consorzio Solco di Ravenna) occupandosi di ausili. Questi ha esordito con una prima diapo che recitava “l’ausilio come aiuto e bisogno, come amico inseparabile, come compagno di vita, come vestito, come parte di me stesso… per la qual ragione l’ausilio condiziona la presentazione della mia persona”. Partendo da questo presupposto, se si considera che anche i letti e i sistemi antidecubito rientrano nella categoria degli “ausili”, ha sottolineato che la persona residente nelle RSA vive continuamente associato a un ausilio. Secondo lo Standard Internazionale ISO 9999:2011 qualsiasi prodotto (dispositivi, apparecchiature, strumenti, software, ecc.) di produzione specializzata o di comune commercio, utilizzato da (o per) persone con disabilità per finalità di miglioramento della partecipazione, oppure protezione, sostegno, sviluppo o controllo o sostituzione di strutture corporee, oppure prevenzione di menomazioni, limitazioni nelle attività o ostacoli alla partecipazione, va considerato ausilio e presidio (assistive device). In questo filone di pensiero, pertanto, il relatore, prima di affrontare nel dettaglio la descrizione dei principali dispositivi, evidenziandone punti di forza e limiti e il rapporto costo-beneficio, ha posto l’accento su come per una persona con disabilità il problema non è oggi l’assenza di strumenti tecnologici adeguati, ma il quesito è come renderli concretamente utilizzabili nella vita quotidiana superando le barriere legate alla loro identificazione, selezione, personalizzazione, training, assistenza tecnica, nonché budget di spesa. È importante rammentare come l’ausilio sia funzionale all’utente quando è efficiente e ben utilizzato e come esista tutta una normativa che regolamenti questo aspetto. L’ausilio, infatti, rientra a pieno titolo negli aspetti del clinical risk management con tutte le ricadute legali che ciò comporta. Il relatore, prima di addentrarsi nella parte più tecnica della sua esposizione, non ha mancato di rimarcare come dietro la scelta e l’utilizzo di uno specifico ausilio ci sia la considerazione della dignità della persona portatrice di disabilità e, pertanto, anche questa pratica richieda, da parte dell’operatore, massima attenzione e competenza.

Ha chiuso le relazioni il Dr. Giuseppe Trieste (Presidente FIABA Onlus). Introdotto dal breve filmato promozionale delle Paralimpiadi di Rio 2016, molto efficace, più di tante parole, ed emozionante, il Dr. Trieste ha descritto le finalità della Onlus (Fondo Italiano Abbattimento Barriere Architettoniche) che presiede, la quale si propone di abbattere tutte le barriere, da quelle architettoniche a quelle culturali, che precludono la possibilità di godere e vivere in tutte le sue forme. Per questo promuove la fruibilità universale e la progettazione di ambienti totalmente accessibili secondo i principi della Total Quality e Design, la “progettazione per tutti” finalizzata all’inclusione sociale e all’uguaglianza nel rispetto della diversità umana, attenta ai bisogni, alle esigenze e ai desideri delle persone. Quindi ha descritto le attività svolte da FIABA sia in ambito didattico, comprendendo tutta una serie di interlocutori professionisti impegnati nella edificazione delle nostre città, sia in ambito di iniziative promozionali (FIABADAY), sia in ambito istituzionale con contatti a tutti i livelli della gerarchia politica, dal livello comunale alle massime autorità. Il concetto di base al quale si ispira questa ONLUS, sottolinea il Presidente, è che non esistano gruppi di persone con caratteristiche da catalogare ma esiste “la persona” con tutte le sue qualità e peculiarità e la disabilità non è il problema di una minoranza né l’unico ostacolo che una persona incontra nel corso della propria vita. Il concetto di persona a ridotta mobilità permette una visione più globale verso le esigenze di tutti, rispondendo alla sempre più crescente richiesta della società di inclusione, non più di integrazione. La mobilità è una condizione necessaria per accedere a beni e servizi del territorio, per assicurare agli individui la piena libertà di vivere le città in totale autonomia. Ad ogni persona deve essere garantita la possibilità di muoversi liberamente, senza ostacoli. La mobilità è parte integrante della vita di tutti: ognuno, infatti, si muove quotidianamente per andare a scuola o al lavoro, oppure per turismo e nel tempo libero. L’accessibilità è uno dei principi su cui è imperniata la Convenzione Internazionale dei diritti delle persone con disabilità (2006) recepita nel nostro ordinamento nel marzo 2009.

Partendo dalla sua personale esperienza, di persona che si muove in carrozzina da diversi decenni, il Dr. Trieste ha quindi ripercorso tutte le principali difficoltà delle quali si legge sovente sulla stampa quotidiana, sottolineando e suggerendo soluzioni per porre rimedio a esse senza intenderle come un beneficio circoscritto alle persone con disabilità, ma come un modello da adottare per migliorare ed elevare la qualità della vita di tutti. Un modo molto concreto e talvolta toccante per concludere la giornata incentrata sui bisogni reali della persona con disabilità.

Ha concluso i lavori il Dr. Fulvio Bruno (Direttore Operativo e Direttore Sanitario di Fondazione Betania) che ha sottolineato il valore della giornata derivante anche dal contributo di quattro relatori che provenivano da realtà geografiche differenti e che, confrontandosi da ottiche diverse, hanno favorito quella preziosa contaminazione di idee, vedute ed esperienze che costituisce l’humus ideale per affrontare in maniera costruttiva tematiche complesse. Il Dr. Bruno ha sottolineato, nell’ottica del gestore, come molte delle sollecitazioni raccolte nel corso della giornata siano estremamente interessanti e stimolanti ma che, ahimè, alla fine il conto economico è quello che condiziona talune scelte ed è pertanto essenziale stabilire una scala di priorità per pianificare i giusti interventi a beneficio dei nostri ospiti. Non tutto è possibile fare da subito, in un regime di scarsezza di risorse, ma una corretta analisi, seguita da una puntuale pianificazione costituiscono i presupposti essenziali per un percorso di miglioramento continuo della qualità del servizio erogato.

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